Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Vincolo di mandato

Vincolo di mandato

di Stefano De Rosa - 04/09/2022

Vincolo di mandato

Fonte: Italicum

Il primo tempo della competizione elettorale, quello intercorrente tra il decreto di scioglimento delle Camere e la presentazione dei simboli e dei candidati indicati nelle liste – e dunque nelle schede –, è stato contraddistinto dal fuorviante gioco delle alleanze pre-elettorali – dal “campo largo” al polo centrista, dalle corse solitarie ai divorzi di matrimoni non consumati, dall’aggregazione delle schegge ai blocchi monolitici – che ha occupato la totalità delle imbarazzanti cronache politiche nazionali.
Una decina di segretari e presidenti di partiti e movimenti hanno quindi finto di discettare – sui social, in interviste rilasciate a giornali e talk show o in vertici bilaterali – di alta politica (in realtà di bassa cucina) subordinando le rispettive agende di politica interna, estera, economica, sociale, energetica, sanitaria, ecc. alla stipula di accordi giustificati da quella frazione di quota maggioritaria presente nella legge elettorale. Promesse, protocolli di intesa, stesura di programmi condivisi e conferenze-stampa hanno così messo in ulteriore evidenza l’oligarchico protagonismo di un manipolo di policy makers.

A latere di queste trattative multilaterali a livello di libero associazionismo ex art. 18 della Costituzione se ne sono aperte altrettante all’interno di ogni singolo partito e, di riflesso, a livello delle coalizioni più o meno stabili, più o meno artificiali. Ed hanno riguardato l’individuazione dei candidati nei collegi uninominali e di quelli da inserire nel listino proporzionale in rigida sequenza di posizione e quindi di probabilità di elezione.
Il ruolo comune di quei dieci selezionatori del potere legislativo ed esecutivo del prossimo quinquennio si è differenziato soltanto su un punto. Sulla base di sondaggi convergenti che collocano la coalizione di centrodestra nettamente avanti rispetto alle altre alleanze elettorali e formazioni politiche, i candidati di queste ultime nei collegi uninominali maggioritari sembrano destinati a sconfitta certa (tranne qualche roccaforte “fucsia” del centro Italia), mentre hanno buone possibilità di conquistare un seggio soltanto se collocati in prima posizione nei listini proporzionali.
Ciò ha scatenato giustificate  preoccupazioni nei candidati a rischio di rielezione e pesanti pressioni di parlamentari uscenti e relative correnti interne su segretari e presidenti di partito. Esemplare il caso del Partito democratico. I leader non solo hanno dovuto usare il bilancino per premiare i fedelissimi, estromettere gli oppositori interni e al contempo apparire imparziali, ma hanno dovuto destinare una quota sensibile di collegi maggioritari e proporzionali “blindati” agli alleati di coalizione arruolati per ottemperare alla logica maggioritaria. La telenovela agostana di Azione è stata altrettanto emblematica del potere di ricatto di una piccola formazione e della rivolta interna dei candidati Pd sacrificati sull’altare di un’alleanza poi saltata.
Inutile ricordare che tali fibrillazioni – registrate anche nel centrodestra con minuscole sigle arruolate per intercettare il consenso “centrista” alle quali sono stati assegnati collegi sottratti alle forze maggiori – sono state causate ed amplificate dalla insensata riforma del taglio dei parlamentari che ha abbassato rispettivamente a 400 e 200 il numero dei seggi di deputati e senatori. Le trattative tra segretari nazionali, aspiranti candidati, correnti interne e partiti alleati si sono ridotte a designazioni ad personam, investiture feudali decise a tavolino basate su rapporti discrezionali di diretta subordinazione e prive di ancoraggio socio-territoriale. Altro che sovranità popolare.
Ciò rappresenta l’ennesima conferma che il divieto del vincolo di mandato sancito dall’articolo 67 della Costituzione, principio in virtù del quale il parlamentare eletto risponde non al partito ma all’intera Nazione, è pura ipocrisia. La gratitudine che l’eletto deve al leader che l’ha designato (leggasi preferito rispetto ad altri) e ne ha permesso l’elezione al Parlamento è totale, incondizionata e tale da superare qualsiasi legame emotivo, ideologico o politico con la base che è stata “costretta” ad eleggerlo.
Il prossimo Parlamento ne prenda finalmente atto e modifichi il citato articolo abrogandone, per rispetto dell’intelligenza degli elettori, la seconda parte con un voto unanime. Anche se molto prosaicamente ne dubitiamo.