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Notizie dal mondo 26/31-12

di Rivista Indipendenza - 02/01/2006

Fonte: rivistaindipendenza.org

Iran. 26 dicembre. Gesù «continua ad essere oppresso». Lo ha detto il presidente iraniano, Mahmud Ahmadineyad, nel suo messaggio di felicitazioni ai cristiani di tutto il mondo, inclusi quelli iraniani. Nel suo messaggio ricorda che «disgraziatamente, nel violento e materialista mondo del capitalismo, che non pensa ad altro che alla violenza, al bellicismo, al consumo e al libertinaggio, il profeta della pace e della giustizia continua ad essere oppresso». La religione di «Gesù, figlio di Maria», ha aggiunto, «non era formale, conveniente e al servizio degli amici dell’oro, del potere e dell’inganno; egli ha alzato lo stendardo dell’Unità (degli Dei, ndr), della giustizia, della morale e della liberazione dell’uomo».

 

Cuba. 26 dicembre. Il sistema politico a Cuba potrebbe trovarsi in pericolo dopo la morte di Fidel Castro. Gli Stati Uniti hanno rinunciato ad abbatterlo mentre è in vita, ma insisteranno con la morte del lider maximo, che ora ha 79 anni. Ne è convinto il primo ministro cubano Felipe Pérez Roque, 41 anni tra tre mesi, il più giovane dei dirigenti di prima linea a Cuba. Il suo appello alle generazioni che governeranno Cuba è di prepararsi sin d’ora per evitare questo scenario. È la seconda volta che Pérez Roque tocca un tema strategico, ipersensibile nell’isola. La prima volta fu il 25 giugno 2002. Questa volta la notte del 23. In entrambe le occasioni davanti all’Assemblea Nazionale del Potere Popolare (ANPP, il parlamento).

 

Cuba. 26 dicembre. «Credo che dobbiamo prestare estrema attenzione alla frase pronunciata da Fidel all’università (17 novembre scorso, Università de L’Avana, ndr), una frase mai pronunciata pubblicamente nella storia della rivoluzione: la rivoluzione può essere reversibile, e non a causa del nemico che per questo ha fatto tutto il possibile, ma per i nostri errori». Pérez Roque ha indicato tre punti a difesa del sistema. Primo: mantenere l’autorità morale della dirigenza con una condotta seria, «una dirigenza basata sull’esempio, sull’autorità che promana da una condotta austera, sulla dedizione al lavoro, sul fatto che il nostro popolo sappia che chi dirige non ha privilegi». Il secondo punto consiste nel mantenere l’appoggio della maggioranza della popolazione, «come l’abbiamo oggi, non sulla base del consumo materiale, ma sulla base delle idee e delle convinzioni». Pérez Roque ha ricordato che alcuni regimi del socialismo reale sono caduti in condizioni di benessere economico. Il terzo punto è che non si ricostituisca una classe proprietaria, «borghese», che non sarebbe patriottica: «Non possiamo cadere nell’ingenuità. A Cuba la borghesia è stata sempre e lo sarà ancora, se le consentiamo di affermarsi, pro yankee, pro transnazionale».

 

Cuba. 26 dicembre. «Non bisogna ignorare o sottostimare che tra le nostre fila, nelle fila del nostro popolo, esiste simulazione e apatia. E torpore». Nella società c’è benevolenza di fronte alla corruzione, e al furto di beni e servizi dello Stato, «non solo per le carenze che abbiamo vissuto», ma «per mancanza di convinzioni». Felipe Pérez Roque ha posto la questione della generazione di giovani nata o cresciuta durante la crisi degli anni Novanta, circa 2,5 milioni di ragazzi che «hanno conosciuto l’epoca in cui nel nostro paese si sono sviluppate tendenze all’individualismo, al “si salvi chi può”», ed hanno «più informazioni e più aspettative di consumo dei giovani che, all’inizio della rivoluzione, dovettero essere alfabetizzati».

 

Irlanda del Nord. 27 dicembre. Il governo accusa i tories di ostacolare la pace in Irlanda. In dichiarazione al sito Epolitix, il segretario britannico per il nord Irlanda, Peter Hain qualifica come una «grande vergogna» l’opposizione del Partito Conservatore alla legge che consente il rimpatrio in Irlanda dei condannati per delitti relazionati al conflitto nordirlandese e commessi prima degli Accordi del Venerdì Santo (1998). Si tratterebbe, per i Conservatori, di un’amnistia «mascherata». A questi Hain ricorda che i laburisti sostennero il governo conservatore di John Major quando cominciò «a parlare con l’IRA», pur in una situazione difficile, perché l’IRA era operativa. Hain si è detto speranzoso nel nuovo massimo dirigente conservatore, David Cameron, che imprima una «nuova focalizzazione» alle posizioni del suo partito sull’Irlanda.

 

Iran. 27 dicembre. «Se non vi sarà un intervento esterno, l’Iran disporrà entro 3-6 mesi di tutto il necessario per produrre armi atomiche». Ad affermarlo è il capo del Mossad (il servizio segreto israeliano per gli affari esteri), Meir Dagan, in una lettera al Comitato per la sicurezza della Knesset (il parlamento israeliano). Secondo la rivista di intelligence Debka-File, l’allarme di Dagan «si aggiunge a quello di altri ufficiali israeliani», poco dopo quello lanciato dalla «lobby filo-israeliana statunitense AIPAC, secondo la quale la politica di Bush nei confronti dell’Iran è pericolosa, in quanto troppo morbida». In particolare, l’AIPAC ha espresso preoccupazione per la decisione di Washington di appoggiare una proposta russa mirante ad arricchire sul proprio suolo (quindi sotto controllo) l’uranio destinato poi a Teheran.


Iran. 27 dicembre. Gli USA si preparano a colpire l’Iran, se le negoziazioni sul nucleare tra Teheran e la troika europea fallissero. Lo afferma il Tagesspiegel, giornale tedesco, citando non meglio identificate «fonti della NATO». Nell’articolo si dice che «gli Stati Uniti, e il Pentagono, stanno studiando come rimettere in linea il regime dei Mullah, anche eventualmente con l’opzione militare».

 

Sri Lanka. 27 dicembre. Almeno 6 soldati dello Sri Lanka sono stati uccisi dall’esplosione di una potente mina nella penisola di Jaffna, nel nord dell’isola. Le autorità hanno detto che è stato un attentato delle Tigri per la liberazione dell’Eelam Tamil (LTTE). I soldati sono caduti in un’imboscata a Puloly, nella penisola di Jaffna, dove questo mese altri 18 militari sono stati uccisi in due attacchi simili.

 

Colombia. 27 dicembre. Francia, Spagna e Svizzera accettano l’invito delle FARC per un accordo di «scambio umanitario». Le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC) intendono discutere i dettagli strategici di detta negoziazione entro un mese. Lo ha rivelato ieri l’emittente televisiva colombiana CM& nella sua edizione elettronica, senza citare fonti. Secondo CM&, il governo colombiano, dopo l’approvazione dei rispettivi governi, si è affrettato a facilitare la proposta-incontro fatta dalle FARC la settimana con gli ambasciatori dei tre paesi. Per le FARC interverrà, secondo CM&, Raúl Reyes. L’incontro si svolgerà in Colombia, probabilmente tra il 9 e l’11 gennaio.

 

Bolivia. 27 dicembre. Evo Morales invita Garcia Marquez e Mandela, per il 22 gennaio, giorno del suo ingresso effettivo a presidente della Bolivia. Oltre all’ex presidente sudafricano Nelson Mandela e al Nobel della Letteratura Gabriel García Márquez, sono invitati anche dirigenti dei piqueteros argentini, rappresentanti del MST (i “senzaterra” brasiliani), del Consiglio delle Nazionalità Indigene, Conaie, del Pachakutik (Ecuador) e del Movimento Bolivariano (Venezuela).

 

Afghanistan. 28 dicembre. Due soldati della forza internazionale guidata dagli USA sono stati uccisi e altri tre feriti da un’esplosione in Afghanistan. Lo ha detto il governatore della provincia di Kunar, Asadullah Wafa. L’agenzia Afghan Islamic Press, di base in Pakistan, ha citato un capo distrettuale governativo, Shah Mahmud Shahid, secondo il quale i due soldati uccisi erano statunitensi e l’incidente è avvenuto quando il loro veicolo ha urtato una mina.

 

Iraq / Francia. 28 dicembre. La tv satellitare araba Al Arabiya ha mostrato un video in cui compare un ingegnere francese rapito in Iraq ai primi di dicembre. L’emittente ha detto che il gruppo di sequestratori minaccia di uccidere l’ostaggio a meno che la Francia non metta fine alla sua «presenza illegittima» in Iraq. Bernard Planche è stato rapito a Baghdad il 5 dicembre scorso. La rilevanza politica della notizia sta nel fatto che riflette il mutato ruolo di condiscendenza della Francia nei confronti degli Stati Uniti (anche) sulla questione irachena. Nell’area, Parigi si sta mostrando allineata con Washington anche in relazione a Libano, Siria ed Iran. Con buona pace delle illusioni geopolitiche europee di quanti credono devotamente nel ruolo anti-USA di Francia e Germania.

 

Iraq. 28 dicembre. Il primo ministro polacco, Kazimierz Marcinkiewicz, ha comunicato ieri la proroga della presenza delle sue truppe in Iraq di un anno, «fino alla fine del 2006». Bulgaria ed Ucraina hanno invece annunciato che le loro truppe hanno completato ieri stesso il ritiro dal territorio iracheno.

 

Iran. 28 dicembre. Teheran è pronta a prendere in esame la proposta di Mosca per l’arricchimento dell’uranio in Russia. Lo ha detto un responsabile iraniano incaricato del dossier nucleare, citato dall’agenzia Isna. Nei giorni scorsi il ministero degli Esteri iraniano aveva affermato che avrebbe preso in considerazione solamente piani che «riconoscano il nostro diritto di avere un programma nucleare interamente domestico». L’arricchimento dell’uranio è al centro di un contenzioso fra l’Iran e la comunità internazionale. Teheran si rifiuta di abbandonare il suo programma. Mosca, per fornire una via d’uscita, propone che l’Iran effettui l’arricchimento in territorio russo e che si crei, perciò, una joint venture per trasferire in Russia la parte più controversa del programma nucleare iraniano, quell’arricchimento dell’uranio che Stati Uniti ed Israele interpretano come tappa forzata nella costruzione di armamenti atomici. Di fronte all’iniziativa russa, la troika europea (composta da Gran Bretagna, Francia e Germania) ha aggiornato alla metà di gennaio la sua trattativa con Teheran, ripresa la settimana scorsa dopo una interruzione di quasi 5 mesi. In una intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cancelliere tedesco Merkel ha auspicato l’ingresso di Russia e Cina –Paesi ritenuti alleati di Teheran– nel negoziato portato avanti con l’Iran. Mosca in particolare sta ultimando i lavori alla centrale di Bushehr, la cui inaugurazione è in programma nel 2006. La Russia inoltre sarebbe un partner indispensabile qualora l’Iran decidesse di procedere in tempi brevi alla costruzione di due ulteriori centrali nucleari, come deliberato dal Consiglio dei ministri in novembre.

 

Palestina. 28 dicembre. Democrazia di comodo ed ingerenza nel diritto sovrano all’autodecisione. Il “Quartetto” sul Medio Oriente, che comprende USA, UE, Russia e ONU, ha espresso, in una dichiarazione pubblica, la sua contrarietà alla presenza di militanti di gruppi armati nel governo palestinese che scaturirà dal voto del 25 gennaio. L’asse Washington-Tel Aviv teme un’affermazione dell’organizzazione islamica di liberazione nazionale, Hamas.

 

Palestina. 28 dicembre. Udite, da fonti locali, diverse esplosioni nel nord della Striscia di Gaza poco dopo l’entrata in vigore della «zona di interdizione». Ai palestinesi viene vietato fino a nuovo ordine di entrare nell’area dove si trovavano le colonie ebraiche di Dugit, Eley Sinai e Nissanit, demolite quattro mesi fa. Israele giustifica il provvedimento con il ripetersi dei lanci di razzi Qassam da quelle zone verso il proprio territorio.

 

Palestina. 28 dicembre. Al-Fatah si presenterà alle elezioni politiche del 25 gennaio 2006 con una lista unica, e non con due liste separate. Lo ha affermato l’ex ministro Mohammad Dahlan in una conferenza stampa a Ramallah. Il partito di governo ha ottenuto lunedì il via libera giuridico per unificare le due liste, dopo che il 14 era scaduto il termine per iscrivere i candidati nelle liste. La Commissione Elettorale ha deciso oggi di riaprire le liste per sei ore. Con questa forzatura della legalità, al-Fatah spera di contenere l’avanzata degli islamici di Hamas, che hanno ottenuto un forte successo nelle recenti elezioni municipali. La nuova lista, che sarà guidata da Barghuti, è frutto di un compromesso fra la vecchia guardia di al-Fatah e quella più giovane.

 

Israele. 28 dicembre. Tel Aviv offre terreni al telepredicatore evangelico Pat Robertson, autore di un recente appello per l’assassinio del presidente venezuelano, Hugo Chávez­, perché sviluppi il turismo religioso. Lo comunicano le autorità israeliane. Si tratta di 14 ettari di colline e coste rocciose sul lago Tiberiade, a tre chilometri dalle terre che Israele ha strappato alla Siria nel 1967. Gli evangelici si sono impegnati a raccogliere 50 milioni di dollari per la costruzione di un Centro di Tradizione nel luogo con la speranza di attrarre decine di migliaia di pellegrini l’anno. Robertson ha fatto sapere, con un comunicato, di cooperare «pienamente» al progetto, anche se ancora non c’è un accordo scritto. Si è detto entusiasta alla prospettiva di creare «in Galilea un luogo dove i cristiani evangelici di tutto il mondo possano andare a celebrare il luogo dove Gesù Cristi ha vissuto ed ha insegnato». Il ministro del Turismo, Avraham Hirschson, ha dichiarato che «ad oggi non esiste un luogo centrale in Israele per i cristiani evangelici». Ari Marom, direttore degli affari nordamericani del ministero, ha aggiunto che Israele sta valutando la convenienza di affittare la terra gratuitamente. «Il luogo», sostiene, «potrebbe attrarre un milione di pellegrini l’anno, con introiti per 1.500 milioni di dollari ed impieghi per 40mila persone».

 

Pakistan. 28 dicembre. Le scuole religiose pakistane non seguiranno l’ordine impartito dal Presidente Pervez Musharraff di espellere gli studenti stranieri. Lo scorso luglio, quando si seppe che uno degli attentatori suicidi di Londra aveva frequentato una scuola religiosa pakistana, il presidente ordinò a circa 1.400 stranieri iscritti alle scuole coraniche del Pakistan di lasciare il paese. Ma il capo dell’organo che gestisce le madrasse definisce tale ordine «illegale, discriminatorio e anti islamico».

 

Sri Lanka. 28 dicembre. Dieci soldati dello Sri Lanka muoiono per l’esplosione di una mina al passaggio del camion sul quale viaggiavano. Feriti anche quattro militari. Il fatto, informa il ministero della Difesa, è avvenuto nella penisola di Jaffna, nel nord dell’isola. Il sito Tamilnet.com, riferendosi all’imboscata, eleva il numero dei soldati feriti a sette.

 

Sri Lanka. 28 dicembre. La mediazione norvegese allerta del rischio di ripresa della guerra in Sri Lanka. Le decine di morti nelle ultime settimane hanno alzato la tensione e preoccupano Erik Solheim, ministro norvegese di Sviluppo Internazionale ed inviato speciale per la pace in Sri Lanka. Ieri, in un comunicato, il mediatore ha invitato governo e guerriglia tamil (LTTE, Tigri di Liberazione della Patria Tamil) a riprendere le negoziazioni immediatamente per discutere il modo di rafforzare l’adempimento dell’Accordo di Cessate-il-Fuoco e mettere da parte ogni discussione sul luogo dove si debba celebrare l’incontro. Il conflitto armato ha avuto inizio nel 1983 sino alla tregua del febbraio 2002; circa 65mila le vittime. Nel solo mese di dicembre 37 militari singalesi sono morti ed il governo ne attribuisce la responsabilità al LTTE. Lo scorso 25 dicembre un parlamentare che appoggia il movimento tamil è stato ucciso in chiesa mentre assisteva alla messa della natività. Il capo della guerriglia, Velupillai Prabhakaran, ha detto il mese scorso che se non si offre una soluzione «ragionevole», il LTTE riprenderebbe, all’inizio del 2006, la lotta armata.

 

Euskal Herria. 29 dicembre. «Il Collettivo (dei prigionieri politici baschi, ndr) ha la mano tesa ma non appoggerà una pseudosoluzione». Intervistati dal quotidiano indipendentista Gara, sono quattro baschi (Jon Bitoria, Benantzio Sebastián, Unai Errea, Jean-François Lefort) a portare il punto di vista del Collettivo. Di recente usciti dal carcere, i primi due hanno trascorso un lungo periodo nelle carceri spagnole: rispettivamente 18 e 20 anni. Unai Errea e Jean-François Lefort sono rispettivamente avvocato e portavoce del movimento pro amnistia. Nel Collettivo, dice ­Unai Errea, ci sono circa 700 militanti e tra questi parecchi hanno una lunga esperienza politica di 40 anni di lotta ininterrotta. Jean-François Lefort è molto chiaro nel sottolineare l’importanza politica del Collettivo dei Prigionieri «se questo si posiziona a favore o contro un processo di risoluzione (del conflitto, ndr): per gli Stati (Spagna e Francia, ndr) deve essere una garanzia che il processo avanza. In sintesi direi che il Collettivo è disposto ad aiutare un processo di risoluzione democratica. Ma non sosterrà una pseudosoluzione, di tipo autonomico per esempio». Ciò significa anche che il tavolo dei negoziati non potrà prescindere dalla presenza del Collettivo come soggetto politico.

 

Russia / Ucraina. 29 dicembre. L’Ucraina pagava finora a Gazprom un prezzo superscontato. Il presidente Putin ha proposto all’Ucraina un prestito per «coprire le spese legate al passaggio ai prezzi di mercato del gas russo». A Mosca i ministri dell’energia dei due Paesi stanno ancora trattando in vista dell’ultimatum imposto a Kiev da Gazprom. Dal primo gennaio, Kiev dovrà pagare il gas secondo la tariffa internazionale, «Siamo pronti a concedere a Nftagaz-Ukraine i fondi necessari (circa 3,6 miliardi di dollari, ndr), dietro garanzia di una banca europea o americana», ha detto Putin.

 

Repubblica Araba Saharawi / Marocco. 29 dicembre. Ieri l’Uruguay ha riconosciuto la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Oggi il Marocco, tramite il ministero degli Esteri, definisce «atto ostile» tale riconoscimento diplomatico ed avverte che Montevideo si è assunta con questo atto «la grande responsabilità del deterioramento delle relazioni tradizionali tra i due paesi». Nel testo, firmato a Montevideo dal ministro uruguaiano degli Esteri, Reinaldo Gargano, e dal suo omologo della RASD, Mohamed Salem Ould Salek, si segnala che l’Uruguay e la RASD «hanno deciso di stabilire relazioni diplomatiche in conformità con la Convenzione di Vienna ed i principi e obiettivi della Carta delle Nazioni Unite». La RASD, fondata il 27 febbraio 1976, il giorno successivo l’uscita ufficiale dello Stato spagnolo dal territorio saharawi, è riconosciuta da una cinquantina di paesi, la maggior parte del continente africano e latinoamericano. Madrid sostiene che non può riconoscere diplomaticamente la RASD perché non si è concluso il processo di decolonizzazione né si è giunti ad un accordo sullo status finale.

 

Palestina / Israele. 29 dicembre. «Spielberg è un sionista. Io non mi pento, la strage di Monaco la rifarei (...). Non abbiamo preso di mira i civili israeliani, alcuni degli atleti colpiti avevano partecipato ad azioni di guerra uccidendo molti palestinesi. Ogni israeliano, sia egli pianista o atleta, è prima di tutto un soldato». Così, ieri da Damasco, dove è rifugiato da oltre trent’anni, Mohammed “Abu” Daoud, tra i dirigenti di Settembre Nero, principale ispiratore e pianificatore del blitz di Monaco, commenta il film Munich, tra breve in uscita in USA. Steven Spielberg, il regista ebreo di Schindler’s list, aveva deciso di raccontare la strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972 (membri del gruppo palestinese Settembre Nero penetrarono nel Villaggio Olimpico e giustiziarono undici atleti israeliani) e la vendetta del Mossad (servizio segreto isareliano) che eliminò uno dopo l’altro i componenti del commando palestinese. Intervistato dalla Reuters, l’ultrasettantenne Daoud accusa Spielberg di aver sposato la versione israeliana degli eventi: «Se voleva davvero farne una preghiera di pace avrebbe dovuto ascoltare entrambe le parti, raccontare la realtà invece di servire solamente la causa sionista». Secondo Daoud, che sostiene di essere miracolosamente scampato nel 1981 in Polonia alle pallottole del Mossad, «Spielberg ha mostrato il film alle vedove degli atleti israeliani ma ha dimenticato le famiglie delle vittime palestinesi, coloro che a decine sono caduti prima e dopo Monaco». Per quanto Israele gli abbia consentito, dopo il 1993, grazie agli accordi di Oslo, di visitare i territori occupati in Cisgiordania e nonostante il Mossad abbia più volte dichiarata chiusa la fase della rappresaglia, Daoud sostiene di sentirsi ancora un bersaglio: «Ma non ho paura, quando ho deciso di fare il combattente rivoluzionario mi sono preparato a diventare un martire, perché l’anima è nelle mani di Dio, non di Israele». Anche il Mossad, per voce di alcuni ex agenti, ha contestato la ricostruzione che della rappresaglia il regista USA ha dato. Non sono piaciuti agli 007 israeliani il ruolo decisivo nella scelta dei sicari attribuito nel film al primo ministro israeliano Golda Meir e soprattutto il “tormento morale” degli agenti segreti, chiamati a giustiziare i palestinesi di Monaco.

 

Colombia. 29 dicembre. Uribe visita la zona dove le FARC hanno ucciso 29 militari colombiani. Una colonna delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC), a Vista Hermosa, dipartimento del Meta, ha attaccato ieri un gruppo della Brigata Mobile 12. Diversi anche i soldati feriti.

 

Bolivia. 29 dicembre. Evo Morales ridurrrà della metà il suo stipendio e quello dei ministri e deputati. Con questo risparmio, il presidente eletto boliviano, Evo Morales, ha detto di voler curare ambiti di prima necessità, come l’Educazione, nel quadro di un progetto politico che mira a cambiare il modello economico imperante.

 

Palestina. 30 dicembre. Ramallah, una delle maggiori città palestinesi in Cisgiordania, ha un sindaco donna grazie all’appoggio del movimento islamico Hamas. Janette Khouri, 62 anni, cristiana, è stata votata sindaco la scorsa notte dalla maggioranza dei 15 membri del consiglio municipale, emerso dalle elezioni amministrative del 15 dicembre. La signora Khouri, candidata del laico Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ha ottenuto 9 voti, tre dei quali di Hamas, sconfiggendo il candidato di Al Fatah.

 

Palestina. 30 dicembre. Sono 9.200 i prigionieri palestinesi in mano israeliana, detenuti in oltre 28 prigioni. Lo comunica il Ministero palestinese per la Questione dei Prigionieri. Dal 1967 Israele ha arrestato oltre 650mila persone, il 20% della popolazione totale di Cisgiordania e Striscia di Gaza. Il rapporto del ministero denuncia che Israele fa uso della tortura durante gli interrogatori, anche contro ragazzi. La tortura, è scritto, comincia subito dopo l’arresto: percosse, manette molto strette, occhi bendati e somministrazione di droghe. 181 detenuti sono morti come risultato delle torture.

 

Iraq. 30 dicembre. Il vice premier Aghmed Chalabi è stato incaricato di gestire il ministero del petrolio iracheno. La decisione è scaturita dopo l’allontanamento, per 30 giorni, del detentore della carica, Ibrahim Bahr al-Ouloum, rifiutatosi di anticipare l’applicazione del rialzo dei prezzi dei carburanti in assenza di una cassa per compensare i più poveri. Chalabi assume il controllo del ministero in un momento in cui l’export è bloccato per via di sabotaggi e problemi logistici.

 

Corea del Sud / Iraq. 30 dicembre. Il parlamento della Corea del Sud ha deciso di ritirare un terzo delle sue truppe dall’Iraq entro il 2006. L’Assemblea nazionale di Seul con 101 voti contro 31 ha deciso di portare il suo contingente, di stanza nella regione kurda settentrionale di Arbil, da 3.200 a 2.300 uomini. La Corea al momento ha il terzo contingente per entità in Iraq dopo USA e Gran Bretagna.

 

Russia / Ucraina. 31 dicembre. «O pagate, o dalle dieci della mattina del primo gennaio vi tagliamo le forniture di gas». L’ultimatum all’Ucraina è stato lanciato ieri dal presidente del Gazprom, il gigante energetico russo che controlla le maggiori riserve di gas naturale esistenti al mondo. A ben poco è valso il (debole) tentativo di difesa del presidente Viktor Yushenko, che ha chiesto tempo: dieci giorni per «trovare un accordo politico» sul prezzo del gas russo che, appunto dal primo gennaio, dovrà passare da 50 a 220-230 dollari per 1000 metri cubici. Il presidente Putin –che negli ultimi anni ha incassato sonore sconfitte in Stati ex sovietici, Ucraina e Georgia tra i primi– è deciso a giocare una nuova arma per riprendersi il ruolo di grande potenza. L’arma dei rifornimenti energetici. La Russia ha le maggiori riserve mondiali di gas ed è tra le prime dieci per riserve di petrolio. Con il greggio a 60 dollari il barile diventeranno poi economicamente sfruttabili giacimenti off-shore che accresceranno le riserve russe. I leader delle varie “rivoluzioni colorate” antirusse sono avvisati. Era già capitato alla Lituania che dal primo gennaio vedrà la sua “bolletta del gas” russo aumentare del 40%. La spada di Damocle si sposterà poi sulla Polonia, che dipende dalle forniture di greggio e gas russo, e, a Sud, alla Georgia e al Kirghizistan della “rivoluzione dei tulipani”. Ben diversi i rapporti con il vicino bielorusso Alexander Lukashenko: sono ottimi e permettono di disporre a piacimento dell’unico oleodotto che oggi collega la Russia all’Europa senza passare per l’Ucraina che ha la protezione degli Stati Uniti.

 

Ucraina / Unione Europea. 31 dicembre. Il presidente ucraino Viktor Yushenko contava sull’appoggio in extremis dell’Unione Europea, che l’avrebbe aiutato a rompere l’assedio russo. Infatti il gasdotto che attraversa (e alimenta) l’Ucraina è diretto in Europa e fornisce, tra l’altro, il 30% del gas consumato dalla Germania. Ma da Mosca sono arrivate assicurazioni all’UE: «È stato approvato un dettagliato piano di misure per assicurare la continuità delle forniture ai consumatori europei». Dunque se mancherà gas, sarà a causa di «furti» operati dagli ucraini. Conclusione: la Germania auspica un accordo sul contenzioso tra Mosca e Kiev, ma non è intenzionata a intraprendere alcuna mediazione. Bruxelles fa sapere che è preoccupata, ma che non vi sono «rischi di penuria di gas». Nel contempo l’”amico” ex cancelliere Schroeder è a capo del megaprogetto da 5 miliardi di dollari della pipeline russa che dovrà essere posta nei fondali del Baltico, aggirando l’Ucraina. Infine nei giorni scorsi è stata firmata dal governo di Mosca la legge che permette a compagnie straniere di acquistare direttamente sul mercato russo quote di minoranza (fino al 49%) di aziende energetiche russe. Un affare più che ghiotto, che le grandi compagnie statunitensi e europee non sembrano disposte a sacrificare sull’altare del sostegno alla “nuova democrazia” ucraina.

 

Iran. 31 dicembre. «L’asse militare Washington-Tel Aviv è ormai a mal partito nei confronti di un nascente patto formato da Teheran, Mosca, Pechino, un Iraq a dominanza sciita, PyongYang, Damasco. I russi vendono tecnologia militare all’Iran, mentre Pechino conclude un accordo di 100 miliardi di dollari con Teheran per forniture di gas e petrolio. Damasco ha concluso con Teheran un patto strategico per resistere ad aggressioni straniere. Ne deriva che gli interessi israelo-americani nella regione sono in serio pericolo». Questo il succo dell’analisi di Joseph Stroupe, studioso di geostrategia e relazioni internazionali ed editore della rivista Global Events Magazine. Per Stroupe, «la convinzione americana per cui l’introduzione della democrazia [in senso elettoralistico, ndr] in Iraq coincide con l’espansione degli interessi USA si sta rivelando falsa. I due scenari realisticamente probabili in Iraq sono infatti: o un paese unito e federato dominato da una maggioranza sciita filo-iraniana, oppure un’implosione della nazione irachena con conseguente conflitto generalizzato tra le sue fazioni identitarie. In entrambi i casi, il risultato non è quello di produrre un alleato americano nel Golfo».

 

Bolivia. 31 dicembre. Evo Morales sceglie Cuba per la sua prima visita dopo la vittoria alle presidenziali del 18 dicembre scorso. Calorosa l’accoglienza del presidente cubano, Fidel Castro. Il massimo dirigente del Movimento al Socialismo (MAS) ha quindi salutato 250 giovani boliviani, parte dei circa 2.800 studenti boliviani, soprattutto di Medicina, che seguono corsi a Cuba. L’Avana ha 25 medici nel paese andino nel quadro dell’Operazione Milagro di attenzione oftalmologica, che il governo dell’isola sviluppa in vari paesi latinoamericani. Lo scorso settembre, una delegazione di 71 sindaci del MAS visitò Cuba e sottoscrisse accordi in base ai quali studenti del paese sudamericano avrebbero studiato Medicina sull’isola con «borse di studio totali» e boliviani di scarse risorse, con problemi alla vista, sarebbero stati operati a Cuba. Grande eco mediatica ha avuto poi la dichiarazione di Evo Morales a Al Jazeera: ha definito George W. Bush «l’unico terrorista del mondo» per le sue politiche di «terrorismo di Stato» con i suoi interventi militari in altre nazioni, come in Iraq. Ha quindi avvertito che in caso di presenza militare degli Stati Uniti in Bolivia, con motivo della lotta antidroga, non consentirà che alcun soldato statunitense esca dalla sua base vestendo l’uniforme, perché «penso di fargli rispettare la Costituzione del nostro paese».

 

Bolivia. 31 dicembre. «Coordinarci con i presidenti di Venezuela, Brasile, Argentina e altre nazioni come Cuba perché la Bolivia possa recuperare il controllo delle proprie risorse naturali senza sperare che Stati Uniti e Banca Mondiale vengano ad aiutarci». Così ha detto a Cuba, il neoeletto (54% dei voti) presidente boliviano Evo Morales.