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Sintomatologia geopolitica del virus

di Pierluigi Fagan - 23/04/2020

Sintomatologia geopolitica del virus

Fonte: Pierluigi Fagan

Già da un po’ di tempo, compro -non sempre- Limes, ne leggo un po’, poi smetto. E’ molto impegnativo uscire ogni mese, ogni volta approfondendo temi complessi. In più, è chiaro che oltre a Caracciolo-Fabbri, il team dei collaboratori attinge a quel che può e spesso non è molto. Infine, spesso interessanti soprattutto per l’alto livello di cultura storica le letture di Caracciolo, (Caracciolo in genere “legge” i fatti presentando i temi del numero, accenna qualche giudizio, ma non si può dire faccia analisi chiare) altrettanto spesso mi trovo in disaccordo con Fabbri.

https://www.youtube.com/watch?v=FsTwTryZqeE&feature=youtu.be&ref=RHRD-BS-I0-C6-P5-S1.6-T1&fbclid=IwAR1mGo8THRTWIEmTLjYvXmFG7PkXDZDxTT1c1DfqhUvjfSD8bHqzxajzVgQ
In particolare con la sua ostinata idea dell’America come impero talassocratico, virtualmente eterno. Sebbene altrettanto spesso con questo analista d’accordo nella critica dell’economicismo come unica e principale lente d’analisi (scelta del resto assai poco “geo-politica” per definizione), penso che lui ne derivi però un eccessiva noncuranza dei fatti economici che, ci piaccia o no, costituiscono ancora oggi l’ordinatore dei principali stati del mondo. Questa confusione sul dato economico porta Fabbri a sostenere che la globalizzazione è stata l’ultima grande struttura-mondo dell’impero. Ma basta leggere le traiettorie dei Pil degli ultimi venticinque anni (da quando cioè c’è il WTO) per capire che la globalizzazione ha fatto ricchi tanto gli asiatici quanto i detentori di capitale occidentale, americani in particolare, più qualche multinazionale ovvio. Ma i detentori di capitale non sono gli “americani”, né gli “occidentali” in senso ampio, tant’è che gli indici di diseguaglianza parlano di un mondo occidentale sostanzialmente fermo alla ricchezza di decenni di anni fa. Mi sa che quanto a lettura dl concetto di globalizzazione, Fabbri s’è fermato alla retorica globalista ed anti-globalista di qualche decennio fa. Così per l’altro mantra tipico da think tank di Washington sul fatto che la crescita cinese stia rallentando. E certo che rallenta, se è una percentuale di un montante, crescendo vistosamente questo è chiaro che la percentuale decresce di un po’. Quando valevano in Pil 7 mila di miliardi di US$ crescevano del 10%, oggi che sono a 14 mila mld di US$ cresceranno magari del 5%, qual è il problema?
Quindi non so se comprerò questo numero, per il momento mi baso su questa presentazione aggiungendo che, di questo format che esce su Repubblica on line, trovo sempre molto garbato ed intelligente il conduttore.
Il punto è quanto ciò che sta succedendo cambierà le dinamiche geopolitiche del mondo. Personalmente, penso come espresso nell’intervista di Sottosopra, che inciderà acuendole e velocizzandole, due dinamiche già in essere: 1) contrazione di peso geopolitico occidentale (che deriva da contrazione demografica e di potenza economica, contrazione lenta ma costante nel medio lungo periodo); 2) sviluppo di un nuovo ordine multipolare. Quest’ultimo non foss’altro che per il semplice fatto che gli attuali 7,7 mld di individui, 10 miliardi tra trenta anni, divisi in 200 stati che tutti ormai ricorrono al modo economico moderno, non possono diversamente ordinarsi che per sistemi macro-regionali. Nessuno, anche volendolo, potrebbe oggi ripetere l’ordine stabilito nel dopoguerra quando il mondo era abitato da un terzo degli individui e stati di oggi, in tutt’altro assetto di sviluppo. Quindi “Mondo” diventa anche “Regioni del Mondo”, poiché è ovvio che il grande si spezzetta in più piccoli.
A tale proposito, nel suo editoriale Caracciolo cita un articolo rumoroso di Graham T. Allison su Foreign Affairs (politologo molto noto di Harvard) che lo stesso ha lanciato a fine febbraio su twitter così: “L'unipolarità è finita, e con essa l'illusione che le altre nazioni avrebbero semplicemente preso il loro posto assegnato in un ordine guidato dagli Stati Uniti. Ciò richiederà di accettare l'esistenza di sfere di influenza - e non tutte sono americane.”. L’articolo si chiama appunto: “Le nuove sfere d’influenza”. L'articolo va inquadrato nel fatto che dire queste banalità a Washington è scandaloso. Come dice Allison in chiusura, ci metteranno anni a far pace con la realtà.
Non si capisce bene per quale motivo, ma il duo di Limes resiste molto a questo concetto, non ho fino ad oggi trovato ragione sostenibile nei loro “lavori”, per questa fede nella durevolezza dell’impero americano come dominus unico del mondo. Di multipolarismo come prospettiva praticamente senza alternative degli ordini del mondo, se ne parla da venti anni, forse qualcuno anche da trenta, almeno tra realisti.
Nei fatti, gli USA non sono proprio di casa in Asia cioè il 60% del globo, non lo sono più in pianta stabile e monopolistica in Medio Oriente da un bel po’, non lo sono altrettanto in Africa e solo di recente stanno riprendendo piede in Sud America sul quale si erano parecchio distratti. Con l’Europa, la relazione è quantomeno “problematica”. La percentuale di Pil USA sul totale mondo si è dimezzata in questi settanta anni. Con Trump, financo il loro “soft power” è in ampia e volontaria ritirata. Indiscutibilmente, e su questo Fabbri di solito batte, rimangono la superpotenza militare unica. Ma poiché il conflitto tra grandi potenze, in ultima analisi deve fare i conti con l’arma finale, l’atomica, e stante una sostanziale parità su questo armamento con la Russia, anche tale indubbia potenza che poi è squisitamente navale (o aerospaziale, forse), gioca sì, ma fino ad un certo punto. Con ciò, ovviamente, nessuno sostiene che gli USA siano ridotti a far da spettatori al nuovo grande gioco del mondo, semplicemente debbono prender atto loro (e forse quello che i nostalgici imperiali non capiscono di Trump è che il centro di potere che Trump rappresenta, questo fatto ineluttabile ce l’ha ben chiaro in mente) e tutti coloro che sotto la loro potenza si sono rifugiati, che il nuovo gioco è complesso ed a più giocatori. Tra questi più giocatori loro rimangono indubbiamente il più –relativamente- forte, ma con prospettive sempre più limitanti e “complesse” da qui a trenta anni.
Mi fermo qua che sono già lungo. Ci sarebbe da analizzare meglio “la fase”, il nuovo conflitto di attribuzione di responsabilità alla Cina della pandemia che è arrivata anche al davvero preoccupante caso dell’Hotel de la Poste di Cortina che cita per danni la Repubblica Popolare Cinese (m’immagino i giuristi cinesi che cercano “Cortina” nella cartina europea disperandosi), l’offensiva Via della Salute, le previsioni IMF di calo del Pil che per India e Cina sono col segno comunque “+” e l’occidente che sprofonda in una sequenza di “-“, oggi ad una cifra, fra qualche mese chissà, il sondaggio SWG che ha lasciato sgomenti gli atlantisti ed europeisti italici e tanto altro del “day by day.” Lo faremo in seguito, tanto come si dice in questi giorni “siamo qui” ….

NOTA. Buffa la precisazione di Caracciolo ripresa da Fabbri sul fatto che questa sia una finta “pandemia” e non una semplice epidemia. Pandemia viene da “Pan” (tutto, tutti) e “demia” (da “demoi”, popoli). Quindi si ha epidemia quando parli di uno stato specifico o un gruppo limitato di stati, quando sono la maggioranza del mondo, allora complessivamente si chiama “pan-demia”. Il giorno che OMS ha dichiarato “pandemia”, gli stati colpiti erano appena giunti a 114, quindi poco più della metà di quelli che si contano al mondo. Oggi sono 210. Da lì a prima era epidemia, da lì in poi è pan-demia. Non si capisce dove stia il problema.

Allison:https://www.foreignaffairs.com/…/2020…/new-spheres-influence