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La riluttanza di Washington a concludere trattati è il motore della crisi iraniana

di Vladimir Maksimenko e Andrej Arešev* - 26/07/2007




Il 9 febbraio 2007, parlando a Monaco, Vladimir Putin ha indicato l'ambizione ad agire nell'area internazionale «servendosi dei cosiddetti “espedienti politici”» ed il mancato rispetto del diritto internazionale come responsabili di una situazione per cui «nessuno può più sentirsi al sicuro» [1].
Oggi, al sicuro non si può di certo sentire l'Iràn. L'autonoma politica del paese nel campo dell'energia nucleare è una spina nel fianco dell'egemone statunitense e della potenza nucleare regionale, Israele. Poco importa che gl'Iraniani stiano preparandosi a fronteggiare la minaccia. L'esperienza della Jugoslavia bombardata e smembrata, dell'Iràq e dell'Afghanistan occupati ed ora impegnati nella guerriglia, confermano la letalità di quella minaccia.
A livello mondiale, i media che affrontano le questioni concernenti l'Iràn mostrano una certa professionalità, discutendo della forze degli USA e dei mezzi a loro disposizione per bombardare l'Iràn, usando anche missili nucleare a basso potenziale (o, se lo riterranno conveniente, “limitandosi” a bombardare strade, ponti, fabbriche e centri amministrativi con mezzi “convenzionali”).
Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov s'è detto preoccupato dai progetti statunitensi d'una bomba nucleare a basso potenziale. Stando al “The Sunday Times”, il “lavoro sporco” potrebbe essere delegato a Israele, i cui piloti stanno già preparandosi a bombardare tre siti iraniani con missili nucleari. E, sebbene Tel Aviv abbia smentito la notizia, potrebbe essersi trattato d'una forma di sondaggio dell'opinione pubblica, in vista dell'operazione militare. Seymour Hersh, uno dei più grandi giornalisti statunitensi, noto per le sue indagini sensazionalistiche, ha affermato che, a prescindere dalla posizione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, l'Iràn sarà attaccato: «Non importa se si riusciranno a provare o meno le accuse rivolte all'Iràn».[2]
La stampa ha più volte fatto notare che l'Iràn non dovrebbe dotarsi d'armi nucleari prima del 2015 [3]. Non c'è bisogno d'alcuna operazione militare: l'Iràn non s'è ritirato dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TPN), continua a collaborare con l'AIEA ed i meccanismi di controllo funzionano ancora egregiamente. L'ostacolo risiede tutto nell'isterica propaganda di Washington e nei suoi preparativi militari.
Il famigerato “dossier nucleare iraniano” corrisponde esattamente alle mai trovate armi di distruzione di massa dell'Iràq: un falso pretesto per attaccare.
Il TPN, un tempo efficace strumento del contenimento reciproco, oggi andrebbe scansato come la peste. Ciò, soprattutto per colpa degli USA, la cui ricerca della “supremazia globale” ha ridotto il mondo in uno stato per cui «nessuno può sentirsi sicuro».
Senza dubbio, il numero dei membri de facto del club nucleare, in crescita sin dali anni '90 (durante i quali sono divenute potenze atomiche India, Pakistan e Corea del Nord), continuerà ad aumentare. La minaccia è oggi rivolta al mondo intero, Stati Uniti compresi. Il territorio statunitense dista migliaia di chilometri da un nuovo teatro di guerra, che potrebbe occupare l'area tra il Golfo Persico ed il Mar Caspico: molto vicina all'Iràq, dov'è stanziato un grosso contingente militare degli USA. Ci sono poi le basi militari statunitensi negli Stati alleati del Golfo Persico. Nel frattempo, la stampa mondiale pullula di speculazioni circa la possibile risposta asimmetrica dell'Iràn ad un eventuale attacco statunitense.
Come si può impedire il catastrofico sviluppo degli eventi? Tanto per cominciare, bisognerebbe frenare lo stillicidio di minacce schizofreniche rivolte all'Iràn. Altresì, andrebbe cercato un accordo con Tehran. Esso potrebbe basarsi su una combinazione di sviluppo dell'energia atomica in quegli Stati che lo desiderano, e di rafforzamento del regime internazionale di non proliferazione nucleare.
Il 25 gennaio 2006, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato l'idea d'istituire un centro internazionale per l'arricchimento dell'uranio, che garantirebbe la fornitura di combustibile ai paesi desiderosi di sviluppare propri settori nucleari, nel contempo garantendo la sopravvivenza del TPN. «Converrebbe – ha sostenuto Putin [4] - creare un prototipo d'una simile infrastruttura globale, che garantirebbe l'accesso all'energia nucleare a tutti i paesi interessati». Il primo centro di questo tipo è stato aperto nel gennaio 2007 nella città di Angarsk, nell'Irkutskaja Oblast'. All'inaugurazione erano presenti alcuni rappresentanti dell'AIEA.
È importante anche completare la costruzione della centrale nucleare di Bushehr (Iràn), da troppo tempo in sospeso, dove la Atomstroeksport russa continua a lavorare – secondo le stime della Rosatom – con più di 2000 specialisti russi. [5]
Il progetto di Bushehr è un pietra miliare nel quadro della collaborazione tra la Russia ed i paesi del Vicino e Medio Oriente nel campo dell'energia nucleare a scopi pacifici. Turchia, Egitto, Giordania e diversi Stati del Golfo progettano ora di costruire proprie centrali nucleari. Una volta completata la costruzione della centrale di Bushehr, la Russia dovrebbe aver acquisito maggiore esperienza utile ad istituire centri internazionali d'arricchimento dell'uranio. Visti gli ulteriori studi legali ed economici da parte russa, questo modello potrebbe diventare esattamente ciò che Putin chiama “un prototipo” dell'infrastruttura globale destinata a garantire libero accesso all'energia nucleare.
Un approccio non militare a questa crisi creata ad arte, potrà realizzarsi solo se la comunità internazionale riuscirà a convincere Washington ad utilizzare il linguaggio della diplomazia anziché quello della forza. Finora, solo i Nordcoreani sono riusciti a “disciplinare” l'egemone statunitense, ma ciò non è sufficiente. Per impedire che le armi nucleari si diffondano in tutto il pianeta, dovremmo tornare all'idea di fare del Vicino Oriente una zona denuclearizzata. Questione che si potrebbe affrontare solo se i cinque membri “ufficiali” del club nucleare, più quelli non ufficiali (prima di tutti Israele), mostrassero il massimo senso della responsabilità.
Per ora, l'idea di fare del Vicino Oriente un'area denuclearizzata non è riscontrabile in seno alla diplomazia internazionale. Washington più di Tehran appare riluttante a stringere accordi. Il bellicismo dell'amministrazione Bush non fa gl'interessi di nessuno, neppure degli Statunitensi. Gli unici a guadagnarci sono i neoconservatori, la lobby israeliana ed il complesso militare-industriale degli USA.

(traduzione di Daniele Scalea)

Articolo originale (in inglese): http://en.fondsk.ru/article.php?id=662
Si ringrazia il Fond Strategičeskoj Kul'tury per la concessione di quest'articolo.

* Vladimir Maksimenko, storico, è membro dell'Istituto di Studi Orientali dell'Accademia delle Scienza russa. Andrej Arešev è un analista e saggista russo che collabora col FSK. Quest'articolo è stato scritto all'inizio dell'aprile di quest'anno.

Note:

1) http://www.kremlin.ru
2) http://www.islam.com.ua/news/3799/
3) http://www.afn.by/news/view.asp?id=62812
4) http://www.rian.ru/economy/20060125/43179398.html
5) http://www.minatom.ru/News/Main/view?ide=43086&idChannel=681>/font>