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Emergenza idrica: la privatizzazione dell'oro blu

di Fulvia Novellino - 01/05/2007

 


Emergenza siccità e blackout sono i prossimi problemi che il governo si accinge ad esaminare. All’ordine del giorno vi sono misure straordinarie anche per far fronte al pericolo di crisi economica, in quanto siccità e caldo minacciano la produzione elettrica, quella agricola e il comparto industriale. Per tale motivo, dopo aver ascoltato bene la Protezione Civile, il ministero dell’Ambiente presenterà una serie di proposte tese soprattutto al risparmio idrico, mentre nella prossima Finanziaria si farà per l’acqua un’operazione analoga a quella fatta recentemente per l’energia, e cioè le privatizzazioni, sotto le mentite spoglie delle liberalizzazioni, verranno spacciater come panacea di tutti i mali. Ricordiamo che in tema di energia si è spinto l’acceleratore sulle privatizzazioni e, quindi, sullo smembramento delle reti.
Allo stesso modo ora viene presentato come obiettivi indispensabili sia la messa in sicurezza che la ristrutturazione degli acquedotti. In altre parole si prepara una deregolamentazione che darà la possibilità alle amministrazioni che hanno già creato delle multiutilities di dismettere completamente la gestione degli acquedotti, e privatizzare così l’acqua. È una decisione preparata già da tempo, quando erano in discussione la liberalizzazione dell’energia e il riordino delle Authority, ma che aveva incontrato delle ovvie difficoltà a causa del disaccordo dell’opinione pubblica e delle stesse autorità locali. Quale migliore occasione per riproporla ora che si preannuncia l'emergenza idrica con la secca del Po? Grazie anche al rapporto di Legambiente sugli sprechi e il furto dell’acqua, questa scelta verrà offerta ai cittadini come unico e fondamentale rimedio per non rimanere senza acqua. È da precisare che stavolta la crisi idrica non interessa l’intero Paese ma praticamente soltanto le regioni settentrionali, per cui l’ovvia conclusione del nostro governo di privatizzare gli acquedotti risulta come minimo strampalata. I cambiamenti climatici in atto hanno senz’altro compromesso l’economia idrica italiana, ma appare abbastanza strano che si lanci l’allarme per l’emergenza idrica, e quindi per una grave crisi economica, a causa della secca del Po mentre il sud d’Italia è praticamente in emergenza idrica continua, con la conseguente totale devastazione dell’agricoltura e degli allevamenti. Centinaia di piccole imprese sono già fallite e la risposta delle istituzioni è stata quella di privatizzare l’Acquedotto Pugliese, che è il più grande acquedotto del mondo.
Un circolo vizioso che interessa quei grandi oligopolio privati sponsorizzati dalle istituzioni europee e portati avanti, con solerzia, dall’attuale governo di centrosinistra, campione di neoliberismo.
Così, mentre le società elettriche si preparano a comprare energia all’estero e speculano sui costi a rialzo delle bollette, l’Italia meridionale subisce l’ennesimo furto delle sue risorse idriche. Il settore idrico è oggi non soltanto nelle mani degli enti locali con gestioni dirette, aziende speciali e Spa, ma anche in quelle di Regioni (come l’Acquedotto pugliese e l’ex-Cassa del Mezzogiorno), e nelle mani di società a partecipazione pubblica come Trenitalia, Enel, ed Eni sulle quali aumentano le pressioni per una privatizzazione completa. La prima tornata di deregolamentazioni ha dato vita a una serie di Spa che si sono sostituite alle aziende municipali, e sono divenute delle vere società di capitali che hanno effettuato fusioni e dismissioni, e perfino investimenti estranei alla gestione degli acquedotti che ne hanno compromesso la stabilità, come è accaduto all'Acquedotto pugliese. Il prossimo stadio sarà quello di smembrare la rete tra produzione e distribuzione, per poi darla in concessione alle grandi società leader del settore. Prime tra tutte l’Acea, che è posseduta per il 2% dal consorzio Suez e Electralabel, che ha chiuso delle intese con Impregilo, (a sua volta controllata da Gemina, Fiat, Banca Roma). Poi vi è l’Eni che detiene la maggioranza del capitale di Acque Potabili e l’Acquedotto Campano, mentre l'Italgas detiene l’Acquedotto vesuviano. Quando è stato costruito l’acquedotto pugliese (AQP), la Sogesid e l’Ente di irrigazione di Puglia, Lucania e Irpinia, dovevano passare all’Enel; anche in vista della costruzione di un acquedotto Albania-Puglia fu costituita Enel Hydro. Nel 2003 è stato infatti elaborato un progetto per la costruzione di un acquedotto sottomarino di 80 km tra le due sponde dell’Adriatico per portare in 150 milioni di metri cubi di acqua l’anno dall’Albania: il Consorzio Acquedotto Albania-Italia (cui appartengono il gruppo Eni, l’Acquedotto Pugliese, l’Europipe France, Idrotecna ed altre primarie società), ha avviato da tempo l’iniziativa che rientra nel macroprogetto del Corridoio Paneuropeo 8. L’investimento complessivo sarà finanziato interamente con project financing e con l’intervento degli enti multinazionali. Tale progetto è stato momentaneamente interrotto e messo nel silenzio, perché, stranamente, l'acqua sembra scomparsa anche in Albania, quando per anni è stata una risorsa ampiamente disponibile. L'Albania da un anno ormai è tormentata da una terribile crisi energetica che ha causato il fallimento di alcune centinaia di piccole e medie imprese, che si sono viste privare dall’oggi al domani dell’energia elettrica. Oggi si preparano per l’Albania una nuova gestione della Corporazione elettro-energetica Albanese (KESH) e grandi progetti, dalle centrali idroelettriche a quelle termiche, fino al rigassificatore destinato a rifornire l’Italia. Sono confluiti così nei Balcani i fondi di Banca mondiale e investitori italiani come Eni, Enel e Banca Intesa-San Paolo, che stanno invece finanziando il parco energetico di Fier con la costruzione di un rigassificatore nel porto di Valona. Il governo albanese garantisce che il gas prodotto alimenterà le centrali termiche albanesi, ma vi sono molti dubbi che questo avverrà, in quanto molto probabilmente l'energia elettrica prodotta della TEC dovrà servire il gasdotto Ambo. Mentre dunque oggi guardano tutti al petrolio e al gas, si combatte sul vero oro del futuro la grande sfida del capitale finanziario. La parola d’ordine nei prossimi mesi è quella di privatizzare e comunque ridurre la presenza pubblica nel settore della gestione delle acque. In nome del profitto di pochi e a danno dei cittadini tutti.