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La democrazia secondo Alain De Benoist: intervista

di Alessandro Bedini - 15/01/2006

Fonte: Alain de Benoist

 

Secondo il politologo francese la volontà verrebbe tradita dalla rappresentanza parlamentare
«L’esportazione dei “diritti dell’uomo” nasconde sempre degli scopi poco nobili»

L'occasione si è presentata a
Massimo D’Alema nel maggio
scorso, la platea era quella
della Fondazione Italianieuropei
di cui il leader diessino
insieme con Giuliano Amato, è
il fondatore. La tesi sostenuta dal
presidente dei democratici di sinistra
è stata scioccante per tutta
la sinistra radicale e non solo: «La
democrazia può espandersi anche
con la forza», ha dichiarato D’Alema,
«e la dottrina dei neocon
americani, depurata dall’ideologia,
non è tutta da buttare. Non solo,
l’idea liberale di democrazia è
senza dubbio la migliore», ha proseguito
il presidente ds, «si deve
solo potenziarne l’aspetto sociale
guardando con maggior attenzione
alle fasce più deboli della popolazione.
Di questa tesi abbiamo
parlato con Alain De Benoist, filosofo
e politologo francese, autore
di numerosi libri, tradotti anche in
italiano, tra i quali Democrazia il
problema, una riflessione profonda
sul concetto di comunità e di
partecipazione attraverso il sistema
della democrazia organica, come
egli stesso la definisce.
«Mi pare che Massimo D’Alema
abbia una concezione piuttosto
strana della democrazia», attacca
De Benoist, «egli dimentica
che la democrazia è il sistema che
si fonda sulla sovranità del popolo
e che a tale titolo è incompatibile
con l’imposizione autoritaria
di soluzioni politiche che il
popolo non vuole. Quando una
simile imposizione è non soltanto
autoritaria, ma proviene addirittura
dall’esterno del Paese e si
accompagna al ricorso alla forza
delle armi, essa diviene puramente
e semplicemente sinonimo
d’aggressione. D’Alema pensa
senza dubbio che un’aggressione
sia giustificata quando avviene
per la “giusta causa”. Ciò equivale
ad affermare che il fine giustifica
i mezzi e questo è moralmente
e politicamente inaccettabile,
poichè vi sono dei mezzi i quali
screditano il fine che pretendono
di servire. Imporre la democrazia
a un popolo non può che portare
questo popolo a considerare la
democrazia in quanto tale come
una forma di aggressione. Il risultato
è molto poco democratico».
Ci può fare qualche esempio?
Certamente. Lo vediamo tutti i
giorni in Iraq, dove gli americani
pretendevano portare la “democrazia”
e la “libertà” e invece la
dittatura di Saddam Hussein è
stata semplicemente rimpiazzata
dalla guerra civile e dal caos.
La democrazia non ha senso se
non nella misura in cui risponde
al sentimento e alla volontà del
popolo. L’ultima volta che si è
preteso di imporre la “democrazia”
con le armi, è stato nell’epoca
in cui l’Unione Sovietica invase
e occupò l’Europa centrale e
orientale per imporvi le “democrazie
popolari”. Anche lì si è visto
il risultato. D’Alema non si è
ancora di fatto staccato da quel
modello?
A proposito dei noecons, Michael
Ingantieff sostiene che si può accettare
l’esportazione forzata della
democrazia se questa potrà
portare a una maggiore libertà
in futuro.
Si, conosco bene queste affermazioni.
Secondo lui la tesi dei neoconservatori
americani non è migliore
di quella di Stalin. Ripropone
la stessa ipocrisia. «Nel corso
di tutta la loro storia gli americani
non hanno smesso di pretendere
che la loro sola ambizione
fosse di “difendere la libertà”.
In nome della difesa delle libertà
hanno sostenuto le più abominevoli
dittature (in Indonesia, in Cile,
in Argentina, in Brasile etc.),
fatto assassinare una moltitudine
di capi di stato democraticamente
eletti, che dispiacevano loro,
e sparso su scala planetaria
una ideologia mortifera che ha
portato con sé dappertutto lo sradicamento
delle specificità culturali
e delle identità popolari.
Questo modo di pensare è di fatto
conforme all’ideologia liberale,
che pretende anch’essa di avere il
monopolio della “libertà”, ma
che, storicamente, è andata di pari
passo con l’espoliazione dei lavoratori,
la legittimazione dell’imperialismo
coloniale e la mercantilizzazione
sistematica dei
rapporti sociali.
L’esportazione della “democrazia”
e dei “diritti dell’uomo”
(si diceva in altri tempi: della “civilizzazione”
e del “progresso”)
nasconde regolarmente degli scopi
molto meno nobili, che non si
fondano tanto sui valori bensì sugli
interessi.
È più o meno la stessa posizione
di Massimo Fini contenuta nel suo
ultimo libro Sudditi. Manifesto
contro la democrazia.
È vero, osserva De Benoist, e aggiunge
che gli Stati Uniti vogliono
imporre la democrazia nei
paesi ostili ai loro interessi, ma
non si preoccupano di farlo con i
loro alleati: se la prendono con l’Iraq
ma non con i regimi dittatoriali
per nulla democratici come
l’Egitto, la Tunisia, o l’Arabia Saudita.
Difendere un particolare modello
al quale si vuole convertire
l’intero pianeta col pretesto che
esso è “universale” o conforme
agli “interessi dell’umanità” è
una tattica vecchia come il mon-
do, che non dovrebbe più creare
illusioni in nessuno.
C’è dunque una volontà messianica
alla base dell’ideologia liberale
in chiave americana…
Senz’altro. Si tratta sempre di
convertire, vale a dire di imporre
agli altri di diventare altro rispetto
a ciò che sono. «Chi parla di
umanità vuole ingannarti» diceva
giustamente Pierre-Joseph Proudhon.
Inoltre sappiamo molto bene
che, nella maggior parte dei Paesi
dove gli Stati Uniti pretendono
di esportare la democrazia, a cominciare
dai paesi arabo-mussulmani,
delle elezioni veramente libere
porterebbero al potere quei
partiti che gli sono più ostili.
E questo secondo lei non verrebbe
accettato dalla superpotenza.
Certo che no! Gli Stati Uniti pretendono
di lottare contro l’islamismo,
ma chi può credere che
essi accetterebbero senza reagire
di vedere gli islamisti giungere
regolarmente al potere attraverso
il risultato elettorale ? La loro attuale
posizione verso l’Iran, dove
il nuovo presidente è stato democraticamente
eletto, è già rivelatrice.
Questo è sufficiente a dubitare
della sincerità di Michael
Ignatieff e di coloro che sostengono
le sue opinioni.
Quindi la democrazia liberale è
un paravento, infatti lei parla di
democrazia organica.
La democrazia non è un mercato
Precisa subito il filosofo francese.
Non si esporta come si esporta un
prodotto commerciale. Essa non è
possibile, come ho già detto, se
non quando risponde alle aspirazioni
del popolo. Quanto alle differenze
tra la democrazia organica
(che è poi la democrazia tout
court) e la democrazia liberale,
sono assai numerose.
Ce ne dica qualcuna.
Benissmo. La democrazia si fonda
sulla nozione di eguaglianza politica
dei cittadini, che possiedono
dei diritti politici eguali in
quanto essi sono egualmente cittadini,
e non sulla nozione di libertà,
che rivela un altro tipo di
preoccupazione. Come ha ben dimostrato
Carl Schmitt, la “democrazia
liberale” non è che, da questo
punto di vista, un ossimoro,
una contraddizione in termini.
Ma a mio avviso la principale differenza
è la seguente.
La democrazia liberale è una
democrazia parlamentare e rappresentativa,
che si alimenta molto
bene con l’apatia politica dei
cittadini, da essa stessa incoraggiata.
All’indomani di una tornata
elettorale, come aveva ben osservato
Rousseau, i cittadini vengono
concretamente privati della
sovranità a pro di una classe politica
che, al giorno d’oggi, si riduce
sempre di più a un’oligarchia
finanziaria. La democrazia
organica, al contrario, si definisce
non per il solo ricorso tecnico al
suffragio universale, e ancor meno
come il regime che consacra il
potere del numero, ma come il
sistema che permette la più larga
partecipazione dei cittadini alla
vita pubblica.
Essa si fonda sul principio della
sussidiarietà, che mira a regolare
il massimo possibile dei problemi
al livello più basso, offrendo
così alla gente la possibilità di
decidere da se stessi ciò che concerne
loro. Si tratta di una procedura
permanente, che si esercita a
partire dal livello locale. È dunque
al tempo stesso una democrazia
diretta e una democrazia di
base, fondata sul legame sociale.