Su giustizia e libertà dialettica
di Andrea Zhok - 21/09/2025
Fonte: Andrea Zhok
La vicenda “Charlie Kirk” è meritevole di riflessione non tanto con riferimento al personaggio in sé, per cui personalmente, non essendo americano, nutro un modesto interesse, ma per ciò che le reazioni alla sua morte hanno consentito di scorgere.
Come ampiamente discusso nei giorni scorsi, una significativa fetta di persone con pedigree “progressista” o “di sinistra” ha espresso soddisfazione, comprensione o giustificazione per l’omicidio. Il filo del ragionamento in questi casi è stato, più o meno: “Era una persona orribile con opinioni orribili, dunque il mondo è un posto migliore senza di lui.”
Ora, non mi interessa qui entrare in una valutazione circa se o quanto il soggetto fosse davvero orribile, o non fosse magari vittima di maldicenze e fraintendimenti. Supponiamo pure per un momento che fosse davvero la persona orribile che taluni ritengono fosse.
Il punto di fondo è: rispetto ad una persona con opinioni orribili, è GIUSTO metterla a tacere con la violenza? Notiamo che “metterla a tacere con la violenza” potrebbe anche non passare necessariamente per un omicidio. Potrebbe essere carcerazione, minaccia, ricatto, o altre forme di violenza.
Qui ci sono due livelli di argomentazione. La prima potremmo chiamarla “kantiana” e implica che è intrinsecamente sbagliato usare violenza contro un’opinione, per quanto pessima venga ritenuta. Questo perché se generalizziamo un comportamento del genere, siccome ogni opinione significativa è insopportabile per qualcuno, ci troveremmo rapidamente in una situazione di guerra di tutti contro tutti, di universale prevaricazione. In ultima istanza la sfera stessa delle opinioni e dei ragionamenti finirebbe per scomparire, lasciando il terreno alla legge della giungla. Di fatto ogni opinione che non sia una sciacquatura di piatti irrilevante produce irritazione in qualcuno. Chiunque abbia fatto un po’ di esperienza sui social – che da questo punto di vista sono una grande palestra educativa – sa che le capacità di fraintendimento e vero e proprio odio sono assolutamente sorprendenti, anche per le opinioni meglio argomentate.
L’unico modo per non suscitare odio o disprezzo in nessuno è stare in silenzio e (forse) postare gattini.
Ma questa forma argomentativa è percepita da molte persone, sia a destra che a sinistra, come astratta.
Queste persone seguono il ragionamento fino ad un certo punto, ma giunti a quel punto slittano verso una forma di ragionamento di tipo “utilitarista” e si dicono qualcosa del genere: “Va bene, tutto bello e buono, però la situazione di generalizzazione di quei comportamenti è meramente ipotetica, mentre di fatto, mettere a tacere quella (che ritengo essere una) brutta persona è un immediato miglioramento del mondo.”
Questa tipologia di persone spesso hanno un moto di insofferenza verso quella che percepiscono essere la “moralità astratta” di chi suggerisce di decidere le proprie azioni nei termini di “virtù” ovvero di disposizioni generalmente giuste. Si tratta in generale di persone che non ritengono esservi alcun “giudice universale” delle azioni umane, divino o umano, e che dunque, pragmaticamente, “quando ci vuole ci vuole”: se un certo atto di violenza sopprime ciò che ritengo essere un danno per ciò che sono o credo, bene così.
Ecco, ciò che a me interessa notare qui è la deprimente stupidità di chi alimenta questa visione avendo come ideale guida la “difesa dei deboli”, la “protezione degli oppressi”, la “tutela di chi è senza potere” o simili. Siccome questo tipo di ideale è stato spesso promosso o almeno agitato a sinistra, credo che questa riflessione sia particolarmente rilevante per chi ha quel retroterra – ma è in generale applicabile a chiunque pensi di agire nel nome dei deboli, degli oppressi, dei senza potere, ecc.
Perché parlo di “deprimente stupidità”? È semplice. Perché, una volta che ci spostiamo su un piano utilitarista, cioè sul piano di un’analisi delle conseguenze pratiche delle nostre azioni, scopriamo subito che la sfera delle opinioni, delle argomentazioni, la sfera dialettica, la sfera della libertà di parola è L’UNICA LEVA A DISPOSIZIONE DI CHI NON HA POTERE. Chi detiene il potere non ha bisogno di persuadere, non ha bisogno di giustificare, perché può costringere. Mantenere massimamente viva la dimensione dialettica è – banalmente – nell’interesse dei senza potere. Ogni qual volta chi è senza potere ricorre alla violenza contro l’opinione – anche l’opinione più oscena – si sta sparando nei piedi.
La storia è piena di utili idioti che il potere ha manipolato per ottenere esattamente questo: una ritrazione dalla sfera dialettica nel nome della “giusta opinione”. Che questa “giusta opinione” riguardi i pronomi sessualmente inclusivi o l’Olocausto, che riguardi l’aborto o la razza, che riguardi il veganesimo o il riscaldamento climatico, che riguardi la rivoluzione proletaria o il darwinismo sociale, è irrilevante. Ogni restrizione dello spazio dialettico, ogni limitazione alla libertà di parola, è sempre, infallibilmente, una forma di sostegno a chi il potere lo detiene già; questo anche se la parola di cui limitiamo la libertà ci sembra sostenere il potere costituito.
Qui il metodo è tutto, il contenuto nulla.
Il terrorismo degli anni ’70 in Italia è stato un ottimo esempio di questa abilità dei “protettori degli oppressi” di spararsi nei piedi. Pensare che mettendo a tacere con la violenza qualcuna delle “voci del padrone” si sarebbe ottenuto un indebolimento del potere costituito è stata una delle più stupide e controproducenti strategie “rivoluzionarie” di sempre. Il Nobel dell’autolesionismo. A loro parziale scusante si può solo notare che spesso erano manipolati dall’interno dai servizi segreti, cioè dallo stesso potere che pensavano di abbattere.
Ma questo, ovviamente, non vale solo per quando la violenza antidialettica proviene “dal basso”, solo quando tappare la bocca alle voci ingombranti sono sedicenti giustizieri del popolo. Questo vale egualmente quando il potere finge di venire incontro ai senza potere mettendo a tacere quelli che presenta come “minacce alle opinioni sane”. Quando una decina di anni fa chiudevano siti presentati come di estrema destra” la sinistra applaudiva a scena aperta. Ed è proprio quel precedente che consente oggi al potere di chiudere i siti (presentati come) di “estrema sinistra”, o “pro-pal” o “antifa”, così come qualche anno fa lo facevano con le pagine etichettate come “novax”, ecc.
Questo è un punto semplice e non mi sarei preso tutto questo spazio per esprimerlo se non avessi incontrato nei giorni scorsi le argomentazioni più assurde che cercavano di giustificare “un colpo di fucile ben piazzato” perché aveva tolto di mezzo un portatore di opinioni ritenute malvage.
Su questo punto si può tirare una linea molto semplice, molto diretta, molto univoca: chi lavora per ridurre gli spazi di libera dialettica, che lo faccia come correttezza politica o come censura bigotta, che lo faccia nel nome dell’inclusività o dell’unico dio, del rispetto delle minoranze o dell’amor di patria, in ogni caso sta lavorando per il potere costituito e contro chi il potere non ce l'ha.