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Donne selvatiche. Forza e mistero del femminile

di Claudio Risè - 15/12/2005

Fonte: ariannaeditrice.it

 Edizioni Frassinelli

 

il tema della crisi della maschilità, propone un libro sul femminile, “Donne Selvatiche. Forza e mistero del femminile”?

«Il fatto è che la crisi dell’uomo, in Occidente, è l’interfaccia di quella del femminile, e della donna. Ed entrambe trovano la loro origine in quell’allontanamento dall’istinto e dalla terra incontaminata (appunto ciò che io chiamo il “Mondo Selvatico”) che è stato realizzato nel modello di sviluppo occidentale da un certo punto in poi».

Quali sono gli effetti di questa doppia crisi?

«Dal punto di vista dell’interesse collettivo, il fenomeno più vistoso (in cui confluiscono tutti gli altri), è quello della denatalizzazione, quel crollo delle nascite e demografico che potrebbe estinguere i nostri popoli, e la nostra civiltà.

Questo fenomeno è risultato di una serie di crescenti patologie maschili (impotenza, incapacità di fecondare, scarso interesse alla penetrazione) e di equivalenti patologie femminili (narcisismo, poca disponibilità a darsi in un’esperienza di maternità, atrofia affettiva e concentrazione sul successo e l’affermazione materiale), tutte derivanti dall’allontanamento dall’istinto e dalla natura. Occorre affrontare al più presto questi problemi, negati dalla cultura politica che ha dominato negli ultimi 40 anni (dal 1960 a un anno fa) e dalla psicologia “politicamente corretta”».

In che modo libri come “Donne Selvatiche” possono aiutare ad affrontare questi problemi?

«Questo libro - che ho scritto con mia moglie Moidi Paregger, medico a Bolzano - racconta un filone leggendario diffuso in tutto l’arco alpino, dalla Lombardia alla Carnia alla Carinzia, quello della Fanciulla Selvatica. Si tratta di una figura ben nota alla cultura tradizionale del Nord. È una donna che viene dal bosco, e offre ai contadini del paese e del maso il suo sapere. Una sapienza che riguarda essenzialmente la vita: i cicli delle semine e dei raccolti, il governo dalla fattoria e degli animali, la sessualità e l’affettività naturali. Un sapere che coincide con l’istinto naturale, quello che gli antichi chiamavano “lumen naturae” e che nel corso del cosiddetto “processo di civilizzazione” è stato sempre più svalutato, fino a rischiare di perdersi del tutto».

Perché avete scelto proprio la Donna Selvatica delle Alpi come figura-guida di un processo di rigenerazione del femminile?

«Abbiamo ricostruito con precisione questa figura attraverso le centinaia di leggende che mia moglie ha ritrovato nei libri dei raccoglitori tedeschi (noi italiani abbiamo purtroppo dato poco valore alle nostre tradizioni, come se non fossero le depositarie dell’anima popolare, e della psiche collettiva). Si tratta di testi ormai esauriti da più di un secolo e mezzo, scovati da Moidi nelle biblioteche di Austria e Germania. Durante la ricerca ci siamo resi conto che questa “selvatica fanciulla”, con la sua generosità, bellezza, sapienza, e dedizione al suo uomo, ai figli e alla terra, ci mette in contatto, attraverso le leggende che ne parlano, con un femminile non contaminato dalla smania di guadagno, di successo e di immagine. È un’immagine di donna che bada alle leggi dello sviluppo della vita, della natura, perché sa bene che quella è la fonte della felicità e del vero benessere. Il suo è un antico sapere dei nostri popoli: le prime leggende sono addirittura precedenti alla penetrazione cristiana in queste regioni. Ritrovare attraverso l’“immagine-guida” della Donna selvatica quest’antica saggezza delle nostre terre può riunirci agli aspetti più vitali della nostra storia, del nostro territorio e del nostro carattere».