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Addio ai padri

di Ernesto Galli della Loggia - 03/04/2007




Il colloquio che segue è tratto da un filmato su YouTube, registrato con un cellulare nella classe di una scuola italiana la settimana scorsa.
Un alunno di una quindicina d'anni, è vicino alla cattedra con un microfono in mano e finge un'intervista alla professoressa:
Alunno:Ma lei, professoressa, ha mai provato a mettersi un dito nel culo?
Professoressa (imbarazzata e sussurrando): Ma che dici, via...
Alunno: Ma lei quanto guadagna?
Professoressa (come sopra): Non molto di certo...
Alunno: Pensa che guadagnerebbe di più facendo la puttana?
Questo il brutale, e testuale,referto delle parole. Le quali obbligano a infischiarsene del moralismo e a porsi una domanda: che cosa è, che cosa bisogna pensare di un Paese dove in un'aula scolastica è possibile un simile scambio di battute?

E dove è possibile che ciò accada senza che nelle 24 ore successive (almeno a quel che si sa) vi sia alcuna reazione significativa? A proposito di
episodi di brutalità, di violenza o di rifiuto delle regole più elementari del vivere civile come questo, che si susseguono nelle nostre scuole, non è
più possibile evocare la categoria onnicomprensiva di «bullismo ».
Non è più possibile, cioè, rifugiarsi nella dimensione del patologico e magari pensare che l'azione di un ministro (che pure è necessaria e urgentissima: si svegli
onorevole Fioroni, si svegli!) possa essere il rimedio. Certo: la scuola e l'istruzione sono coinvolte, eccome! ma si tratta di ben altro. Si tratta
nella sostanza di una frattura immensa che nella nostra società si è aperta tra le generazioni.

Una frattura che comporta spesso l'impossibilità di trasmettere dai padri ai figli i modelli comportamentali, le gerarchie dei valori accreditati,
perfino le regole della quotidianità, che i primi bene o male si credevano tenuti a osservare e che i secondi oggi, invece, neppure quasi conoscono o
trattano con assoluta noncuranza. Beninteso, nell'epoca della modernità tutti i passaggi generazionali hanno registrato un problema del genere, che
però oggi si presenta in modo radicale per la presenza combinata di due fenomeni inediti e dirompenti. Da un lato l'enorme innalzamento del reddito
che da mezzo secolo caratterizza tutte le nostre società, e che consente oggi anche ai giovanissimi, per non dire agli adolescenti, di avere in tasca
(o di poter ragionevolmente aspirare ad averlo) denaro da spendere per un ammontare finora impensabile (quanti quindicenni nel 1960 potevano avere un
mezzo di locomozione proprio?).

Dall'altro, più o meno nello stesso periodo, ha preso forma una gigantesca rivoluzione scientifico-tecnica di portata generale, sì, ma capace di
irrompere in modo pervasivo nella quotidianità del privato (si pensi alla pillola, alla tv, a Internet, all'ingegneria genetica), ed è in questa nuova
quotidianità-distruttiva degli antichi universi valoriali e stilistici rappresentati esemplarmente dalla scuola-che si forma la nuova soggettività
giovanile, forte del suo potere d'acquisto e non più orientata a un rapporto di imitazione con il mondo adulto ma piuttosto in arrogante, spesso
aggressiva e violenta, contrapposizione a esso. Il cui simbolo è non a caso il cellulare.

E' accaduto, insomma, che nel tardo XX secolo i giovani siano divenuti i fruitori/apostoli di tutte le maggiori novità tecnico- scientifiche e in
genere della massiccia innovazione sociale, acquisendone per riverbero il prestigio e un profondo sentimento di autonomia. I padri, invece, sono
andati inevitabilmente perdendo, di pari pari passo, il senso culturale del proprio ruolo e dei valori ricevuti e la sicurezza in se stessi. Tutto ciò è
specialmente vero per l'Italia perché in Italia la cultura dei padri era particolarmente fragile. Priva di forti modelli tradizional-borghesi,
influenzata profondamente dall'incerto permissivismo sessantottesco e dai luoghi comuni culturali del politicamente corretto, essa si è trovata in una
situazione di totale debolezza davanti all'irruzione dei processi di autonomizzazione della soggettività giovanile.

Non solo. Da noi era specialmente debole proprio l'istituzione deputata in primis a fare i conti con quella soggettività: la scuola. Cosa poteva mai
opporre alla straordinaria sfida dell'epoca la povera scuola italiana, che arrivava all'appuntamento dominata dai sindacati, gestita da una lobby di
pedagogisti di regime e guidata da politici paurosi, interessati solo alla carriera?