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Telecom: Golman Sachs boccia Mediaset

di Andrea Angelini - 24/04/2007




La Goldman Sachs, la banca d’affari americana che, su incarico di Prodi e Ciampi, curò la privatizzazione di Telecom nel 1997 svendendola alla Fiat, ha voluto dare un suo giudizio, ovviamente negativo, sul possibile ingresso di Mediaset nella cordata italiana di imprese e soprattutto banche, per salvare la compagnia telefonica nazionale dalle mire dei concorrenti esteri, americani ed europei, ed acquisire a tal fine Olimpia, la società della Pirelli (Tronchetti Provera) e di Benetton che ne controlla il 18%. Un ingresso che sarebbe stato sollecitato in particolare da ambienti vicini alla segreteria della Quercia. L’esternazione di Goldman Sachs, soprattutto per la sua reputata vicinanza a Romano Prodi e al suo giro bolognese, può leggersi così anche come un intervento nella lotta tra prodiani, rutelliani e diessini vari per conquistare la guida del futuro Partito Democratico. Una lotta che per ora vede vincente lo stesso Prodi che oltre a vantarne l’idea originale può contare, e questo è sicuramente più importante, sull’appoggio delle banche “amiche” che controllano il sistema economico italiano, e cioè Capitalia, Unicredito e Intesa-San Paolo. I Ds possono contare solamente sul Monte dei Paschi di Siena. Secondo Goldman Sachs, per un coinvolgimento di Mediaset in un'offerta per Telecom occorrerebbero due modifiche alla Legge Gasparri. Gli analisti della banca hanno avuto contatti con la società dopo le dichiarazioni di Fedele Confalonieri, che pur ribadendo l’interesse per Telecom, non nascondeva le difficoltà rappresentate dalla Legge Gasparri e le ovvie resistenze di carattere politico che si scatenerebbero.
Il giudizio della banca sull’affidabilità finanziaria e patrimoniale di Mediaset è rimasto così “neutral”. Questo significa che i risparmiatori prima di comprare o venderne i titoli dovrebbero aspettare gli sviluppi della situazione. Goldman Sachs ha infatti ricordato che la legge proibisce a qualsiasi emittente di controllare più del 20% dei canali televisivi in Italia. E Mediaset siede sul bordo di tale soglia e il controllo dei canali di Telecom Italia, Mtv e La7, la porterebbero oltre. C’è poi il fatto che la legge Gasparri proibisce a qualsiasi emittente di controllare più del 20% dei ricavi del settore media. E Mediaset ne attrae il 13%. La legge però prevede che il limite del 20% si riduce al 10% se l'emittente ha un qualsiasi legame con l'operatore dominante delle telecomunicazioni, ossia Telecom. Così se Mediaset dovesse acquisire una quota di controllo in Telecom, si troverebbe in una situazione contraria alla legge. Mediaset, conscia di questo, sia per bocca di Confalonieri che di Berlusconi, ha messo le mani avanti dicendosi pronta ad acquisire, per puro spirito patriottico, una quota minimale che non potrebbe essere considerata una quota di controllo. Secondo Goldman Sachs, l’interesse di Mediaset deriva dal “beneficio strategico” e dalle sinergie che potrebbero svilupparsi da una quota di Telecom. Ci sarebbe maggiore sicurezza di accesso alla piattaforma Iptv (la tv via Web) per la distribuzione di contenuti prodotti dal gruppo di Cologno Monzese, anche se questa è una giustificazione che lascia scettica Goldman Sachs che giudica quanto mai remota la minaccia di essere chiusi fuori dalla distribuzione visto che ci sono possibilità di veicolare contenuti sulle televisioni digitali, sul satellite e attraverso gli operatori multipli. La conclusione di Goldman Sachs è che ci sarebbe sicuramente un indebolimento del valore delle azioni di Mediaset se ci fosse un coinvolgimento in Telecom. Insomma, Berlusconi lascia perdere altrimenti ti facciamo cadere la quotazione delle azioni Mediaset sui mercati internazionali. Il Cavaliere ieri è tornato sulla questione e, dal congresso della Margherita a Roma, la ha affrontata significativamente non dal punto di vista di Mediaset ma della Fininvest, la società di famiglia, che di Mediaset è il primo azionista, per sottolineare l’aspetto provvisorio e non industriale dell’investimento. “Noi siamo lì, se c'é bisogno di noi bene, altrimenti niente. Non abbiamo voglia di intralciare nessuno. Avevamo risposto positivamente, con senso di responsabilità e per amor di patria, nell'interesse dell'italianità, ad una domanda sulla nostra disponibilità - ha precisato – ma si è parlato del conflitto di interessi. E allora se dovessero proseguire le polemiche, Fininvest, senza rimpianto alcuno, sarebbe pronta a tirarsi indietro. Sono per la libera iniziativa e il libero mercato e da italiano – ha concluso - è ovvio che preferisco gli italiani, ma senza intrusioni e interferenze della politica e del governo”.
Nessuna interferenza, ha assicurato Rutelli, e nessuna nazionalizzazione occulta: “Il governo si limita ad occuparsi delle regole, lascia al mercato la soluzione dell'assetto proprietario dell'azienda. Non accettiamo lezioni (evidentemente dalla Ue sul libero mercato) ma - ha ammesso - vediamo bene le questioni emerse da una vicenda che non è certo l'apoteosi del mercato per le migliaia di piccoli azionisti. E se rivendichiamo la scelta cruciale della privatizzazione per modernizzare il Paese, non ci nascondiamo i limiti che la lunga scia delle decisioni prese allora ha fatto venire alla luce”. Un riferimento sia a Prodi che a D’Alema, che permise l’Opa di Colaninno nel 1999. Anche questa è politica che guarda al futuro del nuovo Partito Democratico.