“Beat Hotel”. Una topaia per dimora
di Stenio Solinas - 15/05/2007
I
l Beat Hotel naturalmentenon si chiamava così. A
dire la verità, non si chiamava
per niente, non aveva
né nome né insegna. Stava
al numero nove di
rue Gîtle-Coeur
, nella parte piùmedievale del Quartiere latino, lì dove
rueSaint-André des Arts
sbuca quasi sulla Senna,non troppo lontano dalla chiesa gotica di
Saint Severin. Era di XIII categoria, ovvero
la più bassa, quella per la quale in teoria si
dovevano garantire le sole norme di igiene e
di sicurezza, ma si poteva soprassedere sui
servizi... In realtà era molto sporco, i topi
correvano lungo le scale, le camere non avevano
il bagno, ai piani i gabinetti erano alla
turca, c’era un odore stagnante di cibo e di
escrementi: nelle stanze si poteva cucinare,
nei cessi spesso mancava l’acqua...
Gerente dell’albergo era Madame Rachou,
che veniva da Giverny, aveva fatto in tempo
a servire a tavola Monet e Pissarro, e prima
in coppia con il marito, poi, rimasta vedova,
da sola, lo mandava avanti dagli anni Trenta:
a fianco dell’entrata, a sinistra, un’altra porta
a vetri con sopra dipinto il suo nome introduceva
al bar-bistrò che completava il tutto.
C’erano 42 camere, molte prendevano la
luce soltanto dalla tromba delle scale, l’acqua
calda era disponibile nei fine settimana,
la biancheria veniva cambiata una volta al
mese.
Beat Hotel
più che un’insegna fu un soprannome,o forse sarebbe meglio dire che lo stabile
lo assunse per proprietà transitiva: nell’autunno
del 1957 vi si insediarono Allen
Ginsberg, Gregory Corso e Peter Orlovsky,
ovvero tre dei membri più importanti di
quello che più tardi sarebbe stato definito il
Rinascimento poetico di San Francisco, ma
che allora era semplicemente la
Beat Generation,una sorta di figli putativi e ribelli della
Lost Generation
, la «generazione perduta»degli anni fra le due guerre. Dal 1957 al
1963, con interruzioni più o meno lunghe, il
Beat Hotel divenne la loro dimora parigina e
quando lì si stabilirono anche William Burroughs
e Brion Gysin la formazione fu pressoché
al completo. L’unico che non vi mise
mai piede fu Jack Kerouac, l’autore di
“Sullastrada”
. Degli scrittori beat era il più aristocratico,ma anche il più alcolizzato, quello
che per primo arrivò al successo, ma
anche l’unico a morire relativamente giovane,
intorno ai cinquant’anni... Particolare
curioso, nonostante le sue ascendenze franco-
canadesi, e quindi un certo
penchant peril Vecchio continente, e nonostante fosse lui
il cantore del movimento, dell’«andare», del
gruppo sarà proprio Kerouac quello che più
malvolentieri lascerà gli Stati Uniti e che
sempre più rifuggirà da una vita fatta di promiscuità,
vagabondaggi, ristrettezze...
In quegli anni, e sempre al
Beat Hotel, Ginsbergscrisse le sue poesie più famose, escluso
“L’Urlo”
, Corso compose “Bomb” e“The Happy Birthday of Death”
, Burroughs“Il pasto nudo”
, Gysin inventò la teoria del“cut-up”, ovvero la letteratura come riciclo
della letteratura, lì furono ideati e organizzati
i primi spettacoli di luci e proiezioni corporee
multimediali, gli antesignani, insomma,
degli spettacoli rock con luci psichedeliche,
lì fu costruita la
Dreamachine, la macchinadei sogni che creava allucinazioni visive, lì
venne girato il film sperimentale inglese
“The Cut-Ups” e quindi per molti versi si
può dire che gran parte della controcultura
americana che avrebbe dato vita agli
hippiesbattesimo
sulle rive della Senna...
Che cosa gli scrittori americani cercassero
nel cuore della Vecchia Europa è presto detto:
una fuga dal conformismo e dal puritanesimo,
la possibilità di vivere in maniera libera.
Curiosamente, quello che non li attirava
era invece proprio ciò che allora faceva di
Parigi il centro intellettuale del continente:
esistenzialismo e Nouvelle Vague, Sartre e
Godard, la Greco e la Bardot, Françoise
Sagan, ma anche Jonesco e Beckett... Erano
anche gli anni dela guerra d’Algeria, del
ritorno sulla scena politica di de Gaulle, della
fine della Terza repubblica, ma agli scrittori
beat
la politica non interessava, e l’ideologiaancor meno. «Sono soltanto un ex marinaio,
non faccio politica, non voto nemmeno» dirà
Ginsberg: erano per un totale
non coinvolgimento, «la
mitezza dell’agnello dell’illusione
», un pacifismo non attivo,
piuttosto una specie di
«non contate su di noi». L’unico
che andrà in seguito controcorrente
sarà Kerouac, con le
sue simpatie per la destra di
McCarthy e il suo anticomunismo,
ma Corso scriveva di
amare la bomba atomica, perchè
odiarla voleva dire restarne
vittima, Burroughs era perso
nei mondi che popolavano i
paradisi artificiali e insomma
l’idea che dietro la Beat generation
ci fosse un nocciolo
duro ideologico è soprattutto
frutto di letture interessate.
Non sorprende che i loro gusti
intellettuali andassero verso
scrittori come Céline, verso
movimenti come il dadaismo e
in genere verso tutto ciò che
metteva l’arte al primo posto e
la società all’ultimo.
Il disinteresse verso ciò che
accadeva all’esterno, si spiega
anche con l’interesse verso ciò
che si muoveva all’interno del
piccolo gruppo. Un capitolo a
parte meriterebbe il rapporto
con la droga. Oggi che il fenomeno
è da sballo, da tedio, da pura evasione
o da puro piacere, e in fondo di massa, riesce
difficile riferirsi a un’epoca in cui «avvicinamenti,
droghe, ebbrezze», per dirla con Ernst
Jünger, erano intesi nel senso di una percezione
più profonda, di un’esplorazione totale,
di un viaggio mentale.... C’erano poi gli
aggrovigliati rapporti sentimentali, con un
tasso molto forte di omosessualità, ma anche
con l’idea che la donna di uno fosse, lei consenziente,
la donna di molti se non di tutti, e
un forte solidarietà artistico-comunitaria, il
che voleva dire interessarsi anche praticamente
(battere a macchina testi altrui, trovare
gli editori, prestare soldi) del lavoro degli
altri. Nel tentativo di far pubblicare
“Il pastonudo”
dalle edizioni Olympia di MauriceGirodias, allora specializzate in pornografia
d’autore, Ginsberg, Corso e l’intellettuale
francese Jean-Jacques Label gli occuparono
la casa editrice. «Gregory aveva portato del
vino e noi ci sedemmo per terra. Gli dicemmo:
“Non ci muoviamo da qui fino a quando
non avrai firmato il contratto...“».
Altre volte, l’assoluta bizzarria degli atteggiamenti
produceva situazioni fra il farsesco
e il grottesco. A una festa in onore di
Duchamp, Corso, ubriaco, vomitò sulle scale,
Ginsberg si mise a baciare le ginocchia
del pittore, convinto di fare un gesto surrealista,
ancora Corso gli tagliò la cravatta con un
paio di forbici... Il modo di fare, insomma,
era questo e in fondo pervadeva un po’ tutti
gli abitanti del
Beat hotel, artisti o meno.Sinclair Bailes, un amico di Burroughs fin
dai tempi di Tangeri, si era trasferito lì con la
sua ragazza tedesca, e siccome lui era un
ebreo sudafricano la inseguiva sul tetto con
una spada per vendicare le persecuzioni subite
dalla sua razza...
Il
Beat Hotel ai beat non sopravvisse. MadameRachou cedette la licenza proprio nel
1963 e al suo posto, da allora, c’è il
Relaisdu Vieux Paris
, semprenegli anni al passo
con i tempi e
quindi oggi dotato
oltre che di minibar,
telefono e bagni di
marmo bianco in
camera, di televisione
satellitare e internet...
Per il resto,
come location è
cambiato poco o
niente, rue
Gît-le-Coeur
è rimasta unastradina stretta, il
panorama d’intorno
conserva gli stessi
muri scrostati, gli
stessi canaletti di
scolo dell’acqua, le
medesime facciate di
stabili. C’è naturalmente
più turismo, e
quindi più locali
turistici, ma convive
con quegli elementi
popolari e di quartiere
che sono un po’
una caratteristica
parigina. Chi è
appassionato al passato
può andare alla
ricerca delle fotografie
d’epoca che sono
il pezzo forte del
volume di Harold
Chapman
The BeatHotel
pubblicato negli anni Ottanta dall’editorefrancese Gris Banal. Chi vuole ripercorrere
la storia degli stravaganti e geniali inquilini
che in quel quinquennio lo popolarono,
ha invece ora a disposizione il saggio di
Barry Miles
Il Beat Hotel (Guanda, 323pagine, 18 euri), una guida perfetta a una
bohème irripetibile di sperimentazioni creative,
droghe e libero amore.