Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'apocalisse rimandata. La gente compra cibo biologico ma poi vola in Tailandia per le vacanze

L'apocalisse rimandata. La gente compra cibo biologico ma poi vola in Tailandia per le vacanze

di Barbara Lomonaco/George Monbiot - 24/04/2007


La finanza e i governi si sono accorti dei cambiamenti climatici, ora per agire c'è bisogno della società civile. «La gente compra cibo biologico ma poi vola in Tailandia per le vacanze». Intervista a George Monbiot, attivista ed editorialista del Guardian, autore del volume Calore
È possibile. È possibile ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2030 senza rinunciare alla civilizzazione. George Monbiot ci regala questa tesi nel suo Calore!, fresco nelle librerie italiane a cura di Longanesi, insieme ad un modello per realizzarla elaborato grazie ad una sorprendente quantità di rapporti scientifici ampiamente
condivisi. Forse il più noto attivista politico e ambientale, oggi editorialista del quotidiano inglese The Guardian, dall’età di 24 anni Monbiot mette a rischio la propria incolumità viaggiando per documentare le violazioni sistematiche ai danni dell’ambiente e delle popolazioni locali di Indonesia, Brasile e Africa orientale. Nel 2005 ha ricevuto dalle mani di Nelson Mandela il premio Global 500 delle Nazioni Unite per il suo impegno a favore dell’ambiente.

Nella prefazione di "Poisoned arrows" Lei scrisse “a quel tempo credevo che i libri potessero cambiare il mondo”. Pubblicando Calore! pensa che siamo finalmente pronti a cambiare le nostre vite per salvare il pianeta?
«Sfortunatamente non credo che la gente sia ancora pronta. Tutti sembrano aspettare che qualcuno agisca per loro. Una recente indagine nel Regno Unito ha mostrato che soltanto il 4% della popolazione ha fatto dei cambiamenti sostanziali nella propria vita per affrontare il cambiamento climatico. Ci troviamo di fronte allo strano fenomeno dei governi che sembrano essere avanti. E questa non è una posizione sostenibile. Se i governi si allontanano troppo dalla gente perdono le elezioni. Non possiamo aspettarci che qualcun altro combatta questa battaglia per noi. Dobbiamo agire nel modo in cui chiediamo agli altri di farlo».

Nel suo libro scorre l’idea che intervenire contro il cambiamento climatico sia innanzitutto una questione morale.
«Il mondo della finanza e i governi sono certamente più sensibili alle questioni economiche ma questo non significa che lo siano le persone. E soprattutto credo che le argomentazioni economiche siano inconsistenti, possono essere sostenute soltanto confondendo tipi di diversi di costo».

Allude al rapporto Stern?
«I calcoli utilizzati nel rapporto Stern non hanno senso. Mi spiego: da una parte dell’equazione ci sono i costi di investimento nelle nuove tecnologie (o non investimento nelle vecchie) per impedire alle emissioni di gas serra di crescere oltre le 550 parti per milione; dall’altra ci sono i costi causati dal cambiamento climatico. Alcuni di questi sono finanziari ma molti altri non sono calcolabili: la distruzione degli ecosistemi e delle comunità umane, l’esodo dalle proprie case, la malattia e la morte. Tutti questi costi sono messi insieme da Sir Nicholas Stern in una formula che chiama “equivalente a una riduzione di consumo”, alla quale allega un prezzo. Stern spiega che questo “consumo” comprende beni che possiamo acquistare al supermercato ma anche consumo di “istruzione, salute e ambiente”. Ammette che la formula “crei difficoltà profonde” soprattutto per quanto attiene alla “sfida di tradurre salute (mortalità compresa) e qualità dell’ambiente in termini di entrate”, ma la usa comunque: il disastro globale causato da una crescita delle temperatura di 5-6° è equivalente a una “riduzione in consumo” del 5-20%.

In che senso è equivalente?
«Il rapporto propone un’unità di misura che consente di comparare costi umani diversi. Nel suo “costo sociale del carbonio” è compresto tutto dal prezzo delle uova al dolore della perdita: il metodo Stern mette un prezzo alla vita umana. E ancora peggio, confonde questo prezzo tra gli altri. Le conseguenze sono disastrose, non intenzionali ma ovvie: le perdite economiche attribuibili al fallimento delle politiche per impedire il riscaldamento del globo superano il risparmio ottenuto non intervenendo. Quindi è necessario intervenire. E se il risultato fosse stato diverso? Avremmo scoperto che economicamente ha un senso uccidere le persone. La questione morale è sana e consistente: continuando ad immettere anidride carbonica nell’atmosfera condanniamo a morte delle persone. Tutti possono capire questo e chiunque abbia una coscienza ne sarà turbato. Credo che la maggior parte degli uomini sulla terra abbiano capacità empatiche: capiscono la sofferenza altrui. E’ a questo che faccio appello»

Lei propone un sistema di razionamento del carbonio. Ce lo spiega?
«L’obiettivo del sistema di razionamento del carbonio è la distribuzione equa del diritto di inquinare. Funziona così: si calcola la quantità annuale di carbonio che gli abitanti della terra sono autorizzati a produrre nella prospettiva della necessaria riduzione. Quella che io propongo ammonta al 60% entro il 2030. Questa quantità viene divisa equamente tra tutti gli abitanti della terra. La quota di allocazione di un paese è ottenuta moltiplicando quella individuale per il numero dei suoi abitanti. Circa il 40% di questa quantità è l’energia che consumiamo direttamente: in altre parole quando paghiamo elettricità, biglietti aerei, dei treni, la benzina che mettiamo nelle nostre macchine. Il resto è consumato per nostro conto dai governi e dalle aziende. Il 40% diviso equamente è la nostra razione di carbonio che misuro in “icecaps” (calotte). Chi consuma la razione di carbonio prima della fine dell’anno, la comprerà da altri che non l’hanno fatto. Questo sistema ha il potenziale di ridistribuire la ricchezza: i ricchi dovranno comprare le razioni dai poveri e se c’è molta competizione i prezzi saliranno. Non è una soluzione completa al cambiamento climatico, deve essere accompagnata, come propongo nel libro, da investimenti nei settori del trasporto pubblico, delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle tecnologie a bassa emissione. Questo approccio ha comunque il potenziale di indurre le persone a compiere scelte ponderate, di incentivarle ad utilizzare tecnologie a bassa emissione. Compreranno lampadine a basso consumo ed energia dai fornitori di rinnovabili».