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Mussolini e il petrolio iracheno

di Maurizio Stefanini - 08/09/2007

Mauro Canali

MUSSOLINI

E IL PETROLIO IRACHENO

Einaudi, 204 pp., euro 15

 

Quando l’Italia stava per diventare potenza

petrolifera… La grande occasione

risale al 1932, quando spira il mandato

inglese imposto sull’Iraq dopo la fine della

Prima guerra mondiale, e il governo di Bagdad

cerca allora di mostrare la sua nuova

sovranità col sottrarre i giacimenti dalla

destra del Tigri al controllo di una società

a capitale misto anglo-franco-americano,

per girarli a una nuova società di cui è socia

al 25 per cento anche l’Agip. Nel 1934 le

difficoltà finanziarie dei partner permettono

alla nostra società di Stato di accrescere

la propria quota al 44 per cento. Nel 1935

un’analoga contingenza porta l’Agip alla

maggioranza assoluta del 52 per cento,

mentre le prime prospezioni danno risultati

spettacolari: 500 tonnellate giornaliere

nel primo dei due punti considerati e addirittura

2000 nel secondo. E nell’ottobre di

quello stesso 1935 è aperto un pozzo che dà

ben 20.000 barili al giorno. La relazione che

arriva a Mussolini riferisce che in tutto l’Agip

in Iraq ha già raggiunto “la quantità di

circa 32.000 barili al giorno, corrispondenti

a 1.750.000 tonnellate all’anno”. Un mare

di greggio che avrebbe reso l’Italia del tutto

autonoma dal punto di vista energetico,

e perfino esportatrice. Ma il Duce quelle

carte non le legge quasi, distratto come è

dall’impresa coloniale vecchio stampo che

ha deciso di condurre in Etiopia. Anzi, proprio

per finanziare quella guerra dispendiosissima

che agli inizi del ’36 ordina all’Agip

di liquidare tutto. Per 350.000 sterline,

offerte dalla Chase Bank, il tesoro petrolifero

italiano in Iraq torna alla Ipc: la

stessa società cui il governo di Bagdad l’aveva

sottratto quattro anni prima.

Su questa vicenda Mauro Canali, docente

di Storia contemporanea all’Università

di Camerino, ha deciso di titolare tutto il

suo libro. Ma in realtà il testo fotografa tutto

lo scontro che all’inizio del Ventesimo

secolo si svolge attorno al petrolio iracheno,

articolandolo attraverso tre momenti

chiave. Il primo parte dalla rivoluzionaria

scelta del Primo Lord dell’Ammiragliato

Winston Churchill di escludere il naviglio

alimentato a carbone a favore di a nafta dai

programmi di costruzioni navali varati per

gli anni 1912, 1913 e 1914: dando così alla

flotta di Sua Maestà una più decisiva versatilità

di impiego. Al prezzo però del passaggio

da una fonte di approvvigionamento nazionale

a una da cercare fuori, e dando così

inizio a quell’era del greggio tutt’ora in

corso. Se la scelta di Bush di abbracciare il

biocombustibile non rappresenterà una

svolta epocale di analoga portata… Perfino

lo Stato britannico abbandona allora la tradizione

del laissez faire per rilevare direttamente

l’Apoc, la futura Bp. E la Prima

guerra mondiale vede dunque un’intricata

lotta dietro la quinte tra gli stessi Alleati,

per mettere le mani sui giacimenti della

Mesopotamia. Proprio a questo scopo Londra

impone la creazione del nuovo Stato artificiale

dell’Iraq: inserendovi per di più a

forza quella zona di Mossul contemporaneamente

rivendicata dalla Francia, dalla

nuova Turchia kemalista e dal nascente nazionalismo

curdo. Il secondo capitolo vede

una mini-guerra fredda tra gli interessi inglesi

e americani, infine composti con l’ingresso

di questi ultimi nella Ipc. Col terzo,

si consuma appunto la bislacca toccata e

fuga petrolifera dell’Italia.

Canali osserva che a proposito della lotta

per il petrolio si consuma anche il passaggio

dal colonialismo classico al neocolonialismo.

E il modo in cui Mussolini

scambia il petrolio dell’Iraq per la corona

di Imperatore d’Etiopia a Vittorio Emanuele

III “evidenzia come il fascismo, di

fronte a un problema ormai indifferibile

per l’economia di un paese moderno, ovvero

l’acquisizione di materie prime e di preziosissime

fonti energetiche, mostrò i caratteri

di un regime ‘vecchio’, privilegiando

la ottocentesca e tradizionale occupazione

territoriale, quando ormai tutte le

potenze moderne, considerandola inutile,

costosissima, precaria e pericolosa, avevano

da tempo preso a fare ricorso, per la loro

politica di controllo e di sfruttamento

dei paesi in via di sviluppo, alla indirect

rule, e quindi al controllo delle classi dirigenti

locali”. La trattazione cerca anche di

mostrare come l’inconcludenza del nuovo

regime fosse in realtà in perfetta continuità

con quella dell’Italietta liberale, che

a sua volta durante la Prima guerra mondiale

si era disinteressata dell’accesso al

petrolio dell’Impero Ottomano, per cercare

invece di farsi assegnare un’anacronistica

colonia di popolamento agricolo in Asia

Minore. Tra le molte vicende rievocate vi è

anche quella dell’accordo segreto firmato

il 23 gennaio 1899 dallo sceicco del Kuwait

Mubarak e da Lord Curzon, con cui il

Kuwait puntellava la propria indipendenza

di fatto dall’Impero Ottomano e Londra

cercava di bloccare il progetto di ferrovia

tedesca “de Berlino a Bassora”. Per ricordare

che, a differenza della propaganda di

Saddam “bevuta” da una stampa insipiente,

non solo non fu Londra “staccare” il

Kuwait dall’Iraq: il Kuwait, al contrario,

esisteva come soggetto di diritto internazionale

almeno 21 anni prima che l’Iraq

venisse inventato.