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La Cina invade l’Africa

di Le Monde - 13/01/2006

Fonte: lastampa.it

 
CONTINENTE NERO GLI IMPRENDITORI ORIENTALI STANNO EMARGINANDO I VECCHI PADRONI OCCIDENTALI

Costruisce strade e case, accende telefonini e cerca petrolio
Gli operai cinesi che si affaccendano da diversi mesi sulla spianata davanti al Senato a Libreville, capitale del Gabon, hanno terminato la pavimentazione all’ingresso dell’imponente edificio di marmo bianco. Ora si trasferiranno in un altro immenso cantiere, di fronte al Senato, per costruire la CIttà dell’informazione, voluta dal presidente Omar Bongo. A migliaia di chilometri di distanza, in Nigeria, altri cinesi stanno compiendo altre manovre. Il 9 gennaio scorso hanno acquistato per più di 2 miliardi di dollari un’importante partecipazione in un giacimento petrolifero al largo delle coste del Paese. In Mauritania stanno frugando il sottosuolo in cerca di idrocarburi. In Sudan gestiscono una fabbrica petrol-chimica. In Zimbabwe hanno conquistato il controllo di un operatore di telefonia mobile. Riparano le strade in Ruanda e nel Kenya, riportano in vita aziende agricole in Tanzania, modernizzano la rete ferroviaria in Angola, partecipano allo sfruttamento forestale in Guinea equiatoriale e nel Mozambico... Si possono fare numerosi altri esempi di come la Cina spinga le sue pedine sullo scacchiere africano. Lo fa con metodo e senza esitazioni. «Accetta l’emissione di prestiti basati sulla futura produzione petrolifera di un Paese, una prassi che il Fondo monetario internazionale non ammette, perché fa un’ipoteca sull’avvenire», dice un alto funzionario francese.

La Cina si interessa a tutti i Paesi del Continente Nero, indipendentemente dal loro regime politico e posizione geogafica. I cinesi si sentono attratti da qualunque settore economico, dal petrolio alle telecomunicazioni, dallo sfruttamento delle foreste ai lavori pubblici. Il loro attivismo è tale da aver suscitato il nervosismo degli occidentali che considerano il Continente Nero con i suoi 54 Paesi una sorta di propria riserva di caccia. All’inizio dell’estate scorsa, il Congresso americano ha organizzato audizioni sulla «influenza della Cina in Africa». In Francia il ministero dell’Economia ha mobilitato tutti gli uffici preposti all’espansione economica nel continente africano chiedendo loro di indagare sull’entrata massiccia della Cina nei mercati. L’esauriente studio che ne è scaturito non è stato ancora reso pubblico. Ma la crescita della potenza cinese è indiscutibile. Tra il 2002 e il 2003 il commercio cino-africano è aumentato del 50 per cento, crescendo di un altro 60 per cento nell’anno successivo. Per quanto si tratta di somme ancora modeste, Pechino non ha mai registrato un’impennata di commerci così forte in nessun’altra zona del mondo. L’Africa centrale e occidentale offrono un buon esempio del cambiamento in corso. Ancora qualche anno fa la Francia, seguita dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, erano i principali fornitori dei Paesi di quella regione. Nel 2003 gli Usa e la Gran Bretagna sono stati sorpassati dalla Cina. La Francia conserva ancora la sua leadership, ma nulla suggerisce che rimarrà in testa. «La presenza cinese è semplicemente esplosa», riassume l’ex segretario di Stato per gli affari africani Walter Kansteiner, sul Wall Street Journal. A guidare la Cina è il pragmatismo. In Africa Centrale, dove i Paesi sono rovinati da anni di guerra civile, le casse dello Stato sono vuote. Mentre le istituzioni che emettono i fondi - il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale - tergiversano sui crediti, Pechino offre i suoi doni. E non finisce qui: i cinesi partecipano all’esplorazione petrolifera, studiano la costruzione di un cementificio, hanno firmato due accordi di cooperazione agricola e militare.

Spesso la Cina subentra agli occidentali in seguito a una crisi, come era successo nel Zimbabwe nel 2002, quando è stata varata la controversa riforma agraria del presidente Robert Mugabe, al potere da un quarto di secolo. Mentre gli occidentali rispondevano introducendo delle sanzioni, i cinesi hanno fatto la loro entrata in scena. Qualche centinaio di uomini d’affari sono sbarcati nella capitale Harare con in mano numerosi progetti. Quattro anni dopo i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i cinesi sono presenti nel settore minerario, nei trasporti, nella produzione e distribuzione di energia elettrica, nelle comunicazioni mobili. Il simbolo di un rapporto sempre più stretto è l’instaurazione di un collegamento aereo tra Harare e Pechino. In Etiopia lo scenario è stato identico. La guerra tra l’Etiopia e l’Eritrea, alla fine degli anni ‘90, ha fatto scappare gli anglosassoni, mentre i cinesi, al contrario, hanno messo le tende. Il bilancio parla sa solo: a colpi di donazioni, prestiti bancari e invio di cooperanti, Pechino si è ritagliata un posto privilegiato nell’economia del Paese. Che si tratti di fabbricazione di medicinali, di esplorazione petrolifera o di costruzione di autostrade, le imprese cinesi dominano ad Addis Abeba, dove è stata costruita una delle più imponenti ambasciate cinesi del mondo. Avere accesso al greggio africano per alimentare la crescita economica della Cina sembra essere l’obiettivo prioritario di Pechino, che colleziona permessi di esplorazione dalla Mauritania al Gabon. Da anni Pechino è il primo compratore del petrolio sudanese, lo stesso vale ormai per il greggio angolano. Questo appetito per gli idrocarburi africani, che formano più del 30 per cento dell’approvvigionamento cinese, rischia di entrare in collisione con gli interessi degli Usa, che per ridurre la loro dipendenza dal Medio Oriente guardano al golfo della Guinea (cioè Nigeria, Angola e Guinea equatoriale) come a una zona strategica per il loro accesso al greggio. L’arrivo dei cinesi inquieta però anche perché non si limita all’acquisto delle materie prime o all’approvvigionamento dalle fonti di energia. Le aziende industriali cinesi sono ormai in concorrenza aperta con le ditte occidentali, che si tratti di fornire medicinali o apparecchiature per le telecomunicazioni. Cominciano a vincere gare d’appalto, come è successo in Mozambico dove l’operatore pubblico ha preferito a un’impresa occidentale una ditta cinese. A Maputo l’emarginazione progressiva degli occidentali si percepisce dalla recenta inaugurazione di un supermercato, dove tutti i prodotti sono di origine cinese.


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