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In difesa di un perseguitato. La deriva liberticida del regime democratico in Italia

di Claudio Moffa - 10/04/2007

Fonte: claudiomoffa

PALLAVIDINI, UN CASO-BLUFF?

TORINO: L’ODISSEA DEL PROFESSOR RENATO PALLAVIDINI DI FRONTE ALLE NUOVE TENDENZE FORCAIOLE DELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO SFRUTTATE DAI SOLITI "POTERI FORTI".

SULLO SFONDO LA RIMESSA IN DISCUSSIONE DEI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE, A COMINCIARE DALLA LIBERTA’ DI OPINIONE E DI INSEGNAMENTO.

MICROTOTALITARISMO IN SALSA TORINESE, O AVVIO DI UNA NORMALIZZAZIONE IN TUTTE LE SCUOLE ITALIANE?

Renato Pallavidini, professore di liceo, autore di diversi libri di filosofia di cui uno prefatto da Remo Bodei, un curriculum di insegnamento professionale, e una vita non rinnegata di militante "impegnato" in un percorso di maturazione-revisione di cui tutto si può dire tranne che non sia coraggioso: tanti si adeguano ai nuovi tempi delle "legittime" guerre di distruzione della Jugoslavia e dell’Iraq, lui Pallavidini no, resiste, difende le sue idee, le aggiorna e arricchisce di nuove letture, le utilizza nelle sue lezioni evitando il più possibile di "fare politica" in classe. Ma come credere che filosofia e storia siano completamente neutrali? E soprattutto, come non rispondere a una domanda di una studentessa, data 26 gennaio 2007, oggetto la Giornata della Memoria, quesito perché lei Pallavidini non la celebra?

E così Pallavidini cade nella trappola: non risponde che non celebra la Giornata della Memoria perché lede la laicità dello Stato molto più di un ormai silente crocifisso appeso alla parete dell’aula, ma replica – alla domanda politica – parlando giocoforza di politica: "in classe – racconta Pallavidini su internet - non ho mai espresso posizioni politiche, tanto meno sulla questione mediorientale, perché avvertito sin dall’inizio che una delle studentesse era la figlia di Elena Loewenthal de la Stampa, nota sionista, che sull’aggressione al Libano ha preso sempre una chiara posizione giustificativa dell’azione israeliana …

una studentessa mi chiese, senza per altro atteggiamento polemico, perché io non celebrassi mai nelle classi la giornata della memoria. Dopo aver cercato per un attimo di svicolare dal discorso, ho affermato che la consideravo strumentale a giustificare la politica aggressiva dello Stato d’Israele in Medio Oriente, con l’intenzione di non andare oltre sulla questione, che percepivo, sin dall’inizio dell’anno, assai delicata nella classe in questione"

La dichiarazione – che coraggio ha Pallavidini! O la sua è semplicemente una dichiarazione ovvia fino alla banalità in una società malata di Grande Paura? – e poi il casino: la figlia riferisce alla madre, che riferisce alla Preside Zanini che riferisce al Direttore Generale dell’Ufficio Provinciale Catania che riferisce al suo omologo Regionale De Sanctis che incarica l’ispettore scolastico Favro che nello stesso giorno del ricevimento della lettera – siamo arrivati al 31 gennaio – si precipita a scuola a compiere il suo dovere, e – assente il professore in giorno libero – lo convoca a colloquio per il giorno successivo.

Il tutto mentre il caso monta lungo altri due binari: la stampa, innanzitutto, e cioè Martinengo: no, non il paese del Bresciano, ma Maria Teresa, giornalista, che spara a titoli cubitali sul quotidiano di Torino, "prof in cattedra: ‘Israele va distrutto’ " e ci va giù pesante col professore che pure nel testo dell’articolo non conferma quella frase. Strano, sembra un linciaggio: strano, per il quotidiano già diretto da Alberto Papuzzi.

Il secondo binario è di nuovo istituzionale: il 27 febbraio infatti, la Preside Zanini invia un fax alla ASL di Torino per chiedere la visita medico-legale per il professore. Procedura dubbia, fin dall’inizio: la preside, Clelia Zanini, agirebbe nientemeno che ai sensi del mitico Statuto dei Lavoratori, perché sarebbe lei nel caso specifico il "datore di lavoro" di cui all’art. 5. Senonché questo articolo parla solo di facoltà "di controllare la idoneità fisica del lavoratore", e il Decreto ministeriale del 21 giugno 1996, fissando i ruoli nel pubblico impiego corrispondenti al privatistico "datore di lavoro" aggiunge "per quanto riguarda gli obblighi di competenza".

E allora, che tipo di visita andrà a subire il professor Pallavidini, solo fisica? Oppure anche "psicologica", e se sì, in questo caso che c’entra l’articolo 5? E ancora: una visita di tal fatta – un enorme successo dei nemici del Pallavidini, che finalmente lo vedono incastrato – riguarda gli obblighi di competenza del datore di lavoro locale, o non piuttosto del datore di lavoro superiore, l’Ufficio scolastico territoriale? Ed anzi, di più: visto che il datore di lavoro è colui che elargisce lo stipendio, e visto che lo stipendio del prof. Pallavidini è statale, non dovrebbe essere il Ministero ad assumere in prima persona – magari tramite delega ufficializzata agli Uffici scolastici decentrati – il caso, prima che tutta la procedura parta in modo regolare?

Domande che restano sospese nell’aria, mentre il carro armato invasore del libero e sovrano insegnamento avanza e bombarda. A Torino – la Torino resistenziale azionista, non garibaldina – resistere a certi carri armati è indubbiamente difficile.

Ecco dunque il colloquio dell’ispettore Favro col professore Pallavidini, il 1 febbraio 2007 – un colloquio a porte chiuse, senza registratori, senza testimoni, durante il quale Favro ascolta e prende gli appunti che vuole – ed ecco il risultato, la sua relazione – dove ancora l’ispettore ha scritto quel che ha voluto scrivere - consegnata al superiore committente in data 7 febbraio e spedita il 2 marzo successivo a Pallavidini da Pessano. La signora Rossana Pessano, Ufficio VIII della Direzione

Generale dell’Ufficio Regionale per il Piemonte, che comunica al prof anche una serie di "addebiti".

Leggiamo prima la relazione, e poi gli addebiti. Dal documento si evince innanzitutto che l’ispettore Favro aveva ricevuto incarico non solo di condurre una indagine sul "fattaccio" del 26 gennaio ma addirittura di "presenziare alle lezioni (sic: plurale) tenute dal Docente", epperò assente in quei giorni per malattia.

Domanda: quale titolo ha un ispettore ministeriale per giudicare in prima persona – in quanto uditore diretto di una lezione – della validità correttezza e professionalità delle lezioni di un quale che sia docente, passato al vaglio – prima di insegnare per più di vent’anni nelle scuole della Repubblica – dell’esame di Stato di idoneità, esame condotto da commissari competenti a giudicare perché anch’essi insegnanti?

Nessun titolo. Per giudicare il prof. Renato Pallavidini, ci vorrebbero semmai altri docenti, e non un ispettore ministeriale. E allora: non è questa direttiva dell’Ufficio scolastico territoriale, palesemente illegale e incostituzionale, lesiva in particolare dell’art. 33 della Carta fondamentale della Repubblica, che difende la libertà di insegnamento? E se è così, non si è di fronte ad un vero e proprio atto persecutorio da parte di un organo "deviato" dello Stato nei confronti del prof. Renato Pallavidini?

Altra domanda in sospeso. Ma andiamo avanti nella lettura del rapporto Favro. Il quale "in via preliminare" (sic) produce gli allegati, che in genere, nella redazione di qualsiasi atto seguono l’atto stesso, perché supporto di quanto autonomamente e preliminarmente scoperto o indagato dal suo estensore: mentre qui, nell’atto di accusa contro il prof. Renato Pallavidini, fin da subito (p. 1) vengono offerti alla visione del Superiore committente l’incarico. Quali allegati? "Gli articoli di Stampa (sic: maiuscolo) che hanno sollevato, diffuso e con varie sfaccettature, illustrato l’episodio, il docente progatonista, l’intervento dell’Amministrazione scolastica". Favro alla scuola di Jabotinsky, o meglio della Martinengo: perché qui appunto il quarto potere è in salsa e dimensione torinese, e non dà il là a "ministri" e "capi di stato" – come nel caso dal grande leader sionista – ma, appunto, a un periferico ispettore scolastico.

Il piatto sembra già preparato, fin dall’inizio: a che pro un comunicato stampa dell’Ufficio scolastico ancora a fine gennaio, se non per amplificare il caso prima ancora di capire se lo è veramente? E non ha del resto emesso già la condanna nei confronti del professore, appena pochi giorni dopo la domanda galeotta, e una settimana prima che il rapporto Favro venisse consegnato ai superiori, il dottor Antonio Catania, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, quando ha dichiarato alla solita Stampa del 1 febbraio che il professore avrebbe potuto ottenere dalla Direzione scolastica regionale "un parere migliorabile: tre mesi di sospensione anziché sei, per esempio"? A che serve l’ispezione se la condanna è già emessa, e si deve solo decidere l’ammontare della pena? Non è quello del dr. Catania oltre che un attacco "preventivo" a Pallavidini – e come tale a rischio di pesante diffamazione - una interferenza nei confronti dell’ispettore Favro – che proprio il 1 febbraio aveva

fissato un colloquio con il professore - e persino del suo "superiore" De Sanctis, il committente formale dell’indagine affidata a Favro?

Ma andiamo ancora avanti. Innanzitutto colpisce l’enfasi con cui la relazione tende, con diversi aggettivi o con incontri selezionati, a costruire una immagine di completo isolamento del prof. Pallavidini dentro la sua scuola: "l’intero Istituto – scrive ad esempio Favro - aveva chiesto ed ottenuto un’Assemblea degli studenti sulla vicenda", alla quale era stato invitato "il vicepresidente della Comunità israelitica di Torino". Domanda: come fa Favro a sostenere che l’Assemblea e l’invito siano stati richiesti "dall’intero istituto" senza produrre alcun documento in merito, magari una raccolta di firme? E se non esistono prove cartacee, ha forse il Favro interrogato tutti gli studenti della scuola?

No di certo. Come non sembra neppure aver sentito, a smentita della perentoria sua affermazione "gli allievi della classe I E attestano che …", le classi al completo di Pallavidini. Secondo l’avvocato Giuseppe Zucco, difensore del professore, l’ispettore Favro ha interrogato in una riunione ristretta solo degli studenti contrari al suo assistito, alcuni neppure suoi allievi. Del resto, che il rapporto di Favro sia a rischio di forte faziosità lo dimostrano le dichiarazioni rese da altri giovani, che con diversi toni hanno difeso il loro prof: il quale, dicono, ci insegna con un taglio anche superiore a quello di un liceo, di tipo universitario, è bravo colto e preparato: anzi "preparatissimo". Perché nel rapporto Favro non emerge alcun accenno a queste voci, raccolte – sia pure tardivamente, e a linciaggio avviato - anche da la Stampa? Perché Favro ha riportato solo le critiche al docente?

Del resto, anche nel presentare i suoi colloqui con uno dei due (sic) genitori che avevano segnalato l’episodio del 26 gennaio – "la dottoressa Lowenthal" - l’ispettore scivola in una affermazione non confortata da prove, lì dove scrive che "la signora Elena Lowenthal esprime il disagio della classe e dei genitori per le affermazioni del Docente …": con tutto il rispetto per la collega, esisteva una qualche delega certa e documentata delle classi del prof. Pallavidini dalla quale si evincesse che la studiosa stava parlando all’ispettore Favro a nome di tutta la classe? O l’ispettore già abbacinato dal fulgore del "quarto potere" torinese, è rimasto abbagliato di fronte alla indubbia autorità di chi aveva davanti, attribuendole una rappresentatività mai dichiarata?

* * *

Dalla costruzione un po’ forzata di un isolamento totale che non c’è – ci sono ovviamente le critiche di alcuni, anche dure, le polemiche, e perché no, magari anche un po’ di mobbing - alle accuse rivolte "dagli studenti" al professor Pallavidini.

Ecco la principale, il casus belli: "alla fine della lezione di Filosofia ove veniva trattata la tematica della ‘Repubblica’ di Platone, e prima della lezione di Storia,

ove si parlava della politica di Filippo II" (dal che si deduce, per inciso, che Pallavidini è stato tirato per i capelli a discutere della Giornata della Memoria), il professore avrebbe detto che "Israele utilizza la giornata della Memoria per giustificare, anzi nascondere le sue colpe politiche genocide contro (sic: il mancato presenziatore Favro avrebbe dovuto anche controllare il buon italiano del professor Pallavidini, mentre faceva lezione?) i Palestinesi ed in Medio Oriente, compresa quella porcata più grossa che è la guerra contro il Libano". E allora? Dov’è lo scandalo? Italiano a parte, si tratta di una affermazione probabilmente condivisa da tre quarti dell’umanità e comunque .- anche non fosse vera siffatta percentuale – assolutamente lecita senza essere accusati di sacrilegio. C’est la guerre, c’est la politique : acqua fresca, insomma.

Prosegue poi Favro la frase appena citata attribuita al professor Pallavidini: «E ciò avviene senza alcun motivo e senza giustificazioni perché non vi sono Stati ostili ad Israele nel Medio Oriente". Domanda: l’esternazione di Pallavidini è qui ben riferita, o questa frase - in sé assurda - è invece una pessima trascrizione di altro e diverso giudizio del professore, e cioè che gli Stati arabi non ce l’hanno con gli israeliani aprioristicamente – "solo in quanto ebrei", come recita certa propaganda che fa dell’antisemitismo lo scudo difensivo di Israele – ma solo per alcuni eventi precisi di cui i coloni ebrei si sono resi, e si rendono tuttoggi protagonisti, come l’occupazione illegale di terre palestinesi, la cacciata dei profughi, la distruzione dei villaggi? Se così fosse, questo vorrebbe dire solo due cose: o che Favro non capisce quel che gli si dice, o che fa finta di non capire a fini di migliore demonizzazione della sua vittima.

Dalla probabile deformazione-incomprensione, all’ignoranza totale della storia e della stessa cronaca attuale: "Hezbollah è un esercito popolare partigiano – dice Pallavidini sempre secondo la catena di trasmissione studente-ispettore - che difende il territorio libanese ed Ahmedinejad è il Presidente della Repubblica iraniana democraticamente eletto": verità ineccepibili, che solo un imbecille o un imbroglione può contestare. Non si capisce dunque lo scandalo ance per questa frase. "Appena" nel secolo scorso, all’Ipalmo – l’Istituto per l’America latina e il Medio Oriente gestito da tutti i partiti di quello che si definiva arco democratico, partito liberale incluso – i movimenti di guerriglia delle allora colonie portoghesi accusati da Lisbona di essere "terroristi", o l’ANC sudafricano – anch’esso "terrorista" secondo i razzisti di Pretoria – erano ritenuti appunto "eserciti" e "movimenti" "popolari partigiani". Se l’ispettore Favro ignora l’abc della storia della decolonizzazione e della cronaca attuale (come negare che Ahmedinejad sia stato eletto democraticamente?) non ha i titoli per ispezionare un docente che dice la sacrosanta verità. Non riesce evidentemente a comprendere i fatti, o per un limite personale o per effetto del clima subculturale dei nostri tempi, propinato a piene mani da falsi professionisti – come quelli che ad esempio, dalle colonne della "autorevolissima" stampa giuravano che Saddam aveva le armi di distruzione di massa – alla pubblica opinione.

Ma non è finita: "il docente - scrive ancora l’ispettore - riferisce inoltre, sempre all’interno della lezione, che ‘Hezbollah è il suo ideale politico’ ": frase negata da Pallavidini - "mai detto questo!" dice - e dunque probabilmente "dedotta" dalla sua corretta e politologicamente scientifica definizione degli Hezbollah come "movimento partigiano". Del resto la faziosità dell’ispettore risulta evidente anche dalla maliziosa specificazione: "sempre all’interno della lezione". E’ forse il proseguimento di una lezione, una risposta a una domanda di una studentessa, che viene offerta da Pallavidini dopo – per citare lo stesso Favro – la sua lezione su Platone e prima di quella su Filippo II, e che impegna il docente e tutta la classe per una decina di minuti al massimo? Nessun altro insegnante d’Italia fa mai qualche divagazione rispetto all’ "ora di lezione", su quale che sia argomento non rigorosamente attinente ai programmi ministeriali?

***

Fin qui la voce dei veri o presunti testi attendibili, accuratamente selezionati. Adesso arriva il bello: l’ispettore passa in effetti – secondo il testo del suo rapporto - ad un vero e proprio interrogatorio politico del professore, di quelli che neppure più nei nostri commissariati si fanno più, per acquisito rispetto delle norme costituzionali. L’avvio è il presunto identikit politico ideologico di Pallavidini, "comunista degli anni ’70, di taglio marxista leninista ora convertito all’estrema destra". Una sintesi un po’ troppo sintetica, confortata da allegato articolo del Pezzana, tanto per essere olimpicamente sereni e obbiettivi, e che mostra la assoluta ignoranza dell’inquisitore di un fenomeno epocale emerso in Russia come in Yugoslavia, e persino in certe revisioni storiografiche della resistenza pubblicate da La stampa. E cioè l’irrompere ovvio nelle tendenze comuniste e socialiste radicali, in un’epoca caratterizzata dallo sfondamento delle sovranità statuali esistenti da parte sia della globalizzazione che degli interventi "umanitari" armati, di una forte componente nazionalitaria. Ma a Favro probabilmente capire e riferire queste cose - che comunque non sono suo compito istituzionale: non si indaga sulle idee politiche di un quale che sia dipendente statale - interessa poco. A lui interessa mettere alla gogna il pensiero, l’ideologia, le opinioni politiche Pallavidini, l’ex marxleninista "convertito"all’estrema destra. Very professional l’ispettore!

In effetti, già nel suo inizio l’interrogatorio di Pallavidini da parte di Favro è di una gravità inaudita: non solo perché si svolge a porte chiuse, senza un registratore, senza testi, e dunque l’inquisitore potrà scrivere alla fine quello che vuole, ma anche perché, appunto, come prima cosa pretende di indagare sulle idee politiche del professore: certo, potrebbe essere stato il docente ad esordire di sua iniziativa in tal modo, perché pressato dal clima di assedio e di offensiva subita; certo, poi la relazione passa ai fatti raccontati da Pallavidini, ma questi sono sempre filtrati dall’interpretazione del Favro, il quale trascrive possibili espressioni della sua vittima, che nella scorrevolezza di una comunicazione orale sono del tutto normali -

"saltano su due studenti", "il gusto della provocazione", "mi contestavano", non si sa chi, etc. - ma che selezionati accuratamente e accuratamente montati, assumono i contorni di un infierire impietoso del carnefice sulla vittima designata: designata da Martinengo e da Catania e destinata agli addebiti di Pessano. Una bella catena che si stringe inesorabile attorno al prof, colpevole fra l’altro di aver fatto qualcosa di più della media di tanti insegnanti: scrivere libri e ottenere, anni fa, un incarico didattico all’Università di Torino.

Stiamo esagerando sulla faziosità di Favro, e sulla impugnabilità (anche) del merito della sua relazione? Non ci pare proprio: dopo i "fatti" da lui riassunti, per restare al punto, Favro riporta una memoria scritta dello stesso Pallavidini di ben altro tenore e levatura. Due questioni al proposito.

La prima riguarda la memoria scritta in relazione alle dichiarazioni a voce trascritte senza alcuna prova e verifica dal Favro: la prima fa fede, le seconde sono di dubbia validità. Che senso ha in effetti la trascrizione? Non poteva Favro, chiedere pur dopo il colloquio informativo, semplicemente la memoria scritta, invece di voler beccare l’ "indagato" nelle sue possibili, normalissime, eventuali defaillances da colloquio inquisitorio, preceduto per altro dai bombardamenti de la stampa?

La seconda riguarda la memoria in sé, che non conosciamo per intero, perché l’ispettore ne pubblica solo stralci: il professore ricorda l’episodio della domanda, la sua necessaria risposta, e le sue idee, la cui libertà di espressione è garantita dalla Costituzione italiana anche nella pratica dell’insegnamento: attaccato con violenza nei giorni precedenti, Pallavidini risponde con dignità: "Queste mie posizioni (e cioè, come da citazione precedente, la definizione di "atto criminale" del "bombardamento israeliano sul Libano") le rivendico con orgoglio Faccio anche presente che la libertà d’insegnamento comporta anche la libertà di proporre le proprie opinioni su fatti di storia contemporanea e di attualità, avviando su di essi la discussione in classe: se lo si può fare sui problemi ecologici, o sulla Riforma Moratti, perché non lo si può fare sulla politica israeliana e americana in Medio Oriente?"

Domandiamo: cosa c’è di strano o di sacrilego in questa affermazione? Storia e filosofia sono discipline impossibili a essere "depurate" fino a renderle "asettiche" e "neutrali": quale insegnante di queste materie, di qualsiasi credo o tendenza, non ha potuto fare a meno di esternare "dentro la lezione" anche giudizi di valore propri, come tali non per forza di cose condivisi dagli studenti e dalle loro famiglie? Quale insegnante cattolico credente della scuola pubblica, parlando di Gesù Cristo, ha potuto fare a meno di evocarne la divinità, invero presunta per qualche suo allievo? Quale insegnante comunista ha potuto fare a meno di dire la sua, sulla resistenza garibaldina, e magari sul "triangolo della morte"? Quale estimatore di Pansa ha potuto fare a meno di esternare ai suoi giovani studenti la sua revisione di alcune pagine difficili del movimento partigiano? Quale insegnante fascista, non ha sottolineato con parole sue il dramma delle foibe, magari scontrandosi con i suoi studenti comunisti? Quale insegnante ebreo ha potuto fare a

meno di esaltare una peraltro ridicola, antistorica, dogmatica "unicità" dell’Olocausto, del cosiddetto "olocausto", un termine religioso applicato impropriamente a un evento storico?

Ma proprio questo è pluralismo, questa è libertà di insegnamento: come dice correttamente Pallavidini, che precisa non a caso, dimostrandosi conciostesso rispettoso delle opinioni degli studenti: "avviando la discussione in classe". E come invece nega, nei fatti e nelle idee, l’ispettore Favro, il quale attribuisce a Pallavidini frasi che il professore respinge come mai pronunciate ("semplicemente mi si vuole incastrare" dice l’insegnante con riferimento alla "distruzione di Israele" e alla sua presunta "conversione alla destra") e che, livido di faziosità, inserisce un proprio punto interrogativo persino a fianco di un banalissimo verbo utilizzato dal professore proprio per "scusarsi" del fatto di essere stato trascinato a parlare di politica in classe.

Recita infatti la memoria scritta di Pallavidini: "non potei esimermi dall’affermare che il recente bombardamento israeliano ….".

La trascrive e "commenta" il Favro: "non potei esimermi (?) dall’affermare …".

Inaudito. L’ispettore chiosa col suo punto interrogativo persino il verbo utilizzato dal professor Renato Pallavidini. Non gli piace, non gli va giù: secondo lo Zingarelli "esimersi" vuol dire semplicemente "sottrarsi" e dunque indica al negativo ciò che è effettivamente accaduto con la domanda trappola del 26 gennaio sulla Giornata della memoria. Ma forse Favro pensa che quel verbo possa utilizzarlo solo qualche cittadino di razza superiore. Forse anche l’ispettore Favro sogna di appartenere a un mondo altolocato. Non che possa credere di discendere da quel Favro che nel lontano XVI secolo, ad Asolo sconvolta da una strage di Ebrei, era in corrispondenza con Calimano 1. Sarebbe assurdo, ma certo in quel disprezzo per la sua vittima, simboleggiato meglio di ogni altra cosa da quel ridicolo e saccente punto interrogativo c’è tutta l’arroganza del kapo’ torinese alle prese col suo prigioniero: il professor Renato Pallavidini, tre libri, un curriculum professionale più che dignitoso, ma colpevole di coerenza e beccato opportunamente in un momento di bassa, come capita a tutti, per questioni personali, la rottura (da lui stesso provocata) con la moglie. Diabolico, se non fosse casuale.

E comunque, di nuovo inaudito: qualcuno potrebbe farneticare di voler sottoporre a ispezione l’ispettore, che peraltro col suo abusivo punto interrogativo ha anche alterato la memoria del professor Pallavidini, ma bisogna avere coraggio nel nostro paese, perché qui i paesi e il potere "geografico" con cui ci si scontra sembrerebbero indecifrabili e dunque molto pericolosi. E’ una catena di difficile lettura in effetti quella che ha innescato la macchina tritacarne

1 Enrica Feltracco, Gli Ebrei a Asolo nel Cinquecento: il processo alla strage (1547) e il carteggio Calimano-Favro (1554),

mescolando fatti veri a fatti presunti, rilievi giusti ad abusi di potere. Pallavidini: "non intendo arrivare allo scontro frontale con la lobby ebraico-azionista di Torino". Lui Pallavidini, certo che no. Ma la "lobby"?

***

La relazione Favro prosegue poi con "una sintesi della presenza del prof. Pallavidini nel Liceo Classico ‘Cavour’ " prodotta dal Dirigente Scolastico, la preside Zanini. E’ un documento rivelatore di una diversità profonda fra i due docenti, ancora più marcata all’epoca del primo incontro, il 18 luglio 2005, data della presa di servizio di Pallavidini nella nuova scuola: da una parte una Preside con alle spalle uno stato di divorzio lungo e (come sempre in questi casi) doloroso, dall’altra un quarantenne brillante e allegro, sposatosi da poco con una bellissima donna e nel pieno di una grande effervescenza intellettuale. Questo il privato. Sul piano professionale, la Dirigente scolastica è sostanzialmente priva di una buona preparazione umanistica – era stata Preside fino a poco tempo prima dell’Istituto tecnico Guastalla – mentre Pallavidini insegna storia e filosofia. Due mondi distanti, resi ancora più incomunicabili dai differenti percorsi ambientali nella rete un po’ monocorde della scuola pubblica di Torino e dintorni: la Zanini grande amica della Preside del liceo linguistico Gioberti Angela Suppo, già in conflitto aperto con Pallavidini sul solito nodo della libertà di impostazione dei programmi di insegnamento; lui invece, in rotta da tempo con l’ambiente sindacale torinese, secondo peraltro una tendenza generale degli ultimi decenni, quella che ha dato vita a formazioni sindacali nazionali combattive come Gilda e i Cobas scuola. Ma a Torino quel giro sindacale – che ruota attorno alla CGIL, a cui è iscritta alla CGIL - è fortissimo e schiaccia le "intemperanze" e gli autonomismi del professore.

Ecco dunque che il primo contatto fra la Preside Zanini e Pallavidini non è proprio quello che si dice di benvenuto cordiale: il rapporto Favro riporta stringatamente che in quell’occasione – 18 luglio 2005 - la Preside rese "edotto" il nuovo docente "circa le linee organizzativo-didattiche seguite dalla scuola improntate a chiarezza linearità e consequenzialità". Ma i toni dovettero essere un po’ duri, "preventivi" e di monito rispetto a possibili "devianze" del collega, visto che Pallavidini avrebbe lamentato con una lettera alla Zanini in data 30 luglio di essere "uscito turbato e soggettivamente offeso" dal colloquio, avendone "ricavato la sgradevole impressione di essere stato preceduto al Cavour da ben precise voci diffamatorie sulla mia persona del tipo ‘in classe fa solo Hegel’, ‘ha un’impostazione marcatamente ideologica’ ": voci delle quali egli accusa "circuiti sindacali la cui essenza è l’ottusità burocratica, quindi l’incapacità congenita di comprendere e tollerare ogni originalità critica e differenziazione qualitativa individuale".

Rivendicazione di autonomia dunque, quella del docente che, rafforzata (almeno così lui ingenuamente crede) da "un curriculum di 17 pubblicazioni scientifiche, fra articoli e libri, molte in uso presso l’Università di Torino e citate da siti universitari internet italiani, americani, francesi", non vuole essere lesiva degli indirizzi didattici

di base dell’Istituto, perché è da concretizzarsi, secondo quanto scrive, in "un programma di storia della filosofia (e di storia)" che proceda "alternando momenti di approfondimento critico e momenti di svolgimento più manualistico, originalità interpretativa … e funzionalità didattica".

Sta rivendicando forse la luna Pallavidini? Non sembra proprio: quello che chiede è il rispetto di un diritto inalienabile di qualsiasi professore di liceo - la libertà dell’insegnante di tradurre in pratica quotidiana i programmi stabiliti dal Ministero - e forse di qualsiasi operatore didattico di ogni ordine e grado della scuola pubblica italiana: e lo chiede con toni sì fermi ("non intendo fare polemiche, ma neppure subirle passivamente, né espormi alle vendette postume di certi ambienti dell’ambiente scolastico e sindacale torinese") ma anche educati e rispettosi della sua "Stimatissima Preside" che saluta in chiusura con un cortese "i miei rispetti". Alla Preside Pallavidini chiede in particolare un rapporto "senza reciproci pregiudizi" e caratterizzato da "reciproca serenità". "Non è con spirito polemico – precisa ancora Pallavidini – che entro nel liceo Cavour, ma per operarvi serenamente e proficuamente in un ambiente liceale che, secondo quanto mi avevano assicurato, aveva mantenuto intatte la sua serietà e la sua liberalità intellettuale, nonostante il passaggio alla scuola berlingueriana dell’autonomia".

Autonomia berlingueriana? Sindacati? "Ambienti scolastici"? Pallavidini – che fra l’altro si è permesso di scrivere alla sua Preside, dopo le offese da lui percepite nell’incontro del 18 luglio, "su carta intestata dell’Università di Torino" - pesta i piedi a troppi poteri. Anziché dunque ravvedersi, la Zanini – appena terminate le vacanze - riconvoca il collega a settembre e gli ricorda perentoriamente che "non ci si trova in ambito universitario" e che la "programmazione deve seguire le indicazioni offerte dai programmi ministeriali vigenti". Ipsa dixit.

Dopo il contatto d’avvio poco piacevole, l’anno scorre tuttavia complessivamente tranquillo: "solo alla fine"- recita il documento della Zanini citato dall’ispettore Favro - "alcuni" genitori della I E avrebbero espresso "verbalmente" doglianze sulla conduzione didattica del Professore, con una mamma che a giugno avrebbe deciso di trasferire la figlia ad altro liceo "a causa delle modalità di insegnamento del docente".

Segnali di tragedia? Di gravi inadempienze del professore (assenze a parte ma "per motivi di salute" come scrive la stessa Zanini)? O di deficienza dei metodi di insegnamento? Alzino la mano gli insegnanti di scuole medie inferiori o superiori che non abbiano incontrato problemi del genere, con "alcuni" genitori che nel corso dell’anno – e non alla fine – non abbiano espresso - a torto o a ragione qui non interessa - delle riserve verbali sul loro modo di insegnare. Credo siano tantissimi, spia di un fenomeno fisiologico tutto sommato positivo interno al rapporto docente-studente-famiglia. Qualcosa di assolutamente normale.

Ma quell’alunna persa per il Cavour, e le pur limitate e tardive lamentele di "alcuni" genitori diventano motivo, per la Preside, di incattivire i controlli su Pallavidini.

Prosegue dunque la "sintesi" citata nel rapporto Favro; "Il Dirigente scolastico (i.e. Zanini), sulla base di quanto emerso nel precedente anno scolastico (??? ma cosa mai era emerso?), ha provveduto a:

- assegnare al Docente (Pallavidini) le classi IE, IF e II F, fatto di cui l’insegnante si è dispiaciuto (La Zanini non specifica perché, e avrebbe dovuto farlo);

- presenziare sistematicamente alle riunioni che lo coinvolgeranno;

- esaminare (giorno dopo giorno?) i registri e la documentazione didattica".

Mbeh, questo potrebbe essere proprio mobbing, col professor Pallavidini che viene impedito nel naturale passaggio dalla I alla II liceo (dove andranno i suoi ragazzi di prima, seguiti però non da lui ma da un altro docente) e questo nonostante che le critiche più o meno infondate che gli venivano rivolte ("troppo Hegel", "troppo difficile") avrebbero potuto essere "sciolte" proprio mettendolo in condizione di insegnare a giovani più grandi, capaci di capire meglio le sue (presunte) "difficili" lezioni.

Ma la Zanini non la pensa così, il suo obbiettivo è evidentemente "ridimensionare" il presuntuoso Prof, tanto più che nel frattempo Pallavidini ha pubblicato tre libri di filosofia frutto dei suoi lunghi anni di insegnamento e di ricerca: ecco dunque che non solo la Preside blocca la naturale progressione interna del docente, ma addirittura inizia a "presenziare sistematicamente alle riunioni" in cui è presente Pallavidini.

Incredibile. Tutto sommato la Preside è ingenua: ammette qualcosa della cui gravità forse non si rende conto, e cioè una sua attenzione persecutoria nei confronti del malcapitato collega; non solo, ma come un poliziotto, la Zanini si mette a controllare (giorno dopo giorno?) i registri del professore, per vedere cosa mai le combina - a lei, che di filosofia ci capisce ben poco – il professore: il quale reagirà nel modo più normale possibile, e cioè una sorta di rifiuto a curare i registri di classe, evidentemente per quella inconscia paura (inconscia perché alla fin fine Pallavidini di coraggio ne ha tanto) tipica delle situazioni di mobbing, effetto nello specifico dell’ossessivo e poliziesco controllo sul suo operato di docente da parte della Preside. La quale, si badi bene, benché non abbia preparazione umanistica, pretende persino di controllare la documentazione utilizzata dal docente per le sue lezioni, tipico strumento didattico degli insegnanti più impegnati nel loro lavoro, e più creativi. Inaudito, inaudito, inaudito: forse sarebbe necessario ispezionare ben altra che il professor Pallavidini. Ma bisogna vedere se gli ambienti "di sinistra" (di sinistra?) con cui si è scontrato il prof non siano ritenuti troppo contigui e intoccabili dal Ministero del governo Prodi. Chissà.

Che ci sia forte odore mobbing in tutta questa incredibile storiaccia del Liceo Cavour di Torino, vittima il professor Pallavidini, lo dimostra anche il seguito della "sintesi" riferita dall’ispettore, nella quale la Zanini non solo rivela che già ai primi di novembre "alcuni genitori" avevano espresso "perplessità sulle modalità di insegnamento" di Pallavidini (come mai già un mese e mezzo dopo l’inizio della

scuola?), ma inoltre riferisce e precisa un paio di dati assolutamente insignificanti, tranne appunto che non sussista un pregiudizio persecutorio nei confronti del professore: a che scopo infatti ricordare "l’opposizione all’elaborazione della prova comune prevista per le classi II" di Pallavidini, in contrasto con una "prassi consolidata per tutte le discipline del liceo", se non in base ad uno schema mentale che individua in una legittima voce di dissenso, una "devianza" pericolosa da chissà quale dogma e ordine costituito? A che pro citare come problema utile per l’ispezione Favro, la "regolare" presentazione "del piano di lavoro" di Pallavidini che "anche a giudizio del Docente coordinatore del Dipartimento di Storia e Filosofia" "non pare adito a osservazioni", se non perché si assegna a quel "pare" una valenza di sospetto precostituito verso il docente "ribelle" e perciostesso da tenere sotto "sistematica" osservazione? Altro segnale di forte squilibrio.

E perché a tanta "precisione" su questi due aspetti inutili ai fini di una ispezione seria, non corrisponde altrettanta precisione da parte della Preside nel raccontare come si sono verificati veramente i fatti nel Consiglio di classe di novembre, quando almeno tre o quattro genitori sono intervenuti in difesa del professor Pallavidini, chiedendo – contro le critiche di un altro genitore, uno solo - che proseguisse con il suo solito metodo di insegnamento?

***

Fin qui la sintesi del Dirigente scolastico, che culmina con la citazione di una lettera di un genitore del gennaio 2007 che lamenta "un clima generale di disorientamento e di insoddisfazione" (E dai! in questa vicenda più di una persona pretende di parlare a nome di "tutti").

Adesso, nella relazione Favro, la palla ritorna direttamente all’ispettore che inizia un nuovo paragrafo del suo rapporto riproducendo i brani della "relazione finale della Commissione giudicatrice per la valutazione comparata a n. 1 posto di professore universitario di ruolo di seconda fascia", a suo dire significativi per, e coerenti con, una esposizione che punta sempre più visibilmente al massacro del professor Pallavidini.

Ecco dunque il nostro ispettore all’opera, con una sintesi che certo poggia sul documento originario allegato, ma che è così piena di omissioni e di "errori" da risultare alla fine non veridica e deviante:

1) Favro non esplicita che il concorso universitario tentato dal prof. Renato Pallavidini senza successo (come accade a centinaia e centinaia di altri candidati a un posto d’insegnamento all’università in Italia), risale al settembre 2001, quasi sei anni fa: come se – al di là di come l’ispettore tratta maliziosamente e omissivamente la vicenda in sé - nei cinque anni e mezzo trascorsi, non potessero esserci stati miglioramenti professionali da parte del docente, come in effetti è peraltro stato grazie alle nuove pubblicazioni di Pallavidini, assolutamente non citate nel rapporto dell’ispettore.

2) Ecco dunque che in apertura della sintesi di Favro della "Relazione finale" della Commissione di concorso, si legge: "Relazione finale (come si trattasse

 

di un giudizio collegiale): ‘Salvo l’iniziale lavoro hegeliano, la produzione del candidato non appare conseguente con il gruppo disciplinare’". A parte che una tale citazione non c’entra nulla con le stesse perverse finalità dell’ispezione (la Commissione d’esame ha ritenuto che il candidato Pallavidini avesse curato troppo poco la dimensione storica della disciplina, che era – Favro omette di riferire questo dato - "Storia della Filosofia": ma al liceo il professore insegna Storia e Filosofia, e quindi la pretesa annotazione critica del Favro è senza senso, e rivela solo o la sua incapacità di comprendere o il suo pre-giudizio antiPallavidini), quello dell’ispettore è un sostanziale travisamento del documento citato: infatti la citazione è tratta non dalla collegiale "relazione finale", come lascia intendere il Favro, ma dal giudizio di un solo commissario contenuto nell’allegato A "Giudizio individuale sui titoli e le pubblicazioni scientifiche". Errore involontario quello dell’ispettore?

3) Favro riporta poi il giudizio collegiale sui titoli e sulle pubblicazioni scientifiche – da lui impropriamente presentato come "giudizi", come si trattasse di giudizi appunto di singoli commissari - nel quale si legge che se Pallavidini "ha fornito contributi alla discussione su alcuni nodi del dibattito politico-sociale" (il che è tutt’altro che un giudizio negativo, perché si riconoscono dei meriti al candidato) tuttavia, di nuovo, "le basi storico-critiche di tali contributi appaiono talvolta incerte". Un giudizio che, al di là del merito specifico, di nuovo non c’entra nulla con l’oggetto dell’ispezione, ce riguarda – ripetiamo - un professore di Filosofia, e non di Storia della Filosofia.

4) Altro "errore" del Favro: l’ispettore titola "Giudizio individuale e collegiale sulla discussione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche", quelli che sono invero giudizi individuali di tre soli commissari, peraltro i più critici, e peraltro nonostante questo, comprensivi di aspetti positivi che Favro sembra neppure saper cogliere: perché in effetti l’ispettore sottolinea quasi si trattasse di un difetto del docente ispezionato quel "tende a procedere a reinterpretazioni del lessico politico e giuridico", locuzione che in realtà mette in luce una originalità dei suoi studi e pubblicazioni?

5) Altre imprecisioni, quelle relative alla prova didattica (a cui peraltro Pallavidini è arrivato, cosa che notoriamente costituisce un merito per quale che sia candidato) che a questo punto difficilmente possono essere viste come involontarie, perché fondate su una accurata selezione dei passaggi negativi contenuti nei diversi giudizi e in quello collegiale. Esempi:

I°, Favro taglia nel giudizio di un commissario la prima mezza riga "l’esposizione è chiara ed efficace" (si noti bene, giudizio ottimo per un liceo, e che annienta le critiche dei nemici di Pallavidini a proposito di un suo presunto insegnamento "confuso");

II°, Favro taglia da un altro giudizio la parte finale: "La sua esposizione è chiara, ordinata e didatticamente efficace" (di nuovo un giudizio ottimo per un insegnante!!), e lascia solo la prima parte del giudizio "il candidato svolge

una lezione basata prevalentemente sulla letteratura secondaria", peraltro assolutamente accettabile per un insegnante di liceo.

III°, Favro taglia dal giudizio di un terzo commissario l’inizio, che dimostra ancora una volta che Pallavidini è un bravo insegnante, e cioè: "il candidato svolge la lezione con efficacia didattica e opportuni riferimenti, in larga misura attinti alla letteratura manualistica". Lascia invece la parte critica i cui contenuti, si badi bene, sono opposti a quelli sempre critici che Preside e altri nemici rivolgono a Pallavidini nel Liceo dove insegna. Questi dicono che il professore non segue il programma, non espone concetti "lineari", svolge lezioni "difficili". Il commissario rimprovera invece al candidato che "l’andamento dell’esposizione ha un carattere più assertorio che critico-problematico". Impostazione perfetta per un liceo, secondo i critici di Pallavidini.

IV°, Favro taglia e taglia ancora, con l’intento di infierire sulla vittima designata: mette infatti i classici tre puntini fra "la lezione" e "è costruita secondo un modello di ricerca che si nuove tra storia economica e sociologia", tagliando qualcosa. Cosa ? Di nuovo un giudizio sostanzialmente positivo sulla sua lezione universitaria del prof, e cioè che essa è "non priva di una sua efficacia didattica", a conferma che anche i commissari più critici riconoscono a Pallavidini i suoi meriti di bravo insegnante, di comunicatore chiaro di sapere.

L’ispettore Favro non sembra rendersi conto né di quel che può trasparire ad un occhio esperto di concorsi universitari (e cioè il riconoscimento unanime della "efficacia didattica" della lezione svolta dal professor Pallavidini, e nello stesso tempo la probabile discussione interna in sede di giudizio finale: il quale non sembrerebbe essere molto coerente con i giudizi anche collegiali parziali, secondo prassi non inusuale nei concorsi) né del contenuto delle selezioni che compie, a volte in contrasto col suo pregiudizio, di smentita cioè più che di conferma delle accuse che vengono rivolte al docente del Cavour dalla Preside. A lui basta selezionare tutto ciò che sembra terribilmente negativo per il professore, e sottolinearlo accuratamente senza dire peraltro che le sottolineature sono sue, di Favro, e non della Commissione, un po’ come ha fatto col punto interrogativo affiancato fra parentesi al già citato "esimersi".

Tutto questo perché? Al fondo di questa vicenda, che fa leva su uno stato di conflittualità preesistente sul luogo di lavoro, e che è iniziata non a caso con una "innocente domanda" di una studentessa sulla Giornata della Memoria, c’è quel che riferisce subito dopo la "sintesi" del verbale della Commissione di Concorso il rapporto Favro, due giudizi inaccettabili o comunque assolutamente politically uncorrect del professor Renato Pallavidini: su Israele e sul Mein Kampf di Hitler. Cosa ha scritto, e dove, Pallavidini, per subire il linciaggio che sta subendo?

(continua)