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Sfruttatori e sfruttati

di Francesco Lamendola - 18/07/2019

Sfruttatori e sfruttati

Fonte: Accademia nuova Italia

Tra i molti danni che la diffusione della cultura marxista ha provocato nelle società occidentali c’è anche la semplificazione arbitraria delle due categorie degli sfruttatori e degli sfruttati: alla prima appartengono tutti i proprietari dei mezzi di produzione, alla seconda tutti gli altri; a cui si aggiunge, implicito o più spesso esplicito, un giudizio etico, altrettanto semplicistico e arbitrario: gli uni sono malvagi e meritevoli di sparire, gli altri sono moralmente assai migliori e meritevoli di ereditare il mondo, non si sa bene perché, probabilmente solo per il fatto di essere vittime. E qui si è realizzata la saldatura fra la critica sociale del marxismo e quella del cattolicesimo, favorita anche dal fatto che i cattolici, a partire dall’epoca conciliare, hanno aderito sostanzialmente alla mentalità moderna e quindi hanno cominciati a guardare alle questioni sociali da una prospettiva che non è la stessa di Leone XIII e della Rerum novarum, tanto meno quella di Pio XI o di Pio XII, ma che ha molti punti in comune, come loro stessi affermavano e affermano, con l’analisi marxista, fatto salvo il piccolo dettaglio dell’ateismo militante e programmatico. Gli sfruttati di Marx sono diventati i poveri della teologia della liberazione e infine i clandestini de La Civiltà Cattolica di Antonio Spadaro (leggere il delirante articolo del biblista Dominik Markl che riduce tutti gli attori della storia sacra, a partire da Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre e arrivando fino al nostro Signore Gesù Cristo e alla sua Famiglia, in viaggio per il censimento di Augusto e poi in fuga da Erode, ad altrettanti “clandestini”). La dissoluzione del marxismo è stata così seguita dalla sua trasmigrazione postuma nel cattolicesimo, e i cattolici sono diventati neo-marxisti, il più delle volte senza saperlo. Al contrario, se qualcuno fa loro notare che le loro idee attuali sulla società sono molto simili a quelle del comunismo, rispondono, piccati, che l’amore per i poveri e la scelta di stare dalla loro parte non stanno scritte nel Capitale, ma nel Vangelo: e credono di dire una cosa intelligente e originale, mentre è una stupidaggine che ripetono a pappagallo da più di cinquant’anni. Peraltro, non si rendono conto neppure che la radice della loro apostasia non risiede tanto nel fatto di essere diventati comunisti (dopotutto, le idee politiche sono autonome, si capisce fino a un certo punto, rispetto alla fede religiosa, che è prima di tutto un’adesione intima dell’anima a Dio), quanto nel fatto che essi hanno messo la critica politica e sociale al centro del “loro” vangelo, sostituendo la ricerca del Regno di Dio con la smania di veder instaurato il regno dell’uomo, sconfiggendo uno dopo l’altro tutti i nemici che vi si oppongono, iniziando dall’ingiusta distribuzione delle risorse, proseguendo con la lotta al cambiamento climatico e concludendo con l’eliminazione dell’ultimo nemico, il più molesto e quello che sempre ricorda all’uomo la sua condizione di creatura: la morte, grazie all’ingegneria genetica, all’ibernazione e ai progressi della medicina.

Non si deve credere che la trasmigrazione del comunismo nel cattolicesimo sia una cosa recente; è assai più antica di Marx: se ne trovano le premesse, ad esempio, nell’atteggiamento del vescovo Bartolomé de Las Casas verso gli amerindi, che a sua volta precede di quasi tre secoli il mito del Buon Selvaggio del tardo illuminismo e del pre-romanticismo. E la prima rivoluzione sociale dell’Europa moderna, la guerra dei contadini tedeschi del 1525, non scaturisce forse da una fonte cristiana, la lettura che quei contadini fecero delle idee di Martin Lutero? Poco importa che poi, all’atto pratico, Lutero li abbia smentiti, si sia dissociato da essi e abbia lanciato terribili maledizioni nei loro confronti, esortando i principi cristiani (riformati, ma anche cattolici: ubi maior, minor cessat) a sterminarli senza alcuna pietà. E si può risalire ancora più indietro, fino agli Hussiti, ai Lollardi, a Fra’ Dolcino, ai Francescani spirituali, ai Catari, ai Patari, ai Bogomili, e più indietro ancora, fino ai donatisti e ai circumcellioni, o a un prete come Salviano da Marsiglia, il quale, davanti allo sfacelo dell’Impero Romano, si consola pensando che i barbari, come già aveva visto il pagano Tacito, hanno maggiori virtù morali dei civilissimi romani, e osserva che non di rado i poveri si uniscono ai barbari nella lotta comune contro uno Stato oppressivo e rapace, che prende ai poveri per dare ai ricchi sempre di più (una situazione significativamente simile a quella odierna). Non c’è già un Ernesto Cardenal, un Hélder Câmara, un Leonardo Boff, in questo atteggiamento di condanna dello sfruttamento dei ricchi e di esaltazione e glorificazione dei poveri, unita all’idealizzazione del “barbaro”? Le simpatie segrete (ma neanche tanto) di Salviano sono simili a quelle dei preti latinoamericani seguaci della teologia della liberazione nei confronti dei movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo, e producono casi come quello di Camilo Torres Restrepo, il prete colombiano che si unì ai guerriglieri di sinistra impegnati contro il governo, e che rimase ucciso in uno scontro a fuoco nel 1966.

Sia come sia, l’errore che hanno fatto tanto i marxisti, quanto i cattolici, e che hanno trasmesso a una gran parte della società, è stato quello di ridurre il concetto di sfruttamento alla sola dimensione economico-sociale ed, eventualmente, politica. Invece lo sfruttamento è, prima di tutto, una modalità psicologica delle relazioni umane: ed è quella la radice di ogni altra forma di sfruttamento, compreso quello di tipo economico e materiale. Esiste una tipologia psicologica dello sfruttatore ed esiste una tipologia dello sfruttato; entro certi limiti, e con le debite distinzioni, potremmo anche dire che alla prima categoria appartengono le persone egoiste, insensibili e con una certa inclinazione verso il sadismo, alla seconda categoria appartengono quelle altruiste, sensibili e con una predisposizione verso il masochismo. In altre parole, da sempre esistono persone il cui stile di vita, conscio o inconscio, consiste nell’attaccarsi a qualcun altro come fanno gli organismi parassiti, al fine di spremerlo manipolarlo, servirsene per i propri scopi, e soprattutto a mantenerlo docile mediante una tecnica semplicissima e antica quanto il mondo: creare e alimentare in lui senza posa, implacabilmente, dei sensi di colpa. Ci sono molte maniere per farlo ed esistono infiniti pretesti per subirlo; le persone coscienziose e responsabili, ma emotive e troppo suggestionabili, si prestano magnificamente a questa operazione, perché, inconsciamente, cercano delle ragioni per sentirsi colpevoli. Per una persona onesta e scrupolosa, tutto quel che non va come dovrebbe andare è, almeno in parte, colpa sua; se ci sono le guerre, la fame, le ingiustizie nel mondo, e perfino il cambiamento climatico, è anche per colpa della sua indifferenza. Ma qui siamo già su un terreno ideologico: ed è il passo successivo. Nella maggior parte dei casi, la strategia del ricatto morale parte dalle dinamiche di coppia e da quelle familiari: c’è sempre un figlio che si sente in colpa se i suoi genitori non vanno d’accordo e si separano, e c’è  sempre una mamma che si sente colpa se il marito (o l’amante) l’abbandona, o se il figlio si mette su una cattiva strada e fa delle amicizie sbagliate. Insomma c’è sempre sovrabbondanza di materiale per tutti quelli che, afflitti da una vena di masochismo, sono più che ricettivi all’idea di sentirsi colpevoli perché qualcun altro soffre, sta male, non ce la fa: anche se quel qualcuno, in effetti, sta molto meglio di lui, e si serve di presunte malattie, di crucci e travagli interiori alquanto vaghi e mai verificabili, per far sì che gli atri siano proni ad ogni suo volere, si sottomettano al suo imperio, facciano esattamente quel che lui vuole. Si tratta, sovente, di forme vere e proprie di vampirismo psichico: ai vampiri non basta manipolare e soggiogare le persone, devono anche succhiare le loro energie interiori e servirsene per alimentare le proprie, esattamente come fanno i vampiri. Così, oltre allo sfruttamento fisico, c’è anche una forma di sfruttamento più sottile, ma persino più micidiale: lo sfruttamento emotivo, affettivo, morale. Ecco allora i figli che non fanno mai abbastanza, per quanto facciano il loro massimo, per soddisfare le richieste dei genitori: non sono studenti abbastanza bravi, anche se hanno la pagella piena di bei voti; e non si mostrano all’altezza nel campo dello sport, della danza, della musica, perché, anche se vincono premi e si fanno onore nei rispettivi ambiti, potrebbero fare, secondo i loro genitori, qualcosa di più per ripararli di tutti i sacrifici che hanno fatto, eccetera, eccetera. Abbiamo osservato coi nostri occhi e udito coi nostri orecchi delle mamme che ripetono incessantemente alla figlia ancora piccola che hanno rischiato la vita per metterla al mondo, poiché il parto era stato destramente difficile e doloroso; e che ad ogni occasioni immaginabile, e anche inimmaginabile, riattaccano con la stessa tiritera: Se sapessi quanto ha sofferto la tua mamma per metterti al mondo, allora mi ascolteresti di più; allora non diresti così, allora non faresti colà. Il risultato è che la figlia (o il figlio), a un certo punto, o scappa di casa e non si fa più vedere per qualche anno, oppure si piega alle richieste e ai ricatti sempre più pressanti e si adatta a vivere una vita che non è la sua, una vita di ripiego, secondo i desideri della madre (o del padre), per risarcirla di tutto ciò che ella ha sopportato, eccetera, eccetera. Il vampiro ha vinto: potrà disporre di una vittima sino al termine dei suoi giorni.

Ci sono milioni di famiglie che vivono così e milioni di coppie che vivono tali dinamiche; e questo non perché la famiglia sia un luogo mefitico e opprimente in se stessa, né perché nella vita di coppia ci sia qualcosa di sbagliato, ma perché la famiglia e la coppia subiscono le dinamiche negative complessive della modernità, sono abbandonate a se stesse da chi le dovrebbe sostenere e cioè la società organizzata, lo Stato, il comune, la scuola, la chiesa, la magistratura (quest’ultima sovente impegnata a togliere i figli ai loro genitori invece di sostenere la loro vita all’interno della famiglia); e anche perché la cultura oggi dominante tesse continuamente l’elogio della trasgressione, della fantasia e del vizio, mentre denigra la stabilità e mostra la noia e l’infelicità che regnano nella struttura familiare “tradizionale”, col risultato che l’opinione pubblica recepisce i lati peggiori della famiglia e della relazione di coppia e si persuade che la cosa migliore è liberarsi per sempre dalla famiglia e scrollarsi anche il giogo della relazione di coppia stabile (ovviamente intendiamo quella fra uomo e donna, perché di qualunque altra relazione di coppia non vogliamo neppure parlare). E così lo Stato e le pubbliche amministrazioni sostengono i Gay Pride e lasciano andare alla deriva la vera famiglia, o addirittura la demoliscono attraverso l’opera perfida di assistenti sociali e psicologi asserviti all’ideologia omosessualista.

Ebbene: le stesse dinamiche, ma su una scala immensamente più ampia e con una prospettiva realmente globale, l’élite occulta dei banchieri proprietari di gran parte della ricchezza mondiale si serve del senso di colpa per instaurare e conservare il proprio dominio invisibile sui popoli del pianeta. Questi ricchissimi banchieri affiliati alla massoneria e/o ad altre potenti società segrete, si servono dei sensi di colpa della quasi totalità dei cittadini per spingerli a fare, spontaneamente e liberamente, ciò che ben difficilmente farebbero, se possedessero una lucida capacità di giudizio e non fossero prostrati da un senso di colpa quotidiano e implacabile. Si pensi alle prima parole della “capitana” Carola Rackete, quando ha condotto nel porto di Lampedusa la nave Sea Watch col suo carico di migranti clandestini. A un certo punto, ha detto, mi sono resa conto di quanto fossi fortunata a essere nata in Germania, bianca, ricca, con il passaporto “giusto”; e ha aggiunto: da quel momento ho capito di dover restituire ai meno fortunati ciò che per me era anche troppo. Questa è precisamente la dinamica del senso di colpa: in Africa ci sono troppi abitanti e troppo poche ricchezze naturali per sfamarli tutti (cosa, quest’ultima, palesemente falsa; ma a chi importa?), dunque bisogna farli venire, anzi bisogna addirittura andarli a prendere, incoraggiarli a partire per trasferirsi in Europa, dietro la fragile scusa che si tratta di “profughi”. E, se non basta, ci si mette il clero, asservito anch’esso ai poteri mondialisti, a predicare in tutte le salse che sono davvero dei profughi, che Gesù era un profugo e che tutta la storia della salvezza non è altro che una storia di profughi; anche se è palese che i veri profughi fanno quel che fanno i siriani, tornano a casa non appena la guerra da cui son fuggiti è terminata, mentre tutti questi africani, pakistani e bengalesi a tornare indietro non ci pensano proprio, al contrario, dedicano ogni sforzo a farsi raggiungere dai loro parenti per stabilirsi definitivamente in Europa.

Del resto, vero è quel che sta scritto nei giornali o che dicono i tiggì – gli uni e gli altri, guarda caso, nelle mani di quel potere finanziario che si sta impegnando al massimo per determinare un cambio di paradigma in senso progressista, mentre tutto ciò che esula da quanto essi ci raccontano sono fake news o, come si diceva una volta, bufale di prima grandezza. La realtà può essere quel che vuole, pur parlando il linguaggio della esperienza diretta; ma è l’ideologia dominante, alla fine, a stabilire che cosa sia vero e cosa non lo sia, ponendo ogni voce di dissenso sul piano della psicopatologia o, nei casi più gravi e ostinati, rendendo necessaria la repressione statale contro chi vorrebbe incrinare o distruggere le basi stesse del sistema democratico. Si noti come anche il meccanismo del debito pubblico, creato dall’azione speculativa della grande finanza, si accompagni all’ideologia della colpa: Voi italiani avete speso troppo, avete vissuto allegramente al disopra delle vostre possibilità, come le cicale (ma quando? ma dove?), mentre i tedeschi erano le provvide formiche; ora è giusto che paghiate, dovete ripianare il debito, siete diventati la palla al piede dell’Europa, siete brutti e spendaccioni oltre che inaffidabili; ora dovete espiare. È una strategia vampiresca molto efficace. Col debito, creato per mezzo di denaro che non esiste (titoli e azioni, o denaro stampato dalle Banche centrali nell’’esclusivo interesse degli azionisti privati) si spreme il denaro vero, frutto del lavoro e del risparmio delle persone; parallelamente, si persuadono quelle perone di essere colpevoli, loro stesse, del proprio indebitamento; le si terrorizza psicologicamente rammentando loro che ogni bambino nascerà gravato dal debito contatto dai genitori; e si ottiene così di farle sentir moralmente indegne, oltre che materialmente miserabili.

È necessario rendersi conto di queste dinamiche per poter anche solo sperare in un futuro diverso. Nelle società sane i parassiti e i vampiri sono messi in un angolo, nelle condizioni di non nuocere oltre un certo limite. Nelle società malate essi vengono celebrati come eroi e messi su un piedistallo: sempre per un oscuro senso di colpa. Non si spiega altrimenti la pretesa che zingari, finti profughi e delinquenti possano esercitare sempre e solo dei diritti, sostenuti da stuoli di avvocati e appoggiati dai mass-media; tutti gli altri, invece, abbiano solo doveri, a cominciare da quello di mantenere pressoché gratis quelli che non lavorano, che non si adattano alle leggi, che non si vogliono integrare per niente e che li disprezzano dal profondo del cuore.