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Rossi di vergogna

di Gianfranco La Grassa/Lodovico Festa - 18/04/2007

 

 

Noi (e non si tratta di noi maiestatico) non siamo minimamente d´accordo con prospettive neoliberiste; ma nemmeno con quelle finto-stataliste di una sinistra in combutta con la grande finanza (privata). Oggi, pur distanziandoci appunto da ogni simpatia per il neoliberismo, riportiamo l´articolo di Festa, apparso sul Giornale e relativo alla solita questione Telecom dopo il ritiro degli americani della At&t, perché concordiamo con alcune sue rilevanti affermazioni; soprattutto con quelle, molto simili alle nostre, che criticano aspramente, come una decisiva sventura (e devastazione della nostra società), la GFeID (grande finanza e industria decotta) così indicata nell´articolo in questione: "quel piccolo establishment (grandi banche, imprenditori indebitati e stampa `indipendente´) che occupa malamente il centro della società italiana e, senza più virtù, cerca di condizionare il potere italiano in tutte le articolazioni politiche, economiche, culturali". E concordiamo anche sul finale dell´articolo quando sostiene che "non solo è utile sgombrare il governo in carica il più in fretta possibile (qualsiasi cosa lo seguirà, sarà meglio), ma anche spiegare a quelli del piccolo establishment che non è più il tempo dei ditini alzati".

Per capire l´urgenza di liberarci di Prodi - questo vecchio commis d´Etat che a suo tempo (da presidente dell´IRI) tentò di vendere la SME a De Benedetti (imprenditore della GFeID e da sempre vicino alla sinistra, "prenotando" la tessera n. 1 del futuro Partito democratico) per un quarto del valore a cui poi fu venduta la suddetta società pubblica pochissimi anni dopo il suddetto fallito tentativo - sottolineiamo un´altra notizia riportata oggi dai giornali (salvo quelli di stretta osservanza governativa). La Procura di Bolzano sta indagando sulla vendita - per la quale si ipotizza corruzione, concussione e riciclaggio - di Italtel alla tedesca Siemens da parte della STET nel 1994. Nell´ambito delle indagini vengono compiuti accertamenti sulle attività di Prodi - presidente dell´IRI (cui apparteneva la STET) dal maggio 1993 al settembre 1994 - sugli affari di alcune immobiliari con partecipazioni di sua moglie, sulla Fondazione Il Mulino, ecc.

Chi era l´advisor (diciamo il consulente) in questa vendita dell´Italtel? La Goldman Sachs, nostra ben nota conoscenza, quella del suo ex vicepresidente (ex proprio per assumere la nuova carica!) diventato Governatore della Banca d´Italia, quella della (almeno ampiamente ipotizzata e chiacchierata) formulazione del cosiddetto Piano Rovati da parte di altri due suoi alti dirigenti, di cui uno è attuale viceministro dell´economia; e di innumerevoli altri affari, mondiali, di tutti i generi assieme alla Morgan Stanley e soprattutto alla Carlyle Group, sulle cui attività e potenza finanziaria (e politica!) abbiamo dato notizie piuttosto impressionanti nel sito, riprendendo fonti francesi. Bene: dal 1990 al 1995 la Goldman paga alle società dei Prodi, la Ase Analisi e Studi economici srl, 2 miliardi e 622 milioni di lire per consulenze (niente di illegale in sé, ma comunque una bella "ricchezza"; e bisogna appurare tutta questa commistione di cariche societarie "pubbliche" e "private" in quel periodo specifico dell´affare Italtel-Siemens).

Crediamo sia vero: basta nascondersi dietro la cortina fumogena del "conflitto di interessi" del "lupo" Berlusconi; qui abbiamo un autentico e pericolosissimo lupo che va spedito a casa e, appunto, "il più in fretta possibile". Prima di trovarci in piena "dittatura finanziaria", stretti tra i (sub)dominanti nostrani dell´Intesa-San Paolo e i (pre)dominanti statunitensi della Goldman e delle altre enormi concentrazioni di potere politico-finanziario americane. A casa, a casa Prodi e questa sinistra solo "rossa" di vergogna!

18 aprile   

La logica dell’intimidazione (Fonte Il Giornale)
di Lodovico Festa

Un articolo dell'Unità che parlava con cautela e senza scomuniche di un possibile coinvolgimento di Roberto Colaninno e Mediaset in un nuovo assetto proprietario di Telecom Italia, viene giudicato da Sergio Romano come indice di un atteggiamento opportunistico, scetticamente disincantato e amorale. Dopo i guasti provocati dall'allontanamento via minacce governative di At&t, affidare un ruolo leader in Telecom Italia all'imprenditore che ha inventato un'impresa di telecomunicazioni efficiente come Omnitel e a una società leader nelle tv; che senza gli ostacoli della politica oggi occuperebbe internazionalmente il posto di Rupert Murdoch, ben lungi dall'essere un segno di opportunismo, sarebbe in realtà la scelta più razionale. E, infatti, il giorno dopo il direttore dell'Unità l'ha attaccata. Romano è un commentatore intelligente, ogni tanto l'imbrocca, talvolta no. Il problema non è lui, ma quanto certe idee siano espressione di quel piccolo establishment (grandi banche, imprenditori indebitati e stampa «indipendente») che occupa malamente il centro della società italiana e senza più virtù, cerca di condizionare il potere italiano in tutte le articolazioni, politiche, economiche, culturali.
Per il piccolo establishment sarebbe l'ora di una profonda riflessione: i suoi protagonisti sono affannati e azzoppati. Il successo dell'idea geniale di «far squadra» con la sinistra e in particolare con la Cgil si può misurare nelle richieste contrattuali dei sindacati metalmeccanici, tanti soldi e nessuna apertura sulla produttività. L'altro colpo di astuzia, poi, è stato sostenere con il noto editoriale di Paolo Mieli, il centrosinistra prodiano: i risultati di questa genialata sono davanti agli occhi di tutti. Al di là del sistema di potere meno evidente del presidente del Consiglio su cui interviene oggi il Giornale con un'argomentata inchiesta, basta considerare la politica d'intimidazione verso gli imprenditori italiani (dai Benetton a Marco Tronchetti Provera) e internazionali, compresa l'At&t, l'uso delle banche amiche (con contorno di fondazioni e società statali egemonizzate) come una sorta di Gazprom, per valutare il danno che al Paese ha fatto l'irresponsabile cinismo di un piccolo establishment che si schiera politicamente con chiunque (dando incredibili titoli di liberalizzatori a una banda di emuli di Hugo Chavez) pur di proteggere il proprio evanescente potere.
I guasti che in meno di undici mesi ha combinato Romano Prodi sono gravi. E in questo quadro è indispensabile bloccare una deriva che anche una traballante Europa, priva di un asse politico chiaro, trova inquietante. Vanno subito trovati i compromessi che possono dare stabilità e insieme una forte concorrenza (innanzi tutto tra le grandi banche) al sistema economico nazionale. Per questo obiettivo non solo è utile sgombrare il governo in carica il più in fretta possibile (qualsiasi cosa lo seguirà, sarà meglio) ma anche spiegare a quelli del piccolo establishment che non è più il tempo dei ditini alzati. D'ora in poi in politica, nella cultura, in economia e finanza il potere andrà guadagnato con il sudore della fronte (e delle idee) non con birignao senza costrutto e autorità morale.