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Massimo Fini sulle inchieste finanziarie

di Alessandro Montanari - 23/12/2005

Fonte: lapadania.com

 

Non lasceranno che sia un’altra Tangentopoli
 
 
 Massimo Fini, partiamo dalle dimissioni di Fazio. Erano l’unica soluzione possibile?
«Direi proprio di sì. Con tutta evidenza, al di là delle sue effettive responsabilità, il Governatore della Banca d’Italia allo stesso modo dei politici o dei magistrati dovrebbe essere come la moglie di Cesare, che non deve solo essere onesta ma anche apparire tale. Il Governatore, perciò, non dovrebbe nemmeno essere sfiorato dal sospetto. In questa vicenda, invece, i sospetti erano molti e credo che le dimissioni siano arrivate con ritardo. Devo aggiungere, però, che per Fazio mi dispiace visto che era uno dei pochi col quale avevo instaurato un rapporto epistolare».
Qual era l’argomento del vostro carteggio?
«L’argomento era un mio libro, Il denaro sterco del demonio (Ed. Marsilio). Glielo avevo mandato perché riguardava il denaro. La sua risposta mi colpì per due motivi. Primo perché in genere nessuno di questi personaggi si degna di rispondermi e, secondo, perché mi sembrò la risposta di uno che certamente manovra grandi quantità di denaro ma conservando, in qualche modo, il senso dell’umano. Questo almeno pareva dalle poche lettere che ci scambiammo».
Con Fazio termina l’era dei Governatori a vita. Possiamo dire che era ora?
«No. Nel senso che col Governatore a tempo è chiaro che la politica prenderà possesso anche della Banca d’Italia. In linea teorica, infatti, il Governatore dovrebbe essere totalmente svincolato da pressioni politiche proprio perché la sua carica non è messa in discussione. Purtroppo questa vicenda farà sì che le contromisure adottate, in sé ragionevoli, produrranno un’ulteriore espansione dei partiti anche su via Nazionale».
Tuttavia appare uno strumento un po’ anomalo il mandato a vita per slegare il Governatore dalla politica. Non c’è in nessun altro Paese.
«Ma non è una carica della politica: è una carica di garanzia del sistema. E anche negli altri Paesi, se non è a vita, è a lungo o lunghissimo termine».
Malgrado la riforma varata dal Consiglio dei Ministri rimane, almeno ancora per tre anni, l’anomalia di un organo controllore costituito dalle stesse banche che dovrebbe controllare. Pare una contraddizione.
«Assolutamente sì. A questo proposito, però, bisognerebbe fare un discorso più approfondito. Il sistema bancario, che è il nocciolo dell’economia di un sistema capitalistico, è oggi una forma di strozzinaggio legale. In effetti non fornisce al risparmiatore nessun reale servizio e adesso, con Fiorani, sappiamo che c’è anche dell’altro. L’unica ragione per cui la gente metteva i soldi in banca era perché almeno nessuno glieli rubava, ora invece sappiamo che li rubano anche sui depositi. Così mentre un tempo l’imprenditore o il mercante rischiavano soldi propri, oggi rischiano i soldi dei risparmiatori attraverso l’intermediazione bancaria. Questo è il nuovo tipo di economia e il tutto sembra una pubblicità del mio libro Sudditi (Ed. Marsilio) dove sostengo che la democrazia è un sistema di oligarchie politico-economiche che schiacciano il singolo cittadino. Non credo, però, che si possa fare le verginelle stupite di fronte a questo dato, che è la cifra stessa del capitalismo applicato».
Quindi, secondo lei, queste inchieste che scoprono scalate condizionate, se non proprio truccate, scoprono l’acqua calda?
«Certamente. È una prassi risaputa».
Per la successione di Fazio si fanno già dei nomi. Ha qualche preferenza? E quale crede debba essere la missione del prossimo Governatore?
«Mi sta facendo delle domande che mi appassionano poco perché io non credo in questo sistema. Comunque, siccome nel villaggio tecnotronico nessuno conosce veramente nessuno, che ne sappiamo noi di questa gente? Non saprei dire chi è meglio e chi è peggio. C’è solo da sperare che non sia un mascalzone».
Cerco di appassionarla un po’ di più: siamo di fronte a una nuova Tangentopoli, come prospettato da alcuni?
«Naturalmente alcuni temono che lo sia. Mi riferisco a quelli che hanno tentato, senza riuscirvi, di soffocare l’inchiesta della magistratura nel ’92, ’93 e ’94. Quello che sta accadendo oggi è una conseguenza di allora. Dopo il ’94, infatti, si è ribaltata completamente la situazione: i colpevoli non erano più i ladri, ma i giudici che li avevano chiamati alle loro responsabilità. È ovvio che ciò ha favorito il proliferare di un’illegalità diffusa. Non sarà una nuova Mani Pulite perché abbiamo visto cosa succede con Mani Pulite: a un certo punto, se andrà troppo avanti l’inchiesta, troveranno che questa bravissima Forleo quand’era bambina s’era fatta regalare un ciondolo da uno degli inquisiti, diranno che questo è un fatto gravissimo eccetera eccetera... Concludendo: le inchieste di oggi sono la consecutio di Tangentopoli, ma non avranno la forza del ’92-94 semplicemente perchè verranno fermate prima».
I tempi di questa inchiesta, così ravvicinati alle elezioni, la insospettiscono?
«In Italia, dove c’è sempre una scadenza elettorale incombente, non è possibile ragionare in questi termini. Chi lo fa sarebbe meglio che dicesse direttamente che la magistratura non può operare verso alcuni soggetti. Io, invece, credo che se esiste un’associazione a delinquere che si candida alle elezioni, sia meglio fermarla prima che entri in parlamento e acquisisca l’immunità».
Da giornalista, come giudica il comportamento della stampa? Questa corsa forsennata ai nomi può trasformarsi in una sorta di mattatoio mediatico ?
«È un problema che sta a monte. Con il Codice Rocco, fatto da un fascista ma soprattutto da un grande giurista, esisteva il segreto istruttorio, adottato, oltre che per tutelare le indagini, per tutelare la gente nella fase delle indagini preliminari, quella cioè nella quale si cammina ancora nel buio e possono entrare nomi che non c’entrano niente col merito dei fatti contestati. Nel momento in cui non c’è più il segreto istruttorio, i giornali hanno diritto di pubblicare. In una situazione in cui le sentenze arrivano dopo vent’anni, però, la pubblicazione suona già come una condanna o quantomeno come un infangamento. Questa è una delle tante distorsioni del sistema. L’avviso di garanzia era stato fatto dalla sinistra, secondo me stupidamente, per garantire l’avvisato mentre oggi diventa una sentenza di condanna anticipata. D’altro canto è difficile non anticipare le sentenze dal momento che poi le sentenze vere non ci sono mai. In Gran Bretagna, che è a un’ora e mezza di volo da noi, le istruttorie con imputati detenuti durano dai 28 ai 32 giorni. In quel periodo la stampa non può qualificare gli uomini e le donne coinvolti che come “persone che possono essere utili alle indagini”. Dopodiché, come in tutti i paesi democratici dove l’istruttoria è segreta, il dibattimento è pubblico. Che l’istruttoria debba essere segreta, quindi, è giusto. Con la riforma Pisapia dell’88, invece, noi abbiamo eliminato di fatto il segreto istruttorio. Mi spiace dirlo, perché tra l’altro fu mio maestro, ma Pisapia fece un codice completamente sbagliato».
Tra gli indagati eccellenti di questi giorni figurano anche i vertici di Unipol, che rappresenta la finanza di sinistra e il tessuto delle Coop Rosse. Un tessuto che è sempre stato dipinto come sano, virtuoso e morale. Si incrina il teorema della finanza etica e alternativa?
«La finanza etica e alternativa non esiste. Le oligarchie politiche, siano di destra o di sinistra, sono legate alle oligarchie economiche».
Questo, però, è un mito che la sinistra propaganda.
«È un mito falso, falso da molti anni. Perlomeno da quando i comunisti non hanno più ricevuto le sovvenzioni dell’Unione Sovietica e conseguentemente si sono messi anche loro a fare quello che facevano gli altri. In più, bisogna dire che è venuto meno nel paese, e quindi anche nella sinistra, il rigore morale di un tempo. Almeno dal punto di vista personale, infatti, c’era un rigore notevole nel dirigente comunista degli anni sessanta. Ora però è un mondo sparito. Come è sparita la borghesia onesta, perché anche la borghesia una volta era onesta».
Lei traccia uno scenario di degrado morale. È il preludio della Terza Repubblica?
«Penso che la terza non sarà nemmeno più una Repubblica. Almeno se il sistema continua a degenerare in questo modo».
Al fondo dello scandalo del risiko bancario c’è un problema concreto, quello dell’italianità degli istituti di credito. È un valore che va difeso oppure dovremmo aprirci all’internazionalizzazione?
«Se si accetta la globalizzazione, si devono accettare anche l’internazionalizzazione delle banche e l’immigrazione. Se i capitali hanno diritto di spostarsi, a maggior ragione lo stesso diritto devono avercelo pure gli uomini. Altrimenti, ed è il mio caso, si è contro la globalizzazione. Non si può essere per la globalizzazione a metà».
A proposito di globalizzazione, in settimana c’è stato il pestaggio di Mario Borghezio. Cosa ne pensa?
«L’aggressione a Borghezio dimostra l’assoluta stupidità dei no global italiani. Stiamo, per un attimo, al significato delle “parole”. Se c’è qualcosa di no global, questo qualcosa è un movimento localista come mi risulta essere la Lega. A parte il fatto che non si deve picchiare nessuno, tantomeno venti contro uno, voglio quindi sottolineare il fatto che è stato completamente sbagliato il bersaglio. Ciò dimostra la cretineria dei no global italiani che, per fortuna, non è la cretineria dei no global internazionali. Solo in Italia infatti un movimento, che nelle sue ragioni profonde è anti-industrialista e anti-modernista, è stato declinato a sinistra».
Malgrado la gravità dell’episodio, però, ci sono state reazioni piuttosto tiepide.
«Ci sono state reazioni tiepide perché, evidentemente, vale ancora quello che si diceva negli anni settanta, quando si sosteneva che “uccidere un fascista non è un reato”. Picchiare un leghista è perciò meno grave che picchiare uno dei Ds o di Forza Italia. Lo stesso accadeva con Bossi: prima che si ammalasse nei suoi confronti veniva usato un linguaggio durissimo che nessuno invece si permetteva di usare con personaggi che rispetto a Bossi erano dei mascalzoni. È un retaggio che la Lega paga alla sua supposta o presunta diversità».