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Una forza antica. Caterina Sforza sugli spalti della rocca forlivese di Ravaldino

di Gilberto Oneto - 09/07/2007

Fonte: opinione.it


Una consolidata leggenda racconta del gesto spavaldo e impudico di Caterina Sforza sugli spalti della rocca forlivese di Ravaldino. Nel
1488, in una congiura ordita dalla famiglia Orsi viene ucciso il suo primo marito Girolamo Riario, signore di Imola e Forlì, e Caterina è
imprigionata con i figli. La Rocca di Ravaldino rifiuta di arrendersi ai ribelli e Caterina si offre come ambasciatrice per convincere la
guarnigione alla resa. Una volta entrata nella fortezza, rivela però le sue vere intenzioni e si mette al comando dei soldati rimasti
fedeli. Si racconta che gli Orsi avrebbero portato i suoi figli davanti all'ingresso della Rocca minacciando di ucciderli se non si
fosse arresa. Salita spavaldamente sulle mura, Caterina si sarebbe sollevata la gonna e - indicando le proprie parti intime - avrebbe
gridato "Fatelo, se volete. Ho con me lo strumento per farne degli altri! ", promettendo che li avrebbe vendicati. Intimoriti da tanta
sfacciata decisione, gli Orsi non hanno osato toccare i prigionieri  e alla fine hanno ceduto di fronte alla tenace resistenza di Caterina e
all'arrivo dell'esercito di suo zio Ludovico il Moro.

Caterina era infatti la figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani. Aveva allora 26 anni e in seguito ha continuato
ad usare lo "strumento" (ha avuto altri due mariti: Iacopo Feo e Giovanni de' Medici) , generando una numerosa nidiata di figliuoli,
l'ultimo dei quali è stato il famosissimo Giovanni delle Bande Nere.
Sulla sfrontata vicenda di Ravaldino non c'è alcuna certezza storica,anche se il Machiavelli (che si dice fosse invaghito di Caterina) pare
crederci. Può anche essere stata bellamente inventata, ma ripropone in ogni caso una immagine che si ritrova con una certa costanza nella
nostra tradizione culturale: la sua origine può infatti essere rintracciata nella mitologia celtica e, in particolare, nelle fattezze
e nell'atteggiamento molto peculiari con cui è descritta la divinità della fertilità, conosciuta nella sua versione gaelica come
Sheela-Na-Gigs. La si trova raffigurata con una certa frequenza soprattutto in molte località delle isole britanniche, sempre
nell'atto di mostrare in forma anche piuttosto plateale i propri organi sessuali. É un riferimento molto esplicito alle capacità
riproduttive e quindi ai riti di fecondità strettamente collegati con la produzione agricola.

Proprio per questa sua funzione simbolica essenziale in una società contadina, l'impudica figura è sopravvissuta a tutti i cambiamenti
temporali: la si ritrova anche nell'iconografia di molte chiese romaniche e gotiche, spesso sotto forma di Melusina, assieme ad altre
figurazioni "strane", a volte oscene, che non avrebbero ragione di trovarsi in un luogo di culto di una religione "castigata" come quella
cristiana se non in virtù di significati profondi e ancestrali. Si è argomentato che tali figure fossero impiegate come rappresentazione
negativa, come stigmatizzazione del peccato e della lussuria: in realtà persisteva il loro significato originale di segno di fertilità,
di prosperità e di strumento apotropaico contro il malocchio e la cattiva fortuna.
 
A questo preciso genere appartengono anche altre due figure piuttosto note di casa nostra. La prima è la cosiddetta Potta
di Modena, figura femminile che ostenta il sesso, un tempo sulla facciata ed ora nel museo del Duomo della città emiliana. Una voce
popolare vuole che sia il ritratto di una certa Antonia che nel 1227aveva quarant'anni e (non si sa come, se non per merito di una
fertilità davvero prodigiosa) ben 42 figli, ma si tratta sicuramente di una interpretazione di comodo. Proprio come quella avanzata per un
bassorilievo in pietra posto sull'antica Porta Tosa di Milano e tutt'ora conservato, dopo l'abbattimento dell'edificio, al Museo del
Castello. Esso raffigura una donna con la veste sollevata, nell'atto di radersi il pube. La figura aveva dato alla Porta (e al quartiere di
Milano che vi si affaccia) il nome di Tosa, da "tonsa", prima di diventare Porta Vittoria. Nell'immaginario popolare la donna era
piuttosto fantasiosamente identificata con la moglie del Barbarossa.

Oltre alla postura piuttosto peculiare e all'ostentazione di parti corporee normalmente tenute nascoste, tutti i casi (e i personaggi)
descritti posseggono anche altri caratteri comuni che non possono essere solo frutto di casualità. Alla primigenia divinità celtica
erano attribuiti poteri segreti, stregoneschi, collegati con forze
occulte della natura e con le facoltà magiche dei vegetali.
Sheela-Na-Gigs (spesso confusa anche con Morrigan) è così anche descritta come una fattucchiera. Anche alla moglie del Barbarossa
(associata senza ragioni razionali alla Tosa milanese) erano attribuiti ruoli di strega e fattucchiera. Caterina Sforza è spesso
collegata con ritualità misteriose, era in corrispondenza con Gerolamo Savonarola ed è stata autrice di un famoso libro ("Experimenti de la
Excellentissima Signora Caterina da Furlj") colmo di 454 ricette,pozioni e procedimenti magici e alchemici. Nel testo si trovano
rudimenti di medicina, farmacia, chimica, profumeria e cosmesi, frutto di stranezze miste a conoscenze scientifiche, tutto un arsenale adatto
a farla passare per una fattucchiera, un "Mostro di femminil figura",secondo le parole del Machiavelli.

Tutte queste figure di donna erano considerate allo stesso tempo bellissime ma anche dotate di doti maschili, quali la fermezza, il
carattere ferreo e la straordinaria capacità di combattere. Un ultimo ma non ultimo elemento di inquietante connessione è rappresentato dal
nome: Sheela-Na-Gigs era anche chiamata Cailleach (donna saggia) e Càitig (donna gatto) , appellativi che hanno generato gli
angolo-sassoni Cathleen, Catherine, il piemontese Catlìn-a, e cioè Caterina, un nome specificatamente collegato in Europa occidentale con
donne molto forti, dalla malia felina. Non sappiamo se la storia di Caterina Sforza a Ravaldino sia frutto di fantasia: in ogni caso chi
l'avesse inventata doveva saperla molto lunga.