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Confessioni di un aguzzino. Uno "specialista" dell'esercito americano

di John Conroy - 27/04/2007

 
 
   

La storia dello specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano Tony Lagouranis

Tony Lagouranis non corrisponde al tipo di persona che può sbagliare nell'eseguire gli ordini. Ha vissuto una vita indipendente, senza essere vincolato dal desiderio di un avanzamento professionale, dell'approvazione dei superiori, addirittura di una casa confortevole. Un libero pensatore, che negli anni del college si è fatto una cultura con le grandi opere della civiltà occidentale , e si è laureato in lingue classiche. È stato anche il suo desiderio di imparare l'arabo a portarlo in Iraq.

E laggiù, come specialista addetto agli interrogatori, ha torturato numerosi detenuti per ottenere informazioni che, per sua stessa ammissione, le sue vittime raramente potevano fornire. Dopo aver lasciato l'Iraq ha reso pubblica la sua storia, battendosi nelle televisioni nazionali contro i suoi ex superiori, rei di avergli dato quelli stessi ordini che oggi rimpiange di aver eseguito.

Nato a Chicago da genitori molto industriosi (suo padre ha lavorato per una catena di hotel), Lagouranis ritiene di aver frequentato dieci o undici licei prima di diplomarsi a New York nel 1987. Dopo un anno di college si ritirò per girare l'America, mantenendosi con lavoretti edili e culinari. Finì comunque per tornare a Santa Fe, e nel 1994 si iscrisse al St. John's College, il cui programma didattico è composto unicamente dalle grandi opere letterarie del passato, che vengono lette in ordine più o meno cronologico. Lagouranis scoprì di avere un certo talento per le lingue straniere: si appassionò al greco antico e trovò l'ebraico semplice. Provò a imparare l'arabo da solo, ma senza una classe e un insegnamento regolare lo trovò troppo difficile.


All'inizio del 2001, quattro anni dopo essersi laureato al St. John's, decise di riprovare con l'arabo, in parte perché pensava che il mondo arabo non venisse capito dagli occidentali. Oppresso da "enormi debiti contratti durante gli studi", conobbe un ex addetto agli interrogatori che aveva imparato russo e tedesco nell'esercito, e allo stesso tempo aveva ottenuto il pagamento dei debiti studenteschi. "Sembrava proprio una buona idea", confessa Lagouranis. "Pensai che avrei potuto inserire l'arabo nel mio contratto e arruolarmi nell'esercito per cinque anni".

In quel momento gli USA non erano in guerra con nessuno. Lagouranis stava riprendendosi da un'esperienza frustrante in Tunisia, dove aveva lavorato per degli scavi archeologici e insegnato l'inglese, ma non aveva potuto ottenere i requisiti burocratici per la residenza e quindi non era stato pagato. Al suo ritorno negli Usaaveva trovato un lavoro presso l'aeroporto di O'Hare aiutando le corporation a ottenere il rimborso di dazi da importazioni, un lavoro che descrisse come terribilmente noioso.

"Andai all'ufficio [di reclutamento dell'esercito] dicendo di volere imparare l'arabo, e non c'erano molte altre possibilità se ti interessa una lingua. Ci puoi andare semplicemente come linguista, che significa che dopo ti verrà assegnato un altro lavoro – è una mansione abbastanza indefinita. Oppure ci puoi andare come intercettatore telefonico, per cui stai seduto e ascolti con certe cuffie le conversazioni telefoniche. Oppure puoi essere uno specialista addetto agli interrogatori". I lavori di linguista e intercettatore telefonico richiedono un'autorizzazione alla protezione top secret, ma i debiti studenteschi di Lagouranis e i relativi interessi ne impedivano il ricorso. "Apparentemente l'idea è che se devi soldi a qualcuno, allora potresti essere corrotto da agenti stranieri. Quindi non mi avrebbero permesso di ottenere l'autorizzazione alla protezione top secret. Allora ho accettato. Non pensai realmente a quella decisione. L'idea che avrei mai davvero interrogato qualcuno sembrava così remota".

Dopo un addestramento di base venne mandato a Fort Huachuca, in Arizona, per la scuola di interrogatori, dove il programma era basato soprattutto sullo studio di armi convenzionali. Lagouranis imparò molto sull'armamento sovietico. "Ci piacque in particolare un giorno la lezione sugli approcci, ovvero i metodi che usi per far crollare il prigioniero, per distruggerne le difese psicologiche. Ci dissero che il novanta per cento dei prigionieri sarebbero crollati con un approccio diretto, che consiste semplicemente nel rivolgere una domanda diretta – non devi per forza avere un approccio particolare. Ci dissero che se un prigioniero non dovesse crollare, di solito si hanno a disposizione abbastanza detenuti da poter ignorare quella persona e parlare con qualcun'altro".

Lagouranis ritiene che questa strategia si basasse sull'esperienza della Guerra del Golfo, quando i prigionieri iracheni spesso collaboravano senza problemi. "Le loro domande erano completamente diverse da quelle che avremmo posto in Iraq. Gli si chiedevano il numero di T-72 per unità, dove rimediassero i pezzi di ricambio, in che condizioni fossero i camion, insomma cose che non dovremmo mai chiedere per soffocare una rivolta".

Lagouranis studiò anche la Convenzione di Ginevra per il trattamento dei prigionieri. "Ci avevano detto che non potevamo usare tecniche di costrizione. Non ci sarebbero state ripercussioni negative per un prigioniero che non avesse collaborato con noi"..

Dopo la scuola specialistica per addetti agli interrogatori, Lagouranis passò quindici mesi a imparare l'arabo all'Istituto di Lingue della Difesa a Monterrey, in California. Nell'estate del 2003, circa quattro mesi dopo l'invasione dell'Iraq, venne mandato a Fort Gordon, in Georgia, dove si unì alla 513esima Brigata dei Servizi Segreti dell'Esercito, che comprendeva soldati che avevano già avuto esperienze in Afghanistan e in Iraq. Venne nuovamente addestrato, e stavolta con scenari più realistici, e iniziò anche a sentire storie di abusi da parte dei veterani – storie che però condì via come semplici millanterie.

"Si parlava di umiliazioni di tipo sessuale su questa gente, o anche di posizioni estremamente stressanti a cui erano stati costretti, o che in Afghanistan costringevano il detenuto a sedersi nudo sulla neve per lunghi periodi di tempo. Dicevano che questi derelitti non erano protetti dalla Condizione di Ginevra, cosa che ho continuato a sentire anche in Iraq""

Arrivò in Iraq nel gennaio 2004, e venne inviato ad Abu Ghraib, giusto dieci giorni dopo che lo specialista Joseph Draby aveva consegnato le tristemente famose fotografie di abusi sui prigionieri ad opera degli investigatori dell'Esercito. "Quando arrivammo lì non avevamo idea di cosa fosse successo, ma l'Esercito lo sapeva, e stavano facendo in modo di insabbiare tutto ciò che era accaduto ad Abu Ghraib".

Lagouranis sostiene che i suoi interrogatori fossero solo dialoghi, "proprio come nel manuale di campo dell'Esercito". Alcuni degli investigatori anziani, comunque, stavano ancora usando metodi duri. Alcuni detenuti giudicati renitenti alla collaborazione erano stati privati di indumenti e coperte perché soffrissero il freddo nelle loro celle. Altri erano stati tenuti in isolamento per mesi e bendati allorché venivano condotti nelle celle degli interrogatori, di modo che non potessero vedere nessuno se non il personale addetto all'interrogatorio. Ciononostante, a Lagouranis sembrava che l'amministrazione di Abu Ghraib stesse diventando progressivamente più pulita. Ancora, era noto a molti che fosse la CIA a torturare i prigionieri, sostiene Lagouranis, per cui tutto ciò che l'Esercito facesse era poca cosa in confronto.

Non molto tempo dopo il suo arrivo, Lagouranis venne assegnato a una squadra per progetti speciali, incaricata di interrogare coloro che erano stati coinvolti nella latitanza di Saddam Hussein. Alcuni di loro erano solo figure minori, a cui "era capitato di avere contatti con Saddam Hussein e forse avevano qualche informazione, ma non per questo erano necessariamente dei criminali". Un parente di un pezzo grosso del partito Baath si lamentò con Lagouranis di essere stato torturato. "Mi disse che al momento dell'arresto era stato picchiato e costretto a stare in ginocchio contro un muro per giorni, e gli avevano impedito di dormire, e occasionalmente era anche stato preso a calci e pugni dalle guardie...



[Complesso detentivo ad Abu Ghraib, luglio 2004, quando Lagouranis vi fu inviato.
Karim Sahib/AFP/Getty Images]

"Mi pregò di togliergli la benda dalla sua testa, così che potesse guardare il sole, e magari anche fare due passi in cortile.

"Preparai un rapporto sugli abusi su quest'uomo. C'era una specie di modulo standard, preparato per questo da qualcuno ad Abu Ghraib, così chiesi al mio superiore di questo modulo, quindi tornai dalla vittima e gli chiesi di parlarmi di questi abusi nello specifico. L'iracheno però si rivelo veramente riluttante ad approfondire la questione, diceva di essersene dimenticato, semplicemente non voleva passare altri guai. E per quanto ne so, quel rapporto sugli abusi da lui subiti è scomparso. Non esiste più".

Dopo un mese circa, Lagouranis venne trasferito ad una squadra mobile di interrogatori, composta da Quattro uomini. Svolse qualche lavoretto alla base aeronautica di Al Asad e ancora ad Abu Ghraib, e poi venne assegnato a Mosul; fu qui che iniziò a torturare gli uomini durante gli interrogatori.

"Lavoravamo per questo sergente maggiore che era interessato solo ad andare il più in là possibile. Ci consegnò un pezzo di carta chiamato IROE, che riguardava le regole di ingaggio. Comprendeva tutto ciò che era possibile fare durante un'interrogatorio, con l'approvazione del Pentagono; ma era anche un documento "aperto", che incoraggiava la creatività dell'interrogatore.

"Ad esempio, una tecnica approvata era chiamata la manipolazione ambientale. È difficile dire cosa significasse esattamente. Poteva significare che avevamo il permesso di lasciare i prigionieri fuori al freddo sotto la pioggia, o potevamo mettere musica rock a tutto volume e tormentarli con luci psichedeliche per giorni, oppure usare queste cose insieme. Il documento non forniva istruzioni precise, ma del resto questo era proprio ciò che si voleva ottenere.

"Quindi quando ci veniva detto di fare qualcosa, controllavamo su quel documento per capire cosa fosse legale o meno". Dato che gli era stato detto che i detenuti non erano tutelati dalla Convenzione di Ginevra, Lagouranis pensò che la sua conoscenza della legge non fosse applicabile. "Eravamo in una situazione molto strana… ti hanno sempre detto che se ricevi un ordine contro la legge hai il dovere di rifiutarti di eseguirlo, ma eravamo in un posto dove non sapevamo dove fosse il limite della legalità, quindi non sapevamo che fare". Per coprirsi le spalle, Lagouranis preparò un piano per l'interrogatorio di ogni singolo detenuto, lo fece firmare dal sergente maggiore, e lo incluse alle relative documentazioni.

Prima che la squadra mobile di Lagouranis arrivasse, il sito era stato a corto di personale. "Una volta arrivati, credo che il sergente maggiore avesse visto la possibilità di creare un sistema di proprie regole. Una di queste riguardò l'introduzione di operazioni di 24 ore. Prima di questo, le operazioni duravano solo 12 ore. Ci fece lavorare a turni, di modo che potessimo resistere alla mancanza di sonno, che potessimo resistere a posizioni stressanti tutta la notte… così nel giro di una settimana dal nostro arrivo vennero istituite queste tattiche più dure".

"Il sergente maggiore si impossessò di un container da nave che divenne la stanza per gli interrogatori dell'unità. La procedura operativa cominciò a includere il sottoporre il prigioniero a posizioni stressanti come standard di interrogatorio. Queste comprendevano il farlo stare in piedi o inginocchiato per lunghi periodi di tempo; farlo camminare con le ginocchia sul cemento, sul compensato o anche sulla ghiaia (su questa lo si costringeva anche a strisciarvi). Un altro supplizio che usavamo era costringere il prigioniero ad appoggiarsi al muro con la schiena tenendo le ginocchia piegate con un angolo di novanta gradi. Si tratta di un esercizio ginnico abbastanza normale, che diventa veramente doloroso dopo pochi minuti, ma i prigionieri venivano costretti a eseguirlo per molto più tempo.

"Avevamo tre diverse luci psichedeliche che usavamo simultaneamente, e il prigioniero era costretto a una posizione stressante al freddo, cosicché congelasse. A volte i detenuti erano esposti direttamente alla luce psichedelica, ma altre volte indossavano dei dispositivi ottici che oscuravano la vista, ma permettevano alla luce pulsante di entrare. La musica nel container da nave era quella di uno stereo a tutto volume. In teoria dovevamo stare col prigioniero tutto il tempo, ma se volevamo potevamo uscire e chiudere a chiave la porta. Potevamo anche semplicemente andare fuori dal container e starcene seduti. Il rumore non mi avrebbe dato poi tanto fastidio. Iniziammo a usare musica Heavy Metal fornitaci dalla polizia militare, ma una volta alle due del mattino misi James Taylor (popolare cantante folk Americano anni 70'-'80, N.d.T.), perché non ne potevo più di quella merda.

"Non ero io a occuparmi dei cani. Avevamo addestratori professionisti. Erano della Polizia Militare (in seguito si abbrevierà in MP, N.d.T.), ed erano di stanza vicino a noi, quindi dovevo solo andare lì e svegliarli. Concordavamo un segnale che gli avrei dato per aizzare il cane ad abbaiare al prigioniero, o addirittura perché vi si scagliasse contro. Lo stesso prigioniero indossava degli occhiali da saldatore completamente oscurati, per cui non poteva vedere che il cane era legato, non poteva vedere che il cane aveva una museruola, avrebbe saputo solo che c'era un cane grosso e pericoloso in stanza con lui.

"Di solito accadeva che il prigioniero all'inizio fosse terrorizzato, ma poi l'effetto veniva meno – capiva che il cane non l'avrebbe attaccato. Quindi nei primi istanti l'effetto per il prigioniero era così terrificante da fargliela letteralmente fare addosso. Ma in seguito non accadeva più niente. Quindi questo metodo era ben poco efficace, ma il sergente maggiore iniziò a dirci di fare così, e quindi noi eseguimmo".

Sebbene alcuni prigionieri si lamentassero, Lagouranis ritiene che gli altri in qualche modo avessero accettato il trattamento – "come se questo fosse normale quando sei detenuto. Se pensi all'Iraq, e a ciò che gli Iracheni si aspettavano se cadevano nelle mani di Saddam Hussein, probabilmente credevano che gli fosse andata abbastanza bene, specialmente perché il trattamento che subivano da noi era molto meno duro di quello che avevano subito dalle unità di custodia dei prigionieri. Ricevevamo prigionieri che ne avevano viste di tutti i colori. Ricevevamo prigionieri dai Navy SEAL, che usavano molte delle nostre tecniche, anche se le loro erano più dure. Gli capitava di far spogliare il detenuto, e di farlo sdraiare sul pavimento versandogli acqua ghiacciata sul corpo. Gli misuravano la temperatura con un termometro rettale. Ci portarono un prigioniero che era stato ustionato dai Navy SEAL. Sembrava che avessero usato un comune accendino. I piedi di un altro prigioniero erano gonfi e di un colorito bluastro, le dita erano tutte rotte, per cui non poteva camminare. E allora ce li mandavano, e gli facevamo ascoltare James Taylor – non penso che fossero particolarmente offesi per quello che gli facevamo. Non che voglia giustificarmi per questo, ma le loro reazioni non furono mai troppo forti".

Lagouranis sostiene che gli MP fossero "entusiasti di partecipare a tutto questo. Molti dei ragazzi con cui lavoravamo erano ex guardie carcerarie o riservisti che svolgevano gli stessi compiti durante la vita civile. Amavano fare queste cose. Volevano assolutamente essere coinvolti durante gli interrogatori. Questo in realtà a volte era un problema. Mi ricordo di una volta, in cui ero di guardia alle tre del mattino presso un container con un prigioniero dentro, e degli uomini si avvicinavano per sapere che stava succedendo, perché sentivano la musica e forse vedevano le luci. E volevano unirsi all'interrogatorio. Quindi mi capitava di avere quattro sergenti intorno a me, e io sono uno specialista, e volevano entrare e riempire di botte il prigioniero, e dovevo controllare questi uomini che erano di un grado più alto, erano di più ed erano anche armati, mentre io no – poiché se sto tenendo sotto controllo un prigioniero non posso avere armi con me. A volte mi innervosivo non poco, e non potevo nemmeno chiedere aiuto perché non c'era nessuno in giro. Mi ricordo una volta che gli MP arrivarono dalla struttura principale e cominciarono a picchiare sul container, un tizio salì sul tetto e iniziò a saltare su e giù, mentre gli altri tiravano sassi al container, entravano e urlavano al prigioniero. E io mi chiedevo come potessi controllare la situazione…"

Lagouranis sostiene che gli MP non sapevano niente dei singoli detenuti, la maggior parte dei quali, secondo le sue stime, non c'entravano nulla con le sommosse. "Gli MP non leggevano i rapporti, non parlavano al prigioniero, non sapevano nulla di lui, pensavano solo che fosse un franco tiratore o un attentatore e quindi lo odiavano. Avrebbero abusato di lui in ogni modo, se ne avessero avuto la possibilità. In effetti riuscivano a farlo in molti modi. Potevano rifiutare il permesso di una visita medica, di andare al bagno (il che è molto comune), e perfino di una coperta".

Dice, "avevamo a che fare con molti prigionieri… per cui la maggior parte di loro non subivano tutto il trattamento, a meno che il sergente maggiore non lo volesse. Ma c'erano due fratelli che avevamo riempito di botte… c'erano dei segni evidenti su questi uomini, cosa che era veramente rara – non lasciavamo segni visibili praticamente su nessuno… riservammo loro un trattamento duro per quasi un mese, almeno credo, e alla fine quei ragazzi erano completamente a pezzi, sia fisicamente sia mentalmente. Uno di loro, quando avevamo finito con lui, camminava come un novantenne. Era un reduce dell'esercito, quando venne portato da noi era un giovanotto molto in salute, ma alla fine era ridotto a uno straccio. Psicologicamente, non riuscivano a focalizzare più niente. Le loro emozioni cambiavano in continuazione. Mostravano chiari segni di deterioramento".

Se una persona non riesce a focalizzare le cose, come può rispondere alle domande? "Rendeva l'interrogatorio più difficile, ma non avevamo altri modi di ottenere informazioni da loro. La persona che aveva ordinato tutto questo, il sergente maggiore, non vide mai questi prigionieri, quindi per lui non c'era modo di capire cosa stesse accadendo". La risposta del sergente maggiore alla mancanza di informazioni, dice Lagouranis, era semplicemente di aumentare gli abusi.

Nell'aprile del 2004 il New Yorker e 60 Minutes II portarono all'attenzione del pubblico la vicenda degli abusi subiti da un detenuto ad Abu Ghraib. Non molto tempo dopo la pubblicazione di queste immagini, Lagouranis venne trasferito di nuovo da Mosul ad Abu Ghraib. Le trasmissioni della CNN venivano prodotte costantemente nelle zone dove gli specialisti addetti agli interrogatori redigevano i loro rapporti, ed era là, mentre guardava i discorsi al Congresso, che Lagouranis sentì il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld affermare che i detenuti in Iraq venivano trattati in base alla Convenzione di Ginevra. "Udii anche il tenente generale Ricardo Sanchez affermare che non c'era l'autorizzazione a usare i cani in Iraq". Questa testimonianza contraddiceva completamente le linee guida per gli interrogatori che Sanchez, comandante militare in Iraq, aveva emesso nel settembre del 2003.

"Fu in quel momento che mi incazzai sul serio", dice Lagouranis. "Pensai così, 'Cazzo, questa gente ce lo sta mettendo nel culo'".

Non molto tempo dopo, la Divisione di Indagini Criminali dell'Esercito, mentre conduceva un'indagine su torture ad opera degli MP ad Abu Ghraib, convocò Lagouranis per fargli alcune domande riguardo agli abusi subiti da un prigioniero da parte di alcuni MP in seguito accusati dello scandalo. Lagouranis riferisce di averli potuti aiutare con quel caso, in quanto non era stato lui a interrogare il detenuto, ma riportò tutto ciò che aveva fatto nel container dala nave a Mosul e tutto ciò a cui aveva assistito. Menzionò anche il primo rapporto che aveva redatto col CID (Criminal Investigation Department, Dipartimento per Indagini Criminali), riguardante il pezzo grosso del partito Baath che era stato torturato ad Abu Ghraib.

In seguito non ebbe più notizie di nulla, prima di essere trasferito a Kalsu, una base a Iskandariyah, circa 25 miglia a sud di Baghdad, dove i Marines erano al comando di una nuova struttura detentiva. "Quando scoppiò il casino, trovammo il potere di rifiutare ogni misura pesante", ricorda Lagouranis, "ma in quella base fui testimone degli abusi più gravi. Dopo lo scandalo, smisero di torturare la gente in prigione e cominciarono a farlo prima di portarcela. Lo facevano o a casa loro, o li portavano in certi posti lontani… I Marines avevano una postazione – soprannominata la 'fabbrica di carne' – in cui portavano i prigionieri per torturarli per 24 o 48 ore prima di internarli, e usavano tecniche come il supplizio dell'acqua, esecuzioni simulate, pestaggi, rottura di ossa, qualsiasi cosa. Era terribile, in particolare la Prima Ricognizione – una specie di unità di forze speciali dei Marines, un'unità di élite (unita alla Ventiquattresima Forza di Spedizione dei Marines, nota come il 24th MEU). Ogni volta che conducevano un raid, non era importante chi catturassero, volevano solo riempire di botte questa gente. Vecchi, quindicenni, tornavano tutti, ne uscivano con ferite e ossa rotte. Un ragazzo tornò con una vescica dietro la gamba. Era grossa, brutta e purulenta. Lo avevano costretto a sedersi sul tubo di scappamento di un camion col motore acceso.

"E io in quel periodo redigevo rapporti sugli abusi commessi da questi uomini, e li inviavo attraverso la catena di comando dei Marine… prendevo le dichiarazioni dei prigionieri, scrivevo le mie, scattavo fotografie, e le inserivo nei file medici dei detenuti.

"Nessuno guardò mai questi documenti medici, nessuno venne mai a parlare coi prigionieri, nessuno mi intervistò mai su quella roba. Ma mi assicuravano che queste cose sarebbero state sottoposte a un'indagine".

In novembre, dopo due mesi a Kalsu, Lagouranis venne mandato a Falluja. Le forze americane avevano lanciato una grande offensiva per ripulire la città, e i cadaveri venivano portati in un magazzino agricolo che gli americani avevano soprannominato "la fabbrica di patate". Lagouranis venne assegnato alla perquisizione delle tasche e dei vestiti dei morti, per cercare di identificarli e raccogliere indizi dai loro documenti. Il Dipartimento della Difesa aveva offerto alcuni scanner della retina per aiutare l'identificazione, ma questa tecnologia non si rivelò efficace. I corpi, molti dei quali erano rimasti sulla strada per più di una settimana a decomporsi e ad essere straziati dagli animali, spesso non avevano più gli occhi – "solo le orbite piene di vermi". I Marines stavano negoziando con le autorità locali e gli Imam riguardo a come e dove i cadaveri dovessero essere sepolti, e finché non si fosse arrivati a una decisione sarebbero rimasti dov'erano. "Era orribile. Dovevamo maneggiare questi cadaveri tutto il giorno. Era come se ci vivessimo insieme, vermi e mosche ovunque. Non potevamo nemmeno farci una doccia, perché non ce n'erano. Non potevamo lavarci i vestiti". Lagouranis visse in quel modo per un mese. Secondo le sue stime c'erano 500 corpi nel magazzino quando se ne andò.

Lasciò l'Iraq nel dicembre 2004. Nel gennaio del 2005 tornò a Fort Gordon in Georgia, infuriato e frustrato da ciò che aveva visto e fatto.

"L'idea di base di un interrogatorio – così come ti viene insegnato sempre – è che dovresti ottenere alcune informazioni, che parteciperanno a comporre un disegno più complesso. E io non credo che questo stesse accadendo… mi occupai di un prigioniero il cui fratello era in un'altra struttura detentiva. Non avevo accesso ai rapporti sull'interrogatorio di suo fratello. Scrivevo rapporti segreti, il prigioniero poi veniva rimandato ad Abu Ghraib, e spesso i miei rapporti non l'avrebbero accompagnato. Le informazioni finivano per andare perdute. Anche se l'Esercito aveva un software creato apposta per spartire le informazioni fra gli interrogatori e l'intero dipartimento dei servizi segreti, ogni comandante faceva quello che voleva. Quindi i nostri database non potevano comunicare fra di loro. Quando ero ad Abu Ghraib non potevo nemmeno accedere al database della Polizia Militare per capire chi fosse ad Abu Ghraib. Tutto era difficile in modo ridicolo. Non aveva senso.

"Redigevo rapporti segreti e qualcuno avrebbe menzionato il nome di qualcun'altro, un vicino, senza nessun tipo di informazioni che potessero incriminarlo. E la persona preposta ad analizzare il tutto ne avrebbe preso possesso, e quella persona sarebbe divenuto un bersaglio e io mi sarei messo a parlare con quella persona la settimana dopo – e per cosa? E io avrei chiamato l'addetto alle analisi e gli avrei detto, 'Perché sto avendo a che fare con questo qua?' E lui avrebbe citato il mio rapporto fuori dal contesto, e mi avrebbe detto che questo era il perché. Non aveva nessun senso".

Lagouranis spiega che la produzione di rapporti, anche i più insignificanti, era un obiettivo per molti specialisti addetti agli interrogatori, e in base al numero di rapporti prodotti venivano ricompensati con delle decorazioni. Dopo che Lagouranis ebbe spiegato al suo caposquadra che un certo detenuto che aveva coperto un fuggiasco non aveva più niente da dire, l'ufficiale iniziò a interrogarlo in modo da ottenere i dettagli più minuti. "Gli faceva domande del tipo, 'Quali bibite piacciono a questo qua? Beve Coca Cola normale o Light?' Se glielo avesse detto, avremmo pubblicato un rapporto segreto su questo".

A Falluja, uno degli obiettivi dell'identificazione dei cadaveri era capire quanti stranieri fossero stati coinvolti nell'insurrezione. "L'Esercito e i suoi servizi segreti le stavano provando tutte per far sì che quei corpi fossero di stranieri. Se uno aveva una camicia fatta in Libano, allora era libanese. Se vi trovavano un Corano stampato in Algeria, allora si trattava di un algerino. Se vi trovavano valuta siriana – cosa che era tutt'altro che improbabile, dato che la valuta irachena era senza valore – allora era siriano. E poi pubblicavano queste statistiche – questo è il motivo del ritrovamento di così tanti combattenti stranieri fra i morti a Fallujah.

"Quando arrivammo lì per la prima volta", Lagouranis ricorda, "controllammo tutti gli edifici del sito, e in uno di essi qualcuno notò che c'erano un certo numero di scatole di sapone alla glicerina e che qualcuno stava facendo qualcosa con la stufa. Sembrava che stessero producendo grasso, per qualche ragione [la produzione di grasso avviene cocendo le parti grasse della carne, in modo da estrarlo per usarlo come condimento]. Ma io penso che qualcuno avesse visto Fight Club e pensato che si potesse estrarre la glicerina dal sapone per preparare una bomba, il che era semplicemente ridicolo. E così realizzammo che qualcuno qui stava facendo degli IED [congegni esplosivi artigianali], cosicché potessero mettere una bomba in quella cucina e farla saltare in aria. Quando arrivammo lì per la prima volta sul sito vi trovammo un pugno di uomini della sicurezza. Quindi li interrogammo tutti. Avevano arrestato il fratello di un boss locale, e lo avevano fatto nonostante lui si fosse spiegato in questi termini: 'Non so di che state parlando. Qui abbiamo solo una postazione di soccorso'. Avevano tutte queste medicine, c'era una bandiera con la mezzaluna rossa che vi sventolava sopra, era ovvio che fosse una postazione di soccorso. Disse così: 'Gli americani quando sono venuti ci hanno dato il sapone perché siamo una postazione di soccorso'. Io gli credetti, ma lui venne comunque arrestato e portato via. Poi arrivò il fratello, il capo di questa delegazione – un pugno di uomini in abito dal Ministero dell'Agricoltura venuti per protestare contro ciò che stavamo facendo nel sito. Arrestano e portano via pure lui. In seguito ho visto il rapporto riguardante l'intera operazione a Fallujah. Uno dei punti focali recitava così: 'Trovata e distrutta fabbrica di IED nella fabbrica di patate'".


Lagouranis sostiene di aver interrogato quattro fratelli che erano stati arrestati durante un rastrellamento perché i militari avevano trovato a casa loro un'asta per misurazioni, che avevano ipotizzato potesse essere stata usata per segnalare bersagli per i mortai. I fratelli, torchiati uno per volta da Lagouranis, insistettero di averla usata per misurare la profondità dell'acqua in un canale, e che nella casa non ci fosse niente che potesse incriminarli. Benché Lagouranis fosse convinto dell'innocenza di quegli uomini, i suoi superiori non volevano rilasciarli. Un uomo arrestato perché in possesso di un cellulare e di una pala andò incontro a un simile destino. L'Esercito insistette che la pala poteva essere stata usata per impiantare un IED, mentre il cellulare avrebbe potuto essere stato usato per farlo detonare, e anche se Lagouranis aveva accettato la spiegazione del detenuto, nulla di quello che poté dire riuscì a smontare questi sospetti. L'Esercito voleva potersi vantare del numero di terroristi catturati, e i quattro fratelli con l'asta per misurazioni, i due che dirigevano la postazione di soccorso alla fabbrica di patate, e l'uomo con la pala, vennero trattatati come tali.



[Lagouranis in viaggio da Mosul ad Abu Ghraib]

La stragrande maggioranza degli uomini e delle donne della brigata MI rimasero ad Abu Ghraib e in una base vicina per l'intero corso della ferma, e alla fine di quell'anno pubblicarono un rapporto segreto che, secondo Lagouranis, era pieno di millanterie. "Era qualcosa del tipo: 'Ecco i dieci detenuti più pericolosi e tutto quello che abbiamo cavato da loro'. Erano tutte stronzate. E quello valeva per un intero anno di interrogatori, in cui ad Abu Ghraib erano stati torchiati migliaia di prigionieri. Non si ottenne nulla da quel posto. E non sono solo io a dirlo – puoi chiederlo a chiunque vi abbia lavorato insieme a me. La ragione principale di questo è che dal 90 al 95% delle gente che avevamo catturato non aveva nulla a che fare con l'insurrezione. E se ne aveva, non potevamo provarlo in modo adeguato. E i detenuti lo sapevano, e sapevano anche che non erano costretti a parlare con noi". Un rapporto della Croce Rossa del febbraio 2004 basato sulle stime degli ufficiali del servizio segreto della coalizione recita come dal 70 al 90% dei prigionieri fossero in realtà innocenti.

"L'esperienza in Iraq non mi ha dato nulla", dice Lagouranis. "Niente di niente".

Tornato a Fort Gordon, Lagouranis rivela di aver risentito di quella terribile esperienza in prima persona. "Ho avuto qualche problema mentale per un po'. Attacchi di panico, ansia, insonnia, incubi. Tremavo in continuazione. In più ero davvero incazzato. Cominciavo a rifiutare di eseguire gli ordini. Dopo che torni dall'Iraq sono tutti a darti pacche sulla spalla, ti chiamano eroe e ti ricoprono di medaglie, ma io rispondevo 'Andate vaffanculo, gente. La nostra missione laggiù è una presa per il culo. Tutto quello che abbiamo fatto è una presa per il culo'. E non mi potevano dire nulla, perché avevo ragione, prima di tutto, e poi perché loro erano sempre stati ad Abu Ghraib, mentre io avevo dovuto sporcarmi le mani sui morti.

"Quindi tutti si chiesero che farne di questo Lagouranis. In effetti stavo davvero facendo un casino della madonna. Quindi mi sbatterono fuori. Mi diedero un congedo onorevole, cosa che apprezzai".

Lagouranis lasciò l'Esercito verso la metà del luglio 2005, si fermò a New Orleans da alcuni amici per un po', e tornò a Chicago in agosto. "Scendo dal treno e mi sento davvero a pezzi e disorientato. La mia ragazza mi porta a casa, mi mette a letto e se ne va al lavoro. Mi giro e mi rigiro cercando di dormire e sento questa musica klezmer che viene dai vicini. Sentivo tutto il giorno questa musica terribile. Mi stava facendo impazzire. Quindi vidi un fantasma nella mia camera. La mia ragazza torna e mi sto lamentando della musica, e poi sento Bill Monroe che canta 'Blue Moon of Kentucky,' e le faccio, 'La senti?' e lei mi risponde 'Stai diventando matto'. Quindi poi lei va a dormire e improvvisamente il soffitto si riempie di scarafaggi.

"Penso che fosse perché ero stato a Zoloft e Welbutrin e decisi di smetterla di prendere quella roba, ma in teoria non si potrebbe smettere così. Quindi per tre giorni e tre notti non ho dormito e ho visto e sentito cose. Ascoltavo una talk radio – portava notizie sull'Iraq. Era nella mia testa, ma allo stesso tempo non sembrava che ci fosse davvero. Anche dopo che mi dissero che sentivo quelle cose, non ci credevo. Camminavo intorno alla casa della mia ragazza e dal freezer sentivo suonare canzoni tedesche. Come uscivo nel patio sentivo Lou Rawls. Avrei dovuto capire che stavo perdendo il controllo con la realtà, ma continuai a cercare di convincermi che sentivo davvero quella roba. Quindi finii al pronto soccorso del Veterans Administration… finalmente mi addormentai esausto, e poi stetti bene".

Anche se le voci nella sua testa se n'erano andate, la sua rabbia c'era ancora. Anche prima di lasciare l'Esercito, Lagouranis si era fatto intervistare da un amico per la KALW, la stazione della National Public Radio di San Francisco. Quindi venne intervistato anche da un avvocato di New York di sua conoscenza, in collegamento con una causa civile che aveva coinvolto detenuti iracheni e contraenti americani. Frontline ne sapeva qualcosa, e gli telefonò. Prima che l'estate e l'autunno finissero, raccontò la sua storia anche a Hardball e a Democracy Now, su ciò che chiamò la cultura dell'abuso. Era il primo specialista addetto agli interrogatori che avesse lavorato in Iraq a descrivere torture e abusi da parte di soldati americani, e dopo le prime interviste iniziò a lavorare su un libro, "Fear Up Harsh: An Army Interrogator's Dark Journey Through Iraq" (l'espressione "fear up harsh" rimanda a una tecnica usata durante gli interrogatori da parte degli americani, e consiste nell'aumentare in modo significativo la soglia del terrore nel prigioniero sotto detenzione, N.d.T.), che verrà pubblicato in giugno. L'addetto stampa dell'Esercito John Paul Boyce ha risposto all'intervista di Hardball sostenendo che l'Esercito "non ha mai dato il permesso a nessun soldato durante questa guerra di torturare o commettere abusi sui detenuti… esortiamo il signor Lagouranis a fornirci informazioni su questo, così che si possa iniziare un'inchiesta approfondita".

Lagouranis non pensava di avere niente di nuovo da dire all'Esercito, oltre all'abuso che aveva riportato nel gennaio 2004 ad Abu Ghraib in due interviste al Dipartimento di Indagini Criminali (CID) dopo che aveva lasciato Mosul in quella primavera, poi tre volte alla catena di commando dei Marines a Kalsu in settembre e ottobre, e ancora in un'intervista su cui aveva insistito con il CID dopo il suo ritorno in Georgia nel gennaio 2005. Dopo che la sua apparizione su Frontline venne trasmessa nell'ottobre del 2005, comunque, un ispettore del CID dell'Esercito si recò all'appartamento di Lagouranis e gli chiese perché non avesse riportato nessuno di questi abusi prima di andare dai media. "Il ragazzo mi disse, 'Abbiamo inserito il tuo nome nel computer, ma non abbiamo nessun rapporto da parte tua".

Alla domanda su cosa l'Esercito avesse fatto in risposta alle lamentele di Lagouranis, Boyce, il portavoce dell'Esercito, rispose via e-mail che "Mr. Lagouranis era stato intervistato dal CID per fare chiarezza sulle sue accuse, ma offrì troppo poche informazioni per attuare ulteriori azioni". Nessuno, disse Boyce, era stato accusato di niente.

Il capitano dei Marines David Nevers, addetto alle pubbliche relazioni per il 24esimo MEU, rispose alle accuse di Lagouranis riguardo agli abusi commessi a Kalsu dai Marines. "Posso dirvi che non ci sono prove per verificare queste accuse" ha dichiarato Nevers la scorsa settimana. "I nostri Marines sono stati aggressivi nel dare la caccia e catturare noti criminali, assassini e terroristi? Ci potete scommettere. Alcuni di questi personaggi sono stati strapazzati un po' durante la detenzione perché si dessero una calmata? Si, per forza. Stiamo combattendo una guerra contro un nemico irriducibile, e i nostri ragazzi, cercando di mettercela tutta e dare il massimo, devono essere molto aggressivi per assicurare la propria incolumità e quella dei loro stessi detenuti. Ma i nostri ragazzi stavano veramente abusando dei loro detenuti? Assolutamente no. E mettere sullo stesso piano qualche ferita e taglietto durante arresto e detenzione, in un contesto dove i nostri Marines incontrano resistenza armata, significa dimostrare scarso apprezzamento, per metterla in modo caritatevole, per quello che i nostri ragazzi stanno facendo al fronte…"

Nevers pensò che Lagouranis avesse archiviato solo una delle rimostranze e non conosceva né le circostanze né le ferite menzionate. Lagouranis dice di aver archiviato tre rimostranze – che comprendevano un vecchio e la sua famiglia che sostenevano di essere stati picchiati a casa loro, un uomo che era stato colpito col retro di un'ascia durante un interrogatorio, e un contadino che scappò via quando arrivarono i MEU – un uomo non ricercato per nessun motivo, eppure, come da accusa, picchiato durante l'interrogatorio dei Marine. Lagouranis sostiene di aver visto molte ferite serie a Kalsu che non ha riportato. "Non so perché ho riportato alcuni abusi e non altri. Penso avesse a che fare con quanto stanco o occupato fossi, o sulle sensazioni che mi suscitava la vittima".

Le tecniche che Lagouranis aveva usato erano state autorizzate dal Tenente Generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze di coalizione in Iraq, in un memorandum del 14 settembre 2003. La parte iniziale del documento indica che la Convenzione di Ginevra andava applicata, e che "le forze della Coalizione avrebbero continuato a trattare tutte le persone sotto il loro controllo con umanità". Detto questo, Sanchez continua ad autorizzare trattamenti disumani – posizioni stressanti, l'uso dei cani, l'esposizione al calore o al gelo, isolamento prolungato, musica ad alto volume, privazione di sonno (Sanchez lo chiama "controllo del sonno"), e l'oscuro "controllo della luce".

Secondo Stephen Lewis, uno dei compagni di Lagouranis nella 513esima Brigata dei Servizi Segreti dell'Esercito, tutte le tecniche presentate da Lagouranis tranne l'uso dei cani "erano molto comuni, e venivano supervisionate direttamente da ufficiali fino al rango di colonnello". Lewis servì in Iraq nello stesso periodo in cui c'era Lagouranis, ma venne inviato solamente ad Abu Ghraib e in un'altro luogo che non può nominare in quanto si tratta di informazioni riservate. Le tecniche, disse Lewis, "erano considerate legali e richiedevano un approvazione che era concessa sempre. Non ho mai assistito o sentito dire di una richiesta rifiutata". Lewis sostiene di non aver visto nessuno usare i cani, perché i colonnelli che supervisionavano entrambi i siti ne erano allergici.

Lewis sostiene di aver avuto l'ordine di registrare un abuso ogni qualvolta un prigioniero se ne lamentasse, ovunque questo accadesse. Ricorda modelli di tortura distinguersi, con metodi specifici peculiari di luoghi specifici – c'era il modello Ramadi, per esempio, e un altro per Fallujah. Ricorda che i prigionieri si lamentavano di essere stati sodomizzati con una grossa zucchina o con un bastone, e anche se l'aveva effettivamente riportato, in seguito udì la stessa accusa numerosi mesi dopo da un altro prigioniero detenuto nello stesso sito. "Non ho mai sentito dire di un arresto in seguito a un abuso riportato, disse, nonostante fosse evidente che i detenuti non stessero recitando.

"Era evidente che abusi di questo tipo avvenivano ovunque", dice. "Ogni giorno vedevo cose che a molti di noi specialisti addetti agli interrogatori sembravano così normali e parte di una routine per cui nessuno diceva niente. Ci vuole un certo coraggio per alzarsi in piedi e rivelare che il re è nudo. Penso di aver fatto bene date le circostanze, ma nessuno riportò quello che avrebbe dovuto quando avrebbe dovuto farlo – me incluso.

"Ho visto persone buone e rispettabili diventare delle belve feroci – bravi ragazzi americani che, tanto per cominciare, non avrebbero mai dovuto essere messi in quella posizione. Avevano due scelte – disobbedire a ordini diretti o diventare dei mostri. Quando tutti prendono l'altra strada finisce che ti senti solo".

In risposta alla domanda se considerasse le tecniche usate da Lagouranis come torture, Lewis disse, "Penso che il confine fosse molto sfumato. Tutte le tecniche che ognuno di noi usava erano espressamente approvate da ufficiali di alto rango, quindi ogni specialista addetto agli interrogatori aveva una possibile difesa, poiché veniva detto in continuazione che avevamo ragione. Eppure Tony si alzò e disse che era sbagliato ciò che le massime sfere del Pentagono sostenevano essere giusto. Cosa che è molto più di quello che la maggior parte di noi poté dire".

E nonostante tutto il coraggio che Lagouranis aveva mostrato venendo fuori, accusando da solo l'Esercito e i Marine, portando alla luce le denunce di vari detenuti, e prendendo parte a numerosi eventi in difesa dei diritti umani, doveva ancora guardarsi allo specchio. Qui c'è un aguzzino che aveva studiato le grandi opere del pensiero occidentale e che ha girato il mondo vivendo una vita davvero fuori dal comune. Ha vissuto per sei mesi nel suo attuale appartamento con niente più che un materasso, una sedia imbottita, e una scatola su cui mettere il computer; l'arredamento che ha adesso, regalatogli da un amico, potrebbe essere rifiutato anche dall'Esercito della Salvezza.

E ha torturato.

La misura di ciò sono le sue vittime. In risposta alla domanda su cosa potrebbe aspettarsi di vedere in un uomo che è stato rinchiuso in un container da nave, al buio, bombardato con luci stroboscopiche e musica al massimo, esposto a ipotermia, e minacciato da un grosso cane, Rosa Garcia-Peltoniemi, primaria nel Centro per le Vittime della Tortura a Minneapolis, ha detto che non sarebbe sorpresa se l'uomo soffrisse di tremendi danni psichici e psicologici per il resto della sua vita.

Alla domanda su che spiegazioni potesse darsi, Lagouranis dice, "E' dura. Posso dire che stavo eseguendo degli ordini, e questo è vero in parte. Mi stavo chiedendo, 'a che punto sono arrivato?' e c'erano chiaramente dei momenti in cui ho detto che non avrei attraversato questa o quella linea". Lagouranis sostiene di essersi rifiutato di partecipare a umiliazioni sessuali, shock elettrici, o esecuzioni simulate (anche se ammette che una volta non riuscì ad assicurare a un prigioniero bendato, che stava scortando oltre alcuni soldati impegnati in esercitazioni di tiro, che non si trattava di un plotone di esecuzione). Disse anche di non aver mai colpito un prigioniero, anche se ammette che colpire qualcuno "può fargli meno danni dell'ipotermia, delle posizioni ad alto contenuto di stress o cose del genere. Sembrava proprio che fosse completamente tabù. Ma non pensavo davvero quello – sembrava come se ciò fosse dove la linea era a livello legale e morale.

"Ma ci sono anche altre risposte. Sei in zona di guerra e tutto si fa confuso. Volevamo la segretezza. Diventò moralmente quasi impossibile per me continuare quando realizzai che la maggior parte della gente con cui avevamo a che fare era innocente. E questo era duro da accettare. Quindi era più semplice pensare di avere a che fare con autentici criminali. Un'altra cosa che rendeva tutto più semplice era che mi sentivo – e penso che anche questo sia un argomento piuttosto debole – che tutto ciò che capitava a questa persona era per ragioni contestuali. Come se fosse la gravità a fargli male alle ginocchia, come se fosse colpa del freddo fuori se non stavano bene, non ero io, capisci cosa intendo? Come ho detto, erano argomentazioni futili, ma era più facile continuare se la mettevi su questo punto.

"Allora, poi, sei in un posto dove tutti ti dicono che va bene, ed è duro essere l'unica persona a dire, 'Non si può'. Ed ero davvero, anche se lo facevo, ero l'unico a dire, 'Dobbiamo metterci dei freni. Cos'è che sta andando troppo in là qui?'

"Potresti pensare che nemmeno questa sia una buona difesa, ma le cose che ho fatto non erano davvero così orrende. Voglio dire, ho visto delle torture davvero terribili. E sono certo che ogni torturatore direbbe così – 'Altre persone fanno di peggio'. Non portavo a termine i miei compiti fino in fondo. Come quando lasciavamo quei poveretti fuori al freddo, io ero sempre quello che usciva e li controllava per tutto il tempo. La maggior parte degli altri si sedevano solamente nell'ufficio e guardavano dei DVD mentre quella gente stava fuori al gelo. Ogni tanto li portavo dentro perché si riscaldassero. In questo modo non mi spinsi in là come avrei potuto fare.

"Non penso che la gente possa immaginarsi com'è. A Mosul eravamo all'aperto. C'era solo filo spinato a separarci dal paese e venivamo bombardati dai mortai in continuazione. Stavi a letto e colpi di mortaio cadevano tutto intorno. La fanteria ti porta qualcuno e ti dicono che si tratta del tizio che faceva il tiro al bersaglio col mortaio. Terrorizzarlo con un cane alla museruola non sembra esattamente la cosa peggiore in quella situazione… intendo che mi veniva voglia di farlo. Non sapevo che non avrebbe funzionato".

John Conroy ha studiato torture della polizia e argomenti relativi dal 1990, ed è l'autore di Unspeakable Acts, Ordinary People: The Dynamics of Torture.
Email: jconroy@chicagoreader.com

John Conroy
Fonte: http://www.chicagoreader.com/
Link: http://www.chicagoreader.com/features/stories/torture/
02.03.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FYLO