Un amerikano a Roma
di Umberto Bianchi - 14/05/2025
Fonte: Umberto Bianchi
Ora che è cessato il frastuono mediatico per la morte di papa Francesco/Bergoglio,
ora che al soglio pontificio, in tempi più che rapidi, è stato eletto il nuovo successore
di Pietro, ora che tutti i “rumors” del gaudio mediatico per questo evento, si vanno
acquietando, si può iniziare ad analizzare con maggiore obiettività e chiarezza, lo
scenario che si va prefigurando. La straordinaria rapidità con cui il nuovo pontefice è
stato eletto ci pone, anzitutto, dinnanzi alla considerazione di un potere molto più
saldo e stabile di quel che, a prima vista , si sarebbe potuto pensare. Quella del
cardinal Robert Prevost/Leone 14°, è un’elezione avvenuta all’insegna di quella che
potremmo tranquillamente definire quale una “ continua discontinuità”, con la
precedente “gestione” di papa Bergoglio. Continuità, in quanto il nuovo papa
proviene da quell’ambito missionario, sicuramente aperto alle suggestioni di un
universalismo che guarda ai popoli del Terzo Mondo e che vede con occhio critico, le
posizioni di chiusura al fenomeno migratorio ed all’accoglienza da parte dei vari
governi animati da un’ideologia sovranista, quale quello di Trump, per esempio.
Suggestioni globaliste, pacifismo spinto, ma anche, (e qui sta la novità) un certo
ritorno all’osservanza dell’etichetta e dei dettami di certa tradizione liturgica,
testimoniati dall’apparire del nuovo papa, abbigliato con quei paramenti a cui
Bergoglio aveva rinunciato. Stessa musica, per la scelta di tornare a risiedere in
quegli appartamenti papali, siti nel palazzi apostolico, ai quali, invece, Bergoglio
aveva preferito la più austera sede di S, Marta. Mai come stavolta, il “Toto-Papa” è
stato condizionato dal latente e mai cessato, conflitto tra l’ala più “progressista” e
modernista, della quale lo scomparso papa Francesco era il rappresentante più in
vista, assieme agli esponenti più in vista della nomenklatura cardinalizia alla Zuppi,
alla Parolin e ad altri ancora e un’ala più “tradizionalista”, rappresentata dai vari
Burke, Sarah, Turkson, Erdo, Gambetti ed altri. Questi ultimi, hanno sempre
avversato le posizioni di papa Bergoglio, finendo per essere messi ai margini delle
decisioni ai vertici ed arrivando, come nel caso di Burke, ad essere privati di cariche,
privilegi e stipendi vari. Nel mezzo, vi sono anche nominativi come quello di
Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, considerato un “moderato”,
ovverosia in una posizione mediana tra quelle dei bergogliani più intransigenti ed i
tradizionalisti duri e puri.
Se, da un lato i progressisti rappresentano l’ala più aperta alle istanze del mondo
globalizzato, quali quelle inerenti all’immigrazione ed all’accoglienza, all’apertura ed
al dialogo con le altre fedi, alla problematiche delle coppie omosessuali ed a quelle
del “terzo sesso”, sino alle politiche ecogreen ed all’appoggio alle linee guida
sanitarie dettate dal Fmi e dalle varie agende globaliste, dall’altro i tradizionalisti si
rifanno alla chiesa pre conciliare, rigorista, chiusa ed impermeabile alle influenze
esterne, animata da una profonda ostilità verso le innovazioni e le aperture a tutte
quelle suggestioni della modernità, a cui abbiamo, poc’anzi, fatto cenno. Espressione
più appariscente di questa impostazione, l’istanza per il ritorno alla ritualità
tridentina, in lingua latina. Tra tutti questi personaggi, a primeggiare è la figura di
monsignor Viganò, che, a causa delle sue coraggiose posizioni avverse alle politiche
vacciniste e globaliste in genere, è stato direttamente scomunicato da papa Francesco.
Ora, a seguito di quanto sin qui descritto, parrebbe che all’interno della compagine
vaticana esista una vera e propria fronda “sovranista”, rappresentata da quei prelati,
quali il già citato Burke, molto vicini e solidali con le posizioni trumpiane. Ed
altrettanto vero è che, la chiesa cattolica Usa contribuisce per ben il 40% al Pil delle
deficitarie finanze vaticane e pertanto ora, la chiesa Usa, con l’elezione di
Leone/Prevost, ha direttamente aggiudicato a sé stessa ed indirettamente agli Usa, un
primato spirituale che ha spostato in modo significativo, il baricentro geospirituale
dal Vecchio al Nuovo Mondo Usa che, così, oltre al primato finanziario, ora potrà
vantare un altro e sicuramente, più incisivo primato. E sembra proprio che le uscite di
Trump, autoritrattosi in abito talare, abbiano, in tal senso, rappresentato un segnale
premonitore. E’ vero che, se da un lato l’elezione di Leone/Prevost, a causa della
matrice ideologica di questi, rappresenta sicuramente un segnale avverso alle
politiche sovraniste, visto che la maggioranza della chiesa Usa è schierata su
posizioni progressiste, dall’altro conferirà agli Usa un ulteriore primato spirituale,
oltre a quello già rappresentato da quello del vetero testamentarismo, protestante e
capitalista.
A questa considerazione bisogna aggiungerne un’altra che, impostata ad un principio
di real politik, scalza definitivamente dall’immaginario collettivo, l’idea che
all’interno della chiesa esista realmente una fronda di matrice sovranista ed
“identitaria”. Se davvero tale fronda esistesse, animata da una sincera volontà di
contrapposizione al globalismo dominante, si sarebbe fatta sentire in modo molto più
vigoroso e deciso, a tutti i costi, non affidando, pertanto, le proprie velleità ad un
quanto mai isolato ed emarginato, monsignor Viganò o a qualche altra, altrettanto
isolata, individualità. Abbiamo, invece, assistito ad una sotterranea lotta, condotta nei
salotti delle varie nunziature vaticane, unicamente per l’attribuzione delle poltrone.
La chiesa cattolica è sempre stata, è e rimane tuttora, universalista, globalista, con
tutto quel che ne comporta.
Essa, de facto, costituisce la premessa storica ed ontologica dell’attuale
Globalizzazione. L’universalismo religioso monoteista, si è andato trasponendo sul
piano dell’immanenza, trasferendo ed informando di sé il principio che animerà di sé
il nuovo Occidente, ovverosia quello della Tecno Economia Globale. Il tanto
decantato agostinianesimo del nuovo pontefice, ci riporta alla dottrina del primato
della “civitas Dei” sul primato spirituale della civitas degli uomini, di quella Res
Publica, di quell’Imperium che, a suo tempo, diedero luce, armonia e potenza al
mondo classico. Inutile illudersi. L’odierno uomo occidentale si trova affacciato
davanti ad un abisso, davanti al quale dovrà prendere una decisione. O lasciarsi
attrarre e cadere, nell’alienante oscurità dell’orrido globalista o procedere verso
nuove forme di spiritualità, che lo sospingano a fare della Techne un fondamentale
supporto, al fine di superare i propri umani limiti e ritornare, così, ad affermare la
propria cosmica centralità…
E, credetemi, non sarà certo un Leone americano qualsiasi, a capo di una decrepita
organizzazione, oramai giunta al proprio capolinea, a poter imprimere all’Occidente
quella tanto necessaria spinta ad andar “oltre”.