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Con molta schiettezza

di Gianfranco La Grassa - 16/04/2007

 

La maggioranza dei DS – in transito verso il partito democratico assieme ai loro sodali e assai simili margheritini – è un vero pantano, paradigma del caos in cui sta sprofondando l’intero paese. I vertici, e non solo, di tale melmosa organizzazione hanno da tempo rinunciato a, anzi sputato su, la famosa “quaterna”: Marx-Lenin-Stalin-Mao-tzè-tùng. Hanno poi “fatto giustizia” di Togliatti e, con appena un po’ più di ipocrita deferenza, di Gramsci. Infine, e ultimamente sempre più, si sono allontanati dall’eredità di Berlinguer. Sono diventati seguaci, ma con vaghezza di accenti e incomprensione totale del loro pensiero e azione, di Gobetti, dei fratelli Rosselli, forse di Giacomo Matteotti e altri del genere. Cercano perfino di annettersi Craxi, dopo averlo spedito in esilio con tutto ciò che ne è seguito. C’è da esserne indignati? Si, soprattutto per la loro assoluta inconsistenza e stupidità; condita certo da improntitudine, sfacciataggine, assenza di ogni moralità, menzogna e perversione di ogni pur debole baluginare di verità.

A mio avviso, sarebbe un errore trarre da questa indignazione l’impulso a ripercorrere vecchie strade. Senza dubbio, va indicata con disprezzo la pochezza e infamia dei dirigenti diessini, di cui quello considerato più intelligente – famoso come bombardatore della Jugoslavia, al servizio del democratico statunitense Clinton, sostenendo che si trattava di mera “difesa integrata” – è solo il ben noto “monocolo che è re nella terra dei ciechi”. Tuttavia, ricordiamoci sempre del detto secondo cui “gli stronzi vengono a galla quando si smuove (si rimescola) il liquame”. Ci sono fatti oggettivi, processi storici ineludibili (di degrado, di “fine di un’epoca”, ecc.), che selezionano “gli stronzi”; questi non “vengono a galla” se non nell’ambito di simili fenomeni di imputridimento e invecchiamento ormai inarrestabile di una certa corrente politica e ideale. Volerli contrastare solo “per stimoli di pancia”, per l’indignazione che ci soffoca di fronte a tanta infamia e viltà, è atteggiamento molto umano, comprensibile, ma non giustificabile oltre certi limiti. Quando si vede morire una persona a noi molto cara, è lecito e giusto opporsi al fatale Evento con tutte le forze, senza lasciar nulla di intentato. Ad un certo punto, però, o ci si rassegna o si va verso l’“accanimento terapeutico”, pretendendo l’onnipotenza in grado di sovvertire l’ineluttabilità del decorso biologico che vede nascita, sviluppo e maturazione, stasi e poi decadenza di un organismo fino all’immancabile fine.

I processi storici hanno andamento simile. Vorremmo ripercorrere le stesse tappe della Rivoluzione francese? Sono contro i revisionismi storici che oggi pretendono di infangarla; e sono contro l’analogo, anzi più infame, tentativo nei confronti della Rivoluzione d’ottobre, del movimento comunista del novecento, ecc. Tuttavia, ciò che è finito deve essere riconosciuto per tale. Dobbiamo onorare certe correnti sociali (politiche e ideali), difenderle storicamente dai detrattori e da coloro che vogliono soltanto ripercorrere la strada del più bieco sfruttamento, dell’oppressione coloniale, del razzismo, ecc. Ma senza più concessioni al vecchio comunismo, alla “dottrina marxista” (nella visione, già deformata da quasi un secolo, degli “ortodossi”, dei difensori della sua “purezza”) e via dicendo. E tanto meno si deve far credito a qualcosa di ancora più putrido e ormai “storicamente morto” (alla guisa dei “morti viventi”, degli zombies): la dicotomia destra-sinistra, le cui convulsioni d’agonia tanto più dureranno e tanto più provocheranno la totale decadenza della società europea, e italiana in particolare.

Per il momento mi sembra ci sia poca consapevolezza della fine ineluttabile di una epoca storica durata almeno un secolo e mezzo (nel suo complesso, con all’interno altre “storie” particolari di varia durata). Purtroppo, quelli che ancora si accaniscono e si divincolano – e fra questi coloro che insistono sul comunismo, sul movimento operaio, sulla “lotta di classe”, sulla formazione di nuove forze “di sinistra”, ecc. – sembrano i più tetragoni all’idea di cambiare strada. Credendo che l’azione preceda il pensiero, rifuggendo dall’idea che la riflessione sulla morte sia indispensabile per ogni nuova vita, continuano ad agitarsi disperatamente e, se si fa loro notare questo comportamento scomposto, questa totale incapacità di autentica “elaborazione del lutto”, inveiscono e chiedono che si sappia allora dire loro il da farsi; ma subito, senza meditare nemmeno un attimo sulla miseranda fine storica di un movimento ultrasecolare di “emancipazione delle classi lavoratrici”, sul fallimento clamoroso e indecente di settant’anni di “costruzione del socialismo” nel mondo, ecc.

Sarò sincero: temo che proprio costoro siano ormai incapaci di dar avvio ad una nuova fase, che non potrà per nulla essere immediato. Indipendentemente dalla loro età biologica, quelli che continuano a perdersi in tentativi di riportare in vita comunismo, sinistra, movimento operaio, lotta terzomondista di altri tempi, e quant’altro del genere, sono ormai difficilmente recuperabili ad una prospettiva di radicale “mutamento di passo”. Quando ho parlato di “terza forza”, non mi ponevo certo nell’ottica di una sua organizzazione immediata o vicina; stavo volutamente pensando una “finzione teorica”, secondo me indispensabile per l’opera di preliminare pulizia mentale da tante cianfrusaglie del nostro passato fallimentare, onde rivedere e teoria e prassi di una nuova critica anticapitalistica. Non però al fine di questa costruzione fin da oggi; una costruzione eseguita allora solo da me e da pochi altri che si collegano a certe prospettive, fra l’altro muovendo i primi passi di una novella “infanzia”, che come ben si sa sono passi incerti, tentati con gracili gambe ancora malferme.

C’è stato un tempo in cui anch’io ho creduto, e a lungo, che si dovesse “pescare” nei rimasugli di una passata epoca di lotte; anch’io pensavo che si trattava comunque di persone in possesso di un minimo di “politicizzazione”, di sensibilità per certi problemi “sociali”, ecc. ecc. Invece, è un po’ come per l’apprendimento dell’uso dei computer e di altre novità tecnologiche della nostra epoca. Il sottoscritto ha fatto fatica e impiegato molto tempo per aprirsi ai “nuovi orizzonti”; e ci si è mosso, malgrado gli sforzi, con scarsa destrezza. Le nuove generazioni, al contrario, sembra che nascano con le nuove tecnologie nel loro Dna. Non voglio escludere da nuove prospettive politiche i vecchi (non semplicemente d’età, lo ribadisco) comunisti o i vecchi sinistri. Del resto, per carità, sempre migliori (o meno peggiori) loro che non i sedicenti postcomunisti; migliori (o meno peggiori) i vecchi terzomondisti che non gli imbroglioni dell’altermondismo. Tuttavia, non è lecito star sempre a scegliere dove si trova il “meno peggio”, su cui si può discutere per secoli.

Il vero fatto è che bisogna iniziare una nuova strada; e chi ha le scarpe infangate, per aver pesticciato sui vecchi sentieri ormai finiti nel pantano, si trova tutto sommato in svantaggio. Per questo ho in un certo senso inneggiato al “qualunquismo”. Non a quello del disimpegno e del farsi gli affaracci propri, del coltivare il proprio piccolo orticello, del rinchiudersi “in famiglia” mandando in malora la società, e altre cosette similari. Evidentemente non questo; mi riferisco a chi oggi non crede più alle forze politiche esistenti, a chi dice che “sono tutti eguali”, che siamo immersi nella palta e non si vede come uscirne. Questo è il necessario background per ripensare tutto daccapo e incamminarsi lungo nuove vie. Non si pensi di trovarle per ispirazione dello Spirito Santo (anche perché non è certo comunista e forse nemmeno tanto di sinistra). Occorre digerire una sconfitta di proporzioni, oserei dire, gigantesche. Ed è necessario ci si convinca che tutto è da ripensare e riformulare, in teoria come in pratica. Chi ha solo fretta, continui pure a pestare i piedi e ad infangarseli sempre più. Chi ne è capace, muova la testa più ancora delle gambe in questo contesto.