Ragionando a cielo aperto
di Fabrizio Bottini - 08/02/2008
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C'è un disegno che quasi tutti conoscono. E lo conoscono così bene da essersene completamente dimenticati. È uno degli infiniti schizzi di Leonardo, quello con la città su livelli sovrapposti: uno per i carri delle merci, uno per chi vuole camminare in pace un po' discosto dalla cacca di cavallo, dal rumore, dalle mosche, dal pericolo. |
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Ogni tanto rispunta, quel disegno, evocato dal genio di turno che lo usa a proprio consumo, come imprimatur culturale all'ultima pensata più o meno stravagante. L'aveva fatto mezzo secolo fa anche Victor Gruen, l'esule ebreo austriaco inventore del centro commerciale moderno scatolone perfetto, a spiegare come dietro quel cubo al neon in mezzo a un parcheggio si nascondesse – chissà perché – la secolare saggezza del nostro più famoso connazionale. Un bell'ambiente che, a ben vedere, non è altro che la forma più visibile e concentrata di una situazione generale che lo circonda, e in fondo lo produce. Il mondo perfetto: giù dalla poltrona del salotto o dalla sedia dell'ufficio, dentro l'abitacolo sigillato e più ampio possibile dell'auto privata, rapidissimo passaggio nel parcheggio, e via dentro un altro cubicolo collettivo-privato (di solito una variante dello scatolone di cui sopra, dove fanno sanità, cinema, massaggi, credito, ristorazione, consulenza astrologica …). È molto istruttivo a questo proposito leggere la relazione del progetto originario per il Central Park di New York del 1858, quando le vie trasversali che tagliano trasversalmente il grande rettangolo verde, a collegare le trafficatissime Quinta e Ottava Avenue, sono descritte e trattate come veri budelli infernali, con la polvere, le urla dei carrettieri, il puzzo degli animali sotto sforzo, e poi nelle nebbie della notte rifugio e via di fuga per malandrini … sopra, separato, il mondo “vero” del parco, del passeggio, delle relazioni sociali. Succede così che tracciati urbani e rurali di vie a impianto romano o medievale, organizzati essenzialmente per camminarci sopra, vengano trasformate in improprie piste veicolari, dove la carreggiata si mangia tutto, ma proprio tutto, lo spazio. Credo che qualunque lettore conosca direttamente centinaia e centinaia di tratti più o meno lunghi di strada priva di spazio laterale (chiamiamolo col suo nome: via di fuga) per pedoni o ciclisti, con le portiere di auto e camion che scorrono rasente ai muri di case e negozi, o a qualche centimetro dal fosso di scolo, dalla balaustra del ponte, dal ciglio della scarpata. Anche per chi nel paradiso non ci crede, resta però lo stupore nello scoprire, ad esempio per un guasto all'auto, o quando si decide di fare a piedi o in bicicletta un percorso mai sperimentato, fino a che punto può arrivare la perversione di progettisti, costruttori, e amministrazioni che concepiscono questi ambienti, apparentemente ignare del fatto che dentro e fuori dai veicoli ci sono degli esseri umani. Ci guadagneremmo tutti: anche loro. Non sembra, ma anche loro. |

