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Home / Articoli / Veltroni e i suoi miti americani: i Kennedy

Veltroni e i suoi miti americani: i Kennedy

di Christian Rocca - 27/06/2007

Bob Kennedy, l’anticomunista

amico di McCarthy che cercò

di assassinare Castro. Un mito

 

Ci sono leader che si fanno

guidare dalla fede e ci sono uomini politici

che scelgono il mito come bussola del

proprio cammino pubblico. Walter Veltroni

ha il mito dell’Altra America, quella

buona e illuminista contrapposta a una

imperialista e arrogante. Soprattutto è

l’officiante del culto iconico dei Kennedy,

in particolare di Robert detto Bob. Sostituire

la fede con il mito è un’operazione

geniale, a patto che la storia venga raccontata

per intero.

I Kennedy, dunque. John (Jfk) è l’uomo

della Nuova Frontiera e dello sbarco sulla

Luna. Bob (Rfk) è quello dei diritti civili

e della giustizia sociale. Tutto vero, soltanto

enfatizzato dalla loro morte tragica,

avvenuta l’una a Dallas nel 1963 e l’altra a

Los Angeles nel 1968. La gran parte dell’allure

dei Kennedy risiede nel che cosa

sarebbero stati e nel che cosa avrebbero

fatto, se non fossero stati entrambi uccisi.

Jfk e Rfk però sono stati e hanno fatto molte

cose, oltre il mito. Sono stati i due rampolli

di un’influente famiglia americana la

cui epopea non è soltanto glamour, Brooks

Brother’s e barche a vela, ma anche l’emblema

del rapporto ruvido tra politica e

potere, quanto di più distante possa esistere

dalla mitologia veltroniana. Il guru

della sinistra radicale globale, Noam

Chomsky, ha scritto “Rethinking Camelot”,

un feroce atto d’accusa su John e il Vietnam.

L’eroe del giornalismo militante contro

ogni potere costituito, Seymour Hersh

– oggi impegnato nell’opera di distruzione

della presidenza Bush –, ha scritto “The

dark side of Camelot”, la controstoria della

presidenza Kennedy caratterizzata da

fallimenti, scandali e abusi di potere che

“sono andati ben oltre le piccole indulgenze

personali, ma che hanno minacciato

la sicurezza della nazione e l’integrità

della presidenza”. Hersh

è convinto che soltanto

l’aiuto di suo fratello Bob,

da lui nominato niente di

meno che ministro della

Giustizia, e poi la morte a

Dallas, gli hanno evitato

un grande processo politico

e pubblico che lo

avrebbe fatto crollare.

John Kennedy era tutto

tranne che il ritratto della

purezza, non solo per i suoi notori tradimenti

coniugali, ma anche per le sue discutibili

frequentazioni, a cominciare dall’amante

che divideva con un boss mafioso.

Kennedy ha battuto Richard Nixon in

una elezione nota perché i due candidati

avevano lo stesso identico programma,

specie in politica estera, e che fu vinta anche

grazie al sostegno ai limiti della legalità

di una potente famiglia politica ancora

oggi al potere a Chicago. Jfk è difficilmente

ascrivibile al Pantheon d’eroi del

Partito democratico italiano, visto che una

volta alla Casa Bianca avviò la guerra del

Vietnam, provò a invadere Cuba, fu sul

punto di far scoppiare la terza guerra

mondiale con i sovietici (ma in versione

atomica), propose di “abbassare energicamente

le tasse” e ritardò l’adozione della

legge sui diritti civili per paura di perdere

il voto dei segregazionisti democratici

del sud. Kennedy è l’emblema dell’anticomunismo

militante, l’ispiratore di una generazione

di “cold warriors”, il presidente

della politica estera unilaterale basata

sulla dottrina del fermare a tutti i costi

l’effetto domino creato dall’avanzata comunista.

Kennedy è stato il comandante in

capo del riarmo, degli interventi militari

preventivi in Asia e in America latina, oltre

che il fustigatore dell’inutilità dell’Onu.

Kennedy invitava l’occidente a non andare

troppo per il sottile: “Non deve esservi

alcun dubbio nelle nostre menti, la decisione

deve essere immediata: se discutiamo,

se esitiamo, se poniamo quesiti,

sarà troppo tardi”, ha scritto nel suo libro

dal titolo “Perché l’Inghilterra dormì”,

scritto nel 1940 e pubblicato in Italia soltanto

dalla casa editrice di estrema destra

“Il Borghese”.

Il lato oscuro del mito

dei Kennedy parte dalle attività del patriarca

Joe, ma coinvolge il presidente e più di

tutti Bob, l’idolo veltroniano. Joseph Kennedy

senior è stato da ambasciatore a Londra

nel 1938, dove si è fatto un nome che difficilmente

potrebbe entrare in una clip di

Walter Veltroni. Kennedy senior sosteneva

che un compromesso con i nazisti era possibile,

criticava Winston Churchill che credeva

il contrario, appoggiava l’allora premier

inglese Neville Chamberlain che a Monaco

fu il protagonista della resa occidentale a Hitler.

Ancora: riceveva gli elogi dei nazisti,

provava a incontrare il Fürher, era contrario

all’intervento militare contro i nazifascisti e

si batteva contro Franklin Delano Roosevelt

passato, nel frattempo, da un atteggiamento

neutrale a un’aperta politica antinazista. Come

se non bastasse, i libri di storia kennediana

sono colmi di citazioni esplicitamente antisemite

cui spesso il patriarca di Boston si

lasciava andare (“gli ebrei come individui

vanno bene, ma come razza puzzano, si appropriano

di tutto ciò che toccano”).

Jfk inviò 16 mila tra advisors militari e forze

speciali in Vietnam a sostegno del governo

anticomunista e autorizzò l’uso del napalm.

La mitologia kennediana fornisce varie

prove del fatto che si fosse convinto a ritirare

mille uomini entro il 1964 e che l’assassinio

non glielo avrebbe permesso. Altri storici,

a cominciare da Chomsky, sostengono il

contrario e considerano l’escalation militare

del suo vice Lyndon B. Johnson la diretta

continuazione dei piani kennediani.

Le biografie uscite in questi anni raccontano

un Bob Kennedy che va oltre l’icona del

pacifista e del militante dei diritti civili, del

politico capace di sfidare l’apartheid sudafricano

e di lottare per la giustizia sociale. Bob

Kennedy è ricordato, piuttosto, come un uomo

cattivo e spietato, addirittura omofobico,

capace di vedere soltanto il bianco o il nero.

Suo padre di lui diceva: “Quando Bob ti odia,

ti odia tutta la vita”. Chi ha lavorato con lui

ricorda le crisi di collera e gli atteggiamenti

bambineschi. Alla guida delle campagne

elettorali del fratello, Bob ha inaugurato la

stagione dei “dirty tricks”, i “giochi sporchi”

che poi sono diventati sinonimo delle campagne

politiche di Nixon. Alle primarie, nelle

contee cattoliche, Bob faceva distribuire volantini

anticattolici firmati dall’incolpevole

avversario di suo fratello, provocando reazione

e sdegno tra gli elettori.

I primi passi pubblici di Bob Kennedy sono

quasi sempre nascosti dai suoi fan. Bob

cominciò a investigare sui presunti agenti sovietici,

alla sezione di Sicurezza interni del

dipartimento di Giustizia. Nel 1952 è diventato

consigliere del senatore repubblicano

Joe McCarthy, proprio ai tempi della Commissione

per le attività antiamericane che

inaugurò la stagione della caccia alle streghe

comuniste. McCarthy era un amico di famiglia,

riceveva finanziamenti dai Kennedy,

con i quali scambiava favori politici, a cominciare

da una specie di desistenza al momento

della candidatura di John al Senato.

McCarthy era il pupillo del patriarca Joe

e l’ex fidanzato delle due sorelle di John e

Bob, prima di Eunice (oggi suocera di

Schwarzenegger), poi di Pat. Bob ha lavorato

sei mesi con lui, durante i quali gli stava dietro

mentre il senatore tartassava le sue vittime

sospettate di comunismo. L’accostamento

tra i Kennedy e il maccartismo era, ed è,

parecchio imbarazzante, tanto che John era

sempre costretto a trovare una scusa per non

criticare o non censurare mezzi e metodi che

facevano inbufalire l’America liberal.

La versione ufficiale del mito dei Kennedy

dice che Bob ha lasciato McCarthy quando

ha intuito la direzione che stavano prendendo

le sue inchieste. Le ricostruzioni più indipendenti

raccontano che si è dimesso su suggerimento

del padre, non appena questi ricevette

notizia dal capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover,

che McCarthy era sulla via dell’autodistruzione.

Le campagne anticomuniste di

Bob sono continuate al dipartimento di Giustizia.

Il 10 ottobre 1963, Bob ha commesso

quello che è considerato uno degli atti più

ignobili della storia politica americana: autorizzò

l’Fbi di Hoover a intercettare le telefonate

di Martin Luther King e dei suoi familiari,

perché sospettati di coprire le attività

comuniste di un collaboratore. In seguito,

Bob ha recuperato il rapporto con King e

dopo l’assassinio del reverendo è diventato

lui stesso l’icona del movimento dei diritti civili.

Ma la crociata anticomunista di Bob non

ha mai conosciuto soste. Alla Casa Bianca

era lui a guidare le operazioni per uccidere

Fidel Castro. A lui si deve anche il conio della

parola “counterinsurgency”. Jfk gli aveva

affidato un ufficio speciale di attività anti insurrezioni,

dove gli uomini di Bob addestravano

le polizie degli stati dell’America del

sud a sopprimere le rivolte comuniste. Il dipartimento

di Stato era contrario, ma l’impulso

messianico di Bob ha avuto la meglio,

col risultato che gli apparati di sicurezza di

quei paesi sono diventati uno strumento di

repressione efficiente e professionale.