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Notizie dal mondo 9/15 gennaio

di Rivista Indipendenza - 17/01/2006

Fonte: rivistaindipendenza.org

Irlanda del Nord. 9 gennaio. Visite di polizie ai domicili di repubblicani. La polizia nordirlandese si è presentata alle abitazioni di quattro militanti repubblicani, durante le festività natalizie, per avvertirli che l’IRA starebbe investigando su di loro sospettandoli di essere informatori della Polizia. Secondo l’emittente britannica BBC, tra questi ci sono Tom Hartley, in passato consigliere del Sinn Féin a Belfast, e l’attivista repubblicano Richard Glenholmes. Dal Sinn Féin queste visite di polizia sono state qualificate come un tentativo di destabilizzare i repubblicani. Nel suo comunicato natalizio, l’IRA non ha fatto alcun riferimento a supposti infiltrati, per salutare e felicitarsi, piuttosto, con i suoi Volontari per la «disciplina e dedizione» e ricordare al Sinn Féin che ora è nelle sue mani «conseguire il processo politico desiderato in Irlanda» destinato alla realizzazione degli obiettivi repubblicani.

 

Euskal Herria. 9 gennaio. Imponente manifestazione a Bilbao in difesa dei diritti dei prigionieri politici baschi. All’iniziativa hanno aderito una pluralità di sigle politiche, sindacali, culturali.

 

Russia. 9 gennaio. «La costruzione del gasdotto del Baltico che permetterà di trasportare gas naturale russo in Germania senza passare da Bielorussia e Polonia causerà danni economici a tali Stati, tradizionalmente transitati dai gasdotti provenienti dalla Russia». Lo si legge in un rapporto del servizio “Global Strategic Analysis” a cura dell’Università di Oxford. In cui si nota, peraltro, che nonostante la recente crisi energetica causata da Mosca per la controversia con Kiev sul prezzo delle forniture gassose, «l’entrata dell’ex cancelliere tedesco Schroeder nel Consiglio di amministrazione del progetto baltico ha dato nuovo impeto a quest’ultimo, nonostante i malesseri diplomatici che ha causato in Europa orientale».


Siria / USA. 9 gennaio. «Fino a quando la Siria non collabora con la commissione d’inchiesta sull’assassinio dell’ex primo ministro libanese, Rafiq Hariri, continueranno le pressioni contro Damasco perché si possa chiarire la vicenda». Ad affermarlo è stato il segretario di Stato USA, Condoleezza Rice, che minaccia l’isolamento del paese. Le dichiarazioni della Rice dimostrano come gli USA usino la commissione ONU come strumento di ingerenza nella politica interna di Damasco.

 

Giordania. 9 gennaio. La Camera Bassa giordana ha ratificato il controverso accordo che garantisce agli statunitensi l’immunità per crimini di guerra davanti al Tribunale Penale Internazionale (TPI). La Giordania consegnerà così direttamente alle autorità degli Stati Uniti gli statunitensi accusati dal TPI. Con la firma si assicura la continuità dell’assistenza militare ed economica degli Stati Uniti alla Giordania.

 

Iraq. 9 gennaio. Con la perdita di 28 militari in una settimana, inclusi i dodici schiantatisi ieri nelle vicinanze di Tal Afar con l’elicottero UH-60 Black Hawk che li trasportava (non si sa se per incidente o abbattimento), salgono ad oltre 2.200 le perdite statunitensi ufficiali (c’è chi stima molto più alto il numero) dall’invasione, nel marzo 2003, e successiva occupazione del paese arabo.


Haiti. 9 gennaio. Dopo quattro rinvii (l’ultimo ieri per «problemi tecnici»), è il 7 febbraio la nuova data per le elezioni presidenziali e legislative fissata dal Consiglio Elettorale Provvisorio di Haiti. I due principali candidati presidenziali sono René Preval, rappresentante delle forze politiche conservatrici del paese, e Charles Baker, un imprenditore formatosi negli Stati Uniti. Intanto il governo brasiliano ha annunciato di voler proseguire nella guida della missione ONU (la Minustah, integrata da 10mila soldati, poliziotti e «assistenti» civili), nonostante la morte del suo comandante. Il generale Urano Teixeira da Matta Bacellar è stato rinvenuto cadavere giorni fa, in una stanza d’hotel, con un colpo d’arma da fuoco alla testa. Dopo il colpo di Stato congiunto (Stati Uniti-Francia) per defenestrare il governo eletto del presidente Jean-Bertrand Aristide (29 febbraio 2004), la situazione ad Haiti continua a non essere sotto controllo. Ieri Oxfam e Amnesty International hanno presentato relazioni in tal senso.


Bolivia. 9 gennaio. Morales cerca nella Cina un contrappeso agli Stati Uniti. Il neopresidente della Bolivia, Evo Morales, ha inaugurato ieri il suo viaggio in Cina, dichiarandosi grande ammiratore di Mao Zedong e della sua «rivoluzione proletaria», ed ha incoraggiato le imprese cinesi ad investire in settori chiave dell’economia boliviana, tra cui gas, miniere e petrolio. Morales ha detto di vedere anche nell’India un possibile interlocutore.

 

Gran Bretagna. 10 gennaio. Processare Blair. È quanto chiede il generale britannico Michael Rose, antico comandante militare dell’ONU in Bosnia-Erzegovina. Ieri alla BBC ha detto che il capo del governo, Tony Blair, dovrebbe essere processato per aver autorizzato la guerra in Iraq sulla base di «falsità». Non lo si dovrebbe permettere a nessuno, ha detto.

 

Ucraina. 10 gennaio. Il parlamento ucraino ha votato per le dimissioni del governo accusato di aver firmato con la Russia un accordo «inaccettabile» sul gas. Tale accordo obbliga l’Ucraina a pagare quasi il doppio di quel che pagava finora. Per la rimozione del governo si sono pronunciati 250 deputati della Rada (50 contro e due astenuti) su un totale di 405 non tutti presenti in aula. In virtù della nuova Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 2006, la Rada ha la facoltà di destituire il governo. Il parlamento ha chiesto al governo di Yuri Yekanurov di rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti fino alla formazione di un nuovo esecutivo. Anche antichi alleati di Yuschenko, come Yulia Timoshenko ed il presidente della camera Vladimir Litvin, hanno definito «catastrofico» l’accordo con Mosca. Il presidente pro-‘occidentale’ Victor Yushchenko, che si trovava in Kazakistan, ha detto che la decisione è «anticostituzionale» e non ha scartato la possibilità di sciogliere la camera dei Deputati. Ha quindi aggiunto di sentirsi soddisfatto dell’accordo firmato con la Russia, secondo quanto riferisce RIA Novosti, ritenendo «l’incidente chiuso». Il partito di Yushchenko, Nostra Ucraina, ha dal canto suo denunciato che la Rada, nel presentare la mozione di censura al governo, ha violato varie norme procedurali, il che invaliderebbe la decisione, ed ha chiesto l’instaurazione di un governo presidenziale fino alle elezioni. La democratica “rivoluzione arancione” sponsorizzata dagli Stati Uniti mostra il suo sbocco autoritario.

 

Iran. 10 gennaio. L’Iran ha tolto i sigilli agli impianti dove intende riavviare le attività di ricerca nucleare, nonostante il parere contrario di UE e USA. Lo ha detto oggi Mohammad Saidi, vice direttore dell’Agenzia per l’Energia Atomica iraniana.

 

Iraq. 10 gennaio. Secondo due esperti di economia USA, Joseph E. Stiglitz (economista della Columbia University e premio Nobel per l’economia nel 2001) e Linda Bilmes (insegnante a Harvard), la guerra in Iraq potrebbe arrivare  a costare due trilioni di dollari. Lo studio, che ha avuto ampio risalto sui media statunitensi, calcola l’ammontare delle spese dall’inizio del conflitto fra i 1026 e i 1854 miliardi. Prima della guerra, l’allora direttore del bilancio della Casa Bianca Mitch Daniels aveva previsto che l’Iraq sarebbe stata una «impresa sostenibile», respingendo la stima di un costo totale della guerra tra i 100 e i 200 miliardi di dollari –fatta dall’allora consigliere economico della Casa Bianca Lawrence Lindsey– come «molto, molto alta». I due studiosi hanno considerato anche i costi a lungo termine, quali l’aumento delle spese mediche per i soldati feriti (circa 16mila feriti, il 20% dei quali soffre di seri danni cerebrali o spinali), l’usura più rapida del materiale militare in combattimento e l’effetto dell’aumento dei prezzi del petrolio. Lo studio rileva che i contribuenti USA dovranno sobbarcarsi costi che dureranno ben oltre il ritiro delle truppe.

 

Palestina. 10 gennaio. A sorpresa Hamas si è dotata del primo canale privato televisivo nei territori occupati, Al Aksa TV. L’emittente ha iniziato domenica trasmissioni di prova, anche se «difficoltà tecniche» hanno disturbato il segnale. In questo modo vorrebbe raggiungere meglio gli elettori in Cisgiordania, territorio palestinese occupato, dove è meno forte rispetto alla striscia di Gaza. L’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) non ha autorizzato le trasmissioni ma non è chiaro se intende in qualche modo impedirle. Ciò avviene mentre la forza occupante, Israele, con la complicità di potenze ‘occidentali’, su tutte gli Stati Uniti, rilancia le sue pretese, a quindici giorni dal voto, di decidere chi potrà entrare o meno nel futuro governo palestinese.

 

Corsica. 11 gennaio. L’FLNC rivendica 22 attacchi e ne preannuncia altri. Il Fronte di Liberazione Nazionale di Corsica-Unione dei Combattenti (FLNC-UC) si è attribuito ieri la paternità di 22 recenti attentati (uffici della dogana, delle poste, sedi della gendarmeria, ville, hotel, ecc.), con un comunicato inviato ieri al canale France 3-Corsica. Ribadita la sua opposizione al «prosieguo della colonizzazione di popolamento», alla «speculazione immobiliare» ed alla stretta repressiva dello Stato francese e sottolineata «la pericolosità della situazione», il FLNC «riafferma» la sua presenza «sui terreni della lotta politico-militare, mediante il dispiegamento di unità di combattimento».

 

Kosovo. 11 gennaio. Si ignora cosa avvenga nei centri di detenzione della NATO in Kosovo. È il segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis, ad aver richiesto ancora una volta, ieri, che esperti del CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura) possano avere accesso «immediato e illimitato nell’insieme dei centri di detenzione della KFOR (l’operazione della NATO, ndr) in Kosovo». Ed aggiunge inquietantemente che «se la KFOR ha cadaveri nascosti, l’inizio imminente delle negoziazioni sullo statuto futuro del Kosovo offre un’ultima opportunità per tirarli fuori». Nell’agosto 2004 è stato raggiunto un accordo tra il Consiglio e l’ONU perché il CPT possa ispezionare i centri di detenzione nella provincia balcanica, ma sinora con la NATO non è stato possibile. Intanto il primo giro di trattative sul futuro status del Kosovo può dirsi concluso; la ripresa prevista è intorno alla metà di gennaio. Gli USA dispongono in Kosovo di una base (Camp Bondsteel); un’altra, la Eagle, l’hanno in Bosnia. Per gli USA la propria presenza nei Balcani è irrinunciabile: in vista dell’importanza del corridoio balcanico, ed anche rispetto al Medio Oriente e a tutta l’Europa orientale. Washington però non è disposta ad accollarsi i costi economici e sociali di una regione allo sbando che sta precipitando sempre più in basso: gli alleati/subalterni europei devono quindi sbrogliarsela da soli ma a certe condizioni. Attorno a questa esigenza statunitense ripartiranno le negoziazioni sullo status del Kosovo.

 

Cina / India. 11 gennaio. Il ministro indiano del petrolio, Mani Shankar Aiyar, è a Pechino per discutere di nuovi accordi di cooperazione energetica con la Cina. I negoziati seguono quelli di aprile 2005, quando i due paesi trovarono un accordo per la risoluzione pacifica di alcune controversie territoriali risalenti agli anni ’60. «La Cina», scrive una nota dell’agenzia di analisi geopolitica Stratfor, «è determinata soprattutto a contare di più nella politica estera dell’India, dato che a questo paese sono interessati anche USA e Russia». Pechino e Delhi sono spesso in competizione per lo sfruttamento privilegiato delle risorse fossili dell’Asia centrale. Tuttavia, notano gli analisti di Stratfor, «per Pechino è importante aumentare la propria influenza politica e apparire come un partner, non un avversario, dell’India».

 

USA / Iraq. 11 gennaio. Lanciare una campagna di propaganda clandestina sui media europei cercando di far pubblicare storie che aiutassero a costruire il sostegno per la guerra in Iraq che si intendeva scatenare. Questo fu detto a tutti i responsabili delle sedi d’intelligence USA in Europa confluiti a Roma, nell’aprile 2002, su disposizione del quartier generale della CIA a Langley, in Virginia. A Roma, racconta uno dei partecipanti, di cui viene protetta l’identità, «ci fu detto che l’Iraq era sull’agenda di Bush quando è stato eletto e che l’11 settembre l’aveva solo ritardato. Quello che implicavano era che l’11/9 era stata una distrazione dall’Iraq. Aggiunsero che Bush era deciso a cambiare la leadership in Iraq e che questo sarebbe avvenuto facendo ricorso all’energia cinetica. Cioè alle bombe. Cioè alla guerra». La rivelazione è contenuta nel libro più discusso del momento negli USA, “State of War”, il cui autore, il giornalista James Risen, esperto di sicurezza nazionale del New York Times, ha avuto accesso ai racconti in forma anonima di un gran numero di agenti segreti, in buona parte motivati dalla loro profonda insoddisfazione per come la CIA ha gestito la fase che dall’11 settembre 2001 ha portato alla guerra in Iraq nel marzo 2003. Risen racconta le fasi che trasformarono un piccolo gruppo di specialisti all’interno della CIA, l’Iraq Operations Group (IOG), in vero motore dell’attività della agenzia di spionaggio. Gli agenti della CIA continuarono a mostrarsi reticenti di fronte ai progetti di invadere l’Iraq, come dimostra il fatto che nel novembre del 2002 fu necessaria una nuova riunione, stavolta di tutti i capi delle sedi in Medio Oriente, convocata nell’ambasciata degli USA a Londra. Con durezza, secondo le rivelazioni, fu detto a tutti che, anche se non condividevano le scelte dell’amministrazione, il loro dovere era adeguarsi e lavorare per preparare la guerra. Le resistenze all’interno della CIA, secondo quanto emerge da “State of War”, erano legate al fatto che l’agenzia non aveva prove per sostenere la tesi della Casa Bianca sul fatto che Saddam si stava dotando di armi di distruzione di massa. Una circostanza poi emersa dal lavoro delle commissioni d’inchiesta che negli USA hanno esaminato l’intelligence prebellica e che è ancora al centro del lavoro d’indagine del Senato.

 

Irlanda del Nord. 12 gennaio. Londra accantona la legge sul ritorno dei fuggitivi. Avrebbe dovuto riguardare i ricercati per reati politici commessi prima dell’Accordo del Venerdì Santo (1998). Il governo britannico ha inteso poi far beneficiare del provvedimento anche i membri delle forze di sicurezza britanniche e nordirlandesi macchiatisi di crimini o implicati in atti illegali contro nazionalisti in connivenza con forze lealiste o nella violazione dei diritti umani. Da qui la presa di posizione del Sinn Féin che aveva comunicato a Londra che i repubblicani non avrebbero accolto il provvedimento e che nessuno dei ricercati avrebbe fatto ritorno sull’isola. Il segretario d Stato britannico per il nord Irlanda, Peter Hain, ha informato la Camera dei Comuni che la proposta avrebbe dovuto fare affidamento sul consenso del Sinn Féin­. Hain ha aggiunto che l’esclusione delle forze di sicurezza dalla normativa, così come ha preteso il Sinn Féin, sarebbe stata «illogica» e che il governo britannico non era disposto a concederla. La proposta prevedeva la comparizione davanti ad un tribunale speciale per rispondere delle proprie azioni prima di essere posti in libertà sotto le condizioni di una licenza speciale. La legislazione intendeva rispondere ad una richiesta repubblicana di soluzione alla situazione irregolare di attivisti fuggiti all’estero e impossibilitati a tornare nel nord Irlanda, laddove i repubblicani detenuti venivano beneficiati delle misure di scarcerazione incluse nell’Accordo del Venerdì Santo.


Irlanda del Nord. 12 gennaio. Adams apprezza il ritiro della proposta di legge da parte di Londra che implica, sostiene, un riconoscimento che la proposta contravveniva l’accordo raggiunto nelle negoziazioni di Weston Park. Il presidente del Sinn Féin, Gerry Adams, ha comunque aggiunto che non solo deve essere risolto il problema dei repubblicani fuggiti all’estero, ma devono essere anche aperte «commissioni di verità» sui casi di crimini che hanno visto membri della sicurezza britannica in combutta con paramilitari lealisti come nel caso dell’assassinio dell’avvocato repubblicano Pat Finucane.

 

Euskal Herria. 12 gennaio. Grande-Marlaska richiede relazioni sull’attività politica di Batasuna. L’iniziativa del BEC «naturalmente non è legale». Il giudice speciale Fernando Grande-Marlaska, distintosi nelle più recenti attuazioni contro la sinistra abertzale (patriottica, ndr) ed il massimo responsabile della Procura nell’Audiencia Nacional spagnola, Eduardo Fungairiño, intendono vietare il I Congresso Nazionale di Batasuna. Convocato per il 21 gennaio nel Bilbao Exhibition Center (BEC) di Barakaldo, costituirà il punto finale del dibattito interno al movimento con l’approvazione di un documento finale sulla linea d’azione politica per i prossimi anni e l’elezione della nuova Mesa Nacional (il direttivo di 25 membri). Sinora detto dibattito, sviluppatosi negli ultimi tre mesi, con un totale di 250 assemblee in tutto il paese basco, non aveva incontrato alcun tipo di impedimento. Al BEC Batasuna confida di riunire 13mila simpatizzanti. Ora la decisione è nelle mani soprattutto (ma non unicamente) nelle mani del procuratore generale dello Stato, Cándido Conde-Pumpido. Lo ha dichiarato proprio Fungairiño: «saremo in contatto con la Procura Generale; se la Procura dice che bisogna fare una cosa, si fa; e se non bisogna farla, non si fa».

 

Germania. 12 gennaio. Sull’invasione dell’Iraq il governo tedesco era apertamente dissociato dalla campagna militare iniziata dagli Stati Uniti, ma agenti dei servizi segreti tedeschi (BND) a Baghdad aiutarono l’aeronautica militare USA a individuare obiettivi da bombardare durante la guerra nel 2003. È l’imbarazzante rivelazione contenuta in un programma che la rete televisiva tedesca Ndr manda in onda oggi e che ieri ha mostrato in anteprima ad alcuni giornalisti. «Ci hanno dato appoggio diretto, ci hanno fornito coordinate sugli obiettivi», ha detto una fonte militare statunitense alla Ndr. La fonte, in particolare, parla di un bombardamento del 7 aprile 2003 effettuato su un sobborgo di Baghdad dove si riteneva fosse nascosto l’allora presidente iracheno Saddam Hussein. Il raid aereo uccise 12 civili. Se confermata, la notizia metterà in imbarazzo il ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier, all’epoca capo di stato maggiore della Difesa sotto il governo del socialdemocratico Gerhard Schroeder. La Ndr informa che Steinmeier non ha voluto farsi intervistare e che il BND ha ammesso la presenza di due dei suoi agenti a Baghdad durante la guerra del 2003, negando però che abbiano fornito al Comando statunitense informazioni sugli obiettivi da colpire. Steinmeier e la BND hanno confermato la presenza di spie a Baghdad durante la guerra, ma hanno detto che raccoglievano solo informazioni sullo sviluppo della guerra. Tutti i partiti dell’opposizione hanno chiesto che il ministro si presenti il 18 gennaio al Bundestag per chiarire.

 

Bielorussia. 12 gennaio. «La Bielorussia non diverrà parte della Federazione Russa». Lo ha detto il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko in conferenza stampa. L’ipotesi di una fusione tra i due paesi è stata rilanciata da vari osservatori in seguito al protrarsi del forte legame tra Mosca e Minsk. Tale legame tuttavia si è dimostrato meno stretto di quanto previsto da un accordo del 1997, che prevedeva l’adozione in tempi brevi del rublo russo da parte bielorussa. Una «più forte integrazione economica» con Mosca è comunque stata auspicata da Lukashenko, probabilmente intenzionato a segnalare ad USA ed Unione Europea la propria determinazione a restare fuori dalle istituzioni euro-atlantiche.


Iraq. 12 gennaio. Generale britannico critica l’esercito USA e le sue prestazioni in Iraq. Sulla rivista dell’Esercito degli Stati Uniti, Military Review, il generale Nigel Aylwin-Foster, che è stato vice-comandante del programma per l’addestramento del personale militare iracheno, accusa i commilitoni statunitensi, oltre che d’ignoranza e di altri difetti che compromettono l’esito della missione (o rendono il successo più difficile), di «un moralismo auto-referenziale, una micro-gestione improduttiva e un ottimismo ingiustificato» che scoraggia «gli ufficiali inferiori a riferire notizie meno che positive alla catena di comando» e procura, quindi, un’immagine distorta della situazione. Il generale scrive, fra l’altro, che gli ufficiali USA in Iraq hanno mostrato una «insensibilità culturale» tale da potersi considerare alla stregua di «razzismo istituzionale», che avrebbe stimolato la crescita dell’insurrezione e alienato «il favore di significative porzioni della popolazione irachena».

 

Iraq. 12 gennaio. «Io chiamo questa la coalizione dei fannulloni». Così l’insieme delle forze degli alleati/subalterni alla missione irachena è definito da Paul Bremer. Il governatore USA, che ha guidato il governo dopo la presa di Baghdad, spiega il perché nel suo libro “Il mio anno in Iraq”, scritto con lo storico militare Malcolm McConnel e appena uscito in libreria. Particolarmente criticati i soldati spagnoli che sarebbero stati «seduti sui carri armati senza far nulla» mentre i militari statunitensi erano alle prese con la rivolta delle milizie sciite di Muqtada al-Sadr a Nayab.

 

Iraq. 12 gennaio. Bremer indirizza i propri strali critici e di scherno anche nei confronti degli italiani. Il 14 maggio 2004, l’ufficio USA a Nassiriya fu quasi sopraffatto «perché la ‘Forza di Intervento Rapido’ dell’Italia impiegò sette ore per fare un percorso di poche miglia». Il quartier generale della Autorità Provvisoria della Coalizione nella città meridionale, aggiunge Bremer, fu praticamente chiuso, dopo quell’episodio. Nel maggio del 2004, a due mesi dal passaggio di poteri tra l’autorità provvisoria statunitense e il governo di transizione iracheno, la situazione della sicurezza nel Paese era drammatica e Bremer racconta le circostanze in cui, per la prima volta in due anni, aveva scritto al capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, per chiedere il dispiegamento di altre truppe e tenere a freno l’insurrezione. La battaglia di Nassiriya si combatté tra il 14 e il 17 maggio 2004. L’esercito di al-Madhi, i gruppi di rivoltosi che facevano capo all’esponente sciita Muqtada al-Sadr, avanzava verso Nassiriya nel tentativo di cacciare dalla città le forze di occupazione. Sul territorio erano presenti soldati italiani, coreani, portoghesi e un distaccamento dei reparti statunitensi. Secondo le ricostruzioni ufficiali, il 14 maggio, alle ore 15 circa, la sede della polizia locale, situata nella vecchia base Libeccio, fu occupata e gli insorgenti s’impossessarono di armi e munizioni. Dopo poco tempo due plotoni di carabinieri, inviati a difendere la sede, furono oggetto di un’intensa azione di fuoco. Nella serata, la sede della Cpa venne attaccata con il fuoco di lanciarazzi Rpg e di armi automatiche da parte dei miliziani. La sede era difesa da un plotone del reggimento San Marco, da un plotone della brigata Ariete e da 32 filippini appartenenti ad un corpo di vigilanza civile. All’interno, oltre al governatore locale e al personale dello staff, si trovavano anche tre giornalisti italiani.

 

Palestina. 12 gennaio. Hamas al voto non chiede «la distruzione di Israele e la fondazione di uno stato palestinese su tutti i territori a ovest del Giordano». La sua piattaforma elettorale appare «più moderata della carta stesa da Hamas nel 1988» e delle successive dichiarazioni dei suoi esponenti, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, che pubblica alcuni passaggi di fondo del documento. La direzione interna di Hamas si sta posizionando per diventare una forza interlocutrice con Israele. È una strategia nuova, apparentemente un’apertura per il dialogo se, come pare probabile, Hamas vincerà le elezioni legislative del 25 gennaio. Per stabilire uno Stato con Gerusalemme capitale, Hamas rivendica il diritto alla resistenza armata, la stessa formula usata da Fatah e che comunque è sancita dalla stessa carta delle Nazioni unite per giustificare la lotta armata contro ogni occupazione militare di un popolo da parte di un altro. Tra i palestinesi Hamas è ritenuta più onesta della dirigenza attuale dell’Autorità Nazionale Palestinese. La gente comune, una parte della maggioranza silenziosa, apprezza poi le istituzioni (ospedali, cliniche, università, servizi d’assistenza ai poveri) appartenenti al movimento. Molti analisti ed esperti dei servizi d’intelligence israeliani ritengono che le elezioni palestinesi saranno o un fallimento o segneranno la vittoria di Hamas e, dunque, la fine d’ogni possibilità di dialogo.

 

Sri Lanka. 12 gennaio. Altri nove marinai dello Sri Lanka saltano su una mina, nella città di Mannar, in un attacco attribuito ai separatisti delle Tigri Tamil. Lo ha detto un portavoce militare. Ci sono anche sette feriti. Nell’ultimo mese sono una ventina i marinai uccisi in attacchi delle Tigri Tamil nel nord dello Sri Lanka. Gli Stati Uniti hanno avvertito la guerriglia tamil che, in caso di rottura della tregua, dovranno confrontarsi con un esercito cingalese «molto più forte, capace e determinato», grazie anche al sostegno fornito da Washington.

 

USA. 12 gennaio. Ieri si è chiuso il quarto anno di esistenza del «buco nero legale» di Guantanamo. Gli Stati Uniti lo aprirono –dissero «provvisoriamente»– l’11 gennaio 2002, con l’arrivo dei primi 20 prigionieri. Attualmente, nella base militare che gli USA hanno a Cuba, ce ne sono 500, originari di 35 paesi, quasi tutti messi in relazione con il «terrorismo», ma senza imputazioni, senza diritti, sottoposti a torture, chiusi in celle individuali da 1,8 metri per 2,4. Gli Stati Uniti li qualifica come «combattenti stranieri», classificazione non ortodossa, giuridicamente parlando, perché li esime dall’applicare la Convenzione di Ginevra che garantisce certi diritti ai prigionieri di guerra.

 

USA. 12 gennaio. Guantanamo è stata definita da Amnesty International il «gulag del nostro tempo». Anche la Croce Rossa accusa i militari statunitensi di utilizzare metodi di tortura sui detenuti. Tra questi: permanenze prolungate nelle celle 24 su 24; pestaggi; immersione della testa nell’acqua anche sporca di escrementi fino a poco prima del soffocamento; somministrazione forzata di droghe allucinogene; ristrettezze alimentari; proibizione alla preghiera; introduzione di scorpioni e serpenti nelle celle; minacce di ritorsione sui familiari, eccetera. Il Pentagono, coscienti della sua immunità di fatto, ha replicato più volte che gli Stati Uniti possono trattenere i prigionieri «perpetuamente». Il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, ha giustificato «sequestro» e relativo «trattamento» per il fatto di ricavare valide informazioni contro il «terrorismo». Il presidente statunitense, George W. Bush, ha firmato nel novembre 2001 l’ordine esecutivo per cui, se e quando i prigionieri saranno giudicati dai tribunali militari, siano accettate le prove ottenute mediante tortura e testimonianze «per sentito dire». Di fronte a svariate denunce, quasi un anno fa la Corte Suprema USA ha stabilito che i tribunali civili possano esaminare gli appelli dei prigionieri, ma il governo è riuscito ad ostacolare tutti questi processi al punto che nessun prigioniero è riuscito ad esercitare il proprio diritto di appello.


USA. 12 gennaio. «Non sorprende che preferiscano morire». Lo denuncia Amnesty International, riferendosi a quanto già espresso da non pochi prigionieri. Alcuni si sono già suicidati. Altri sono stati bloccati in extremis. Attualmente 86 sono in sciopero della fame ad oltranza contro le disumane condizioni di vita a Guantanamo, per l’applicazione della Convenzione di Ginevra e la garanzia di un giusto processo. Il Pentagono ha ammesso che sta nutrendo a forza questi prigionieri «attraverso sonde nasali», ma rifiuta di dare informazioni sulle loro condizioni. L’alimentazione forzata è considerata una forma di tortura.

 

USA / Australia / Cina. 12 gennaio. Gli Stati Uniti danno il placet alla vendita di uranio australiano alla Cina. L’annuncio è del segretario dell’Energia degli Stati Uniti, Sam Boadman. La Cina, secondo maggior consumatore di energia del mondo e che prevede un forte incremento annuale nella sua produzione nucleare sino al 2020, usufruirà del 40% delle risorse mondiali di questo minerale. L’Australia, che come gli Stati Uniti non ha firmato il protocollo di Kyoto, si è limitata a confermare la vendita.

 

Germania. 13 gennaio. Accoglienza trionfale per Angela Merkel a Washington.  Tra gli importanti uomini d’affari e politici presenti all’arrivo della Bundeskanzlerin, il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan e gli ex segretari di Stato Madeleine Albright e Colin Powell. Escalation della crisi nucleare con l’Iran, la recente “guerra del gas” tra Russia ed Ucraina, la presenza militare in Afghanistan (dove il contingente tedesco è il più numeroso dopo quello USA) ed Iraq i temi dei colloqui con il presidente George W. Bush. Merkel avrebbe promesso un maggiore impegno nell’“addestramento” delle forze di sicurezza irachene.

 

Iran. 13 gennaio. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e Teheran hanno ribadito la necessità di risolvere la questione nucleare iraniana attraverso i canali diplomatici e negoziati costruttivi. Secondo l’agenzia di stampa IRNA, nel corso di un contatto telefonico il capo dell’AIEA Mohammad el Baradei e il segretario generale del consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniano, Ali Larijani, hanno chiesto anche lo sviluppo delle collaborazioni bilaterali nel campo dell’energia nucleare. Larijani dal canto suo ha affermato la sua determinazione per il riconoscimento del legittimo diritto dell’Iran di appropriarsi della tecnologia nucleare per fini pacifici e nel quadro delle leggi internazionali, nonché sotto l’egida dell’AIEA.

 

Israele / Iran. 13 gennaio. I vertici militari israeliani premono per un attacco preventivo all’Iran: pronti i piani per colpire i siti, basati su informazioni satellitari e, a quanto pare, grazie al lavoro di squadre d’incursori penetrati su suolo iraniano. Secondo fonti dell’intelligence israeliana, l’Iran ha rafforzato le difese attorno ai vari siti, molti dei quali si trovano sottoterra, come precauzione in caso di un attacco statunitense o israeliano. Le difese sono state definite «buone» e comprendono missili russi SA-2, SA-5, SA-6 oltre a missili portatili SA-7. In caso di attacco di Tel Aviv o anche di Washington, i servizi segreti israeliani avvertono che l’Iran possiede missili a lunga gittata che possono colpire Israele (missili-anti-missile Arrow sono schierati per prevenire un’eventualità del genere) e che Teheran può contare sul sostegno di Hezbollah in Libano dove, secondo gli 007, si trovano già da qualche anno diecimila missili in grado di colpire fino a Haifa.

 

Cina / India. 13 gennaio. Una serie di accordi di collaborazione per lo sfruttamento delle risorse energetiche sono stati raggiunti tra India e Repubblica popolare cinese in quello che è stato ufficialmente designato come ‘anno dell’amicizia’ tra i due giganti asiatici. Come riporta l’agenzia Misna, Mani Shankar Aiyar, ministro indiano del petrolio e gas naturale, ha spiegato durante la sua visita in Cina, che l’intesa è «ad ampio raggio» e copre diversi settori: dall’esplorazione e produzione di risorse energetiche al raffinamento e compravendita di prodotti petroliferi e petrolchimici, dalla costruzione di gasdotti a livello nazionale e trans-nazionale alla promozione di carburanti non dannosi per l’ambiente. Già il mese scorso Pechino e New Delhi avevano ottenuto la quota del 37% delle zone petrolifere siriane detenuta da una multinazionale nordamericana. «La rivalità tra aziende cinesi e indiane va solo a vantaggio degli acquirenti» ha affermato Aiyar, aggiungendo che presto verrà creato un gruppo di lavoro che si incontrerà almeno una volta all’anno per discutere dei progetti di cooperazione.

 

Ecuador. 13 gennaio. Il governo di Quito non parteciperà ad operazioni militari congiunte con l’esercito colombiano per combattere i guerriglieri lungo la frontiera comune tra i due paesi andini. Lo ha riferito il ministro Oswaldo Jarrín al termine di una riunione con il suo omologo Camilo Ospina, precisando che «solo in caso di sconfinamento, i ribelli saranno considerati nemici dell’Ecuador».

 

Bolivia. 13 gennaio. Gli Stati Uniti hanno sottratto all’arsenale militare boliviano 30 missili, in previsione del trionfo elettorale di Evo Morales. Il fatto, avvenuto nell’ottobre 2005, è stato denunciato ieri dal comandante dell’Esercito di Terra boliviano, Marcelo Antezana.

 

Euskal Herria. 14 gennaio. EA propone di convocare un’iniziativa e «cedere la tribuna» a Batasuna se venisse sospesa l’iniziativa del BEC (cfr. Euskal Herria. 12 gennaio). Eusko Alkartasuna (centrosinistra basco), tramite la sua presidentessa, Begoña Errazti, spera che l’iniziativa di Batasuna si celebri «con normalità» ed ha proposto che, in caso non sia possibile, le altre forze politiche «compromesse con la democrazia» convochino un’iniziativa pubblica in favore della libertà d’espressione e di azione politica e «cedano la tribuna».

 

Francia. 14 gennaio. «Gli europei sarebbero le prime vittime delle sanzioni» contro l’Iran sulla questione del nucleare. Lo sostiene Freferic Tellier, dell’Istituto di Relazioni Internazionali e Strategiche di Parigi ed aggiunge: «gli iraniani hanno un potere reale di rispondere alle sanzioni». Un embargo sul petrolio iraniano «appare irreale, tenuto conto che l’Iran è il secondo fornitore del petrolio di Cina», Cina che ha potere di veto nel Consiglio di Sicurezza. Tellier ricorda quindi che le sanzioni influirebbero in settori in cui l’Europa ha grandi interessi. Concorda il suo collega Dominique Moisi: «L’Iran sa che economicamente dipendiamo più da loro che loro da noi. E si sente invulnerabile, ancor più se si tiene conto la situazione degli Stati Uniti in Iraq». «Il margine di manovra degli europei si misura in millimetri», sostiene Ulrike Guerot, della Fondazione German Marshall, «le possibili sanzioni o la rottura delle relazioni creerebbero più inconvenienti che vantaggi all’Unione Europea». L’Iran è il quarto produttore di petrolio al mondo e secondo nell’Opec dopo l’Arabia Saudita. Negli ambienti politici ed economici internazionali è diffuso quindi il timore che possa servirsi di questo strumento come rappresaglia per eventuali sanzioni, aiutato in questo dal livello attuale dei prezzi, oltre i 60 dollari al barile.

 

Iran. 14 gennaio. Teheran «proseguirà il proprio programma nucleare per fini pacifici. Il governo non arretrerà di un centimetro dalla difesa dei diritti del popolo». Così il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che, in merito alla posizione assunta dagli Stati europei, afferma: «Ci invitano a fermare il programma nucleare e in cambio promettono di darci il combustibile nucleare; ma come possiamo credergli se non ci danno neanche le medicine indispensabili?». La Repubblica Islamica ribadisce che le ricerche scientifiche sul combustibile nucleare avverranno sotto l’egida completa dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Al riguardo, in questi ultimi 2 anni l’Iran aveva sospeso volontariamente le sue ricerche nucleari solo per creare fiducia sulla trasparenza delle sue posizioni sul caso nucleare. Anche secondo il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, tutti i paesi membri tra cui la Repubblica Islamica dell’Iran hanno il diritto di appropriarsi della tecnologia nucleare per scopi civili. Perciò le autorità iraniane insistono nell’innalzare il livello scientifico del paese ricorrendo alla capacità nazionale e sotto l’egida dell’AIEA.

 

Israele / Iran. 14 gennaio. È «molto probabile che l’aeronautica dello stato ebraico lanci attacchi missilistici contro obiettivi militari e nucleari iraniani già in primavera». Ne è convinto Serghei Markov, noto politologo russo vicino al Cremlino.

 

Russia / Iran. 14 gennaio. Mosca non rinuncia a vendere all’Iran missili antiaerei nonostante «il problema del dossier nucleare». Si tratta di ventinove sistemi missilistici antiaerei a corta gittata Tor M-1, che consentiranno all’Iran di difendersi da un’eventuale invasione. Lo ha ribadito il ministro della Difesa russo, Serguei Ivanov, che ha invece smentito la vendita dei moderni sistemi missilistici antiaerei S-300, molto più potenti dei Tor M-1 e a media gittata. Ivanov ha respinto quindi le minacce di Washington ricordando la legalità della vendita, giacché «sull’Iran non pesano sanzioni internazionali» e perché i Tor sono «sistemi esclusivamente difensivi».

 

Iran. 14 gennaio. Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad torna a parlare dell’Olocausto affermando: «Io non dico che l’Olocausto sia avvenuto o meno. Lo chiedo ad alcuni paesi occidentali. Se è avvenuto, sono loro a doverne rispondere. Perché altre nazioni dovrebbero pagare per questo errore?». Il presidente iraniano ha anche affermato che la repubblica islamica ha il diritto a possedere tecnologia nucleare. «Abbiamo detto ripetutamente che la nazione iraniana non ha bisogno di armi nucleari, siamo una nazione civile, sono quelli che tentano di risolvere le equazioni con la forza e l’intimidazione che vogliono le armi», ha affermato nel corso di una conferenza stampa, la seconda da quando è presidente. Ed ha aggiunto: «alcuni Paesi occidentali dotati di armi nucleari ora sospettano dell’Iran malgrado ispezioni senza precedenti non abbiano portato la minima prova contro Teheran. Ritengono di avere la volontà e il potere di privare l’Iran dei suoi diritti», ha detto il presidente della repubblica islamica.

 

Pakistan. 14 gennaio. Islamabad ha condannato l’attacco aereo compiuto ieri dalle forze statunitensi contro Domadola, villaggio nella regione tribale nordoccidentale del Bajur, vicino al confine afgano, e costato la vita ad almeno 17 persone. Protestando per la morte di diversi civili nell’operazione –mirata, secondo fonti di intelligence USA, ad uccidere uno dei massimi dirigenti di al Qaida, Ayman al Zawahri–, il ministro dell’informazione Sheikh Rashid Ahmed ha espresso una dura condanna dell’accaduto e aggiunto che il suo governo «intende rassicurare la gente che incidenti come questi non accadano più». Come riporta l’agenzia Misna, un dirigente pakistano ed altri funzionari governativi hanno definito «sbagliate» e «false» le informazioni secondo le quali il medico egiziano al Zawahri si trovasse in quella zona. Islamabad si appresta a convocare l’ambasciatore USA per una formale protesta. Nel frattempo ci sono state manifestazioni di piazza, nel corso delle quali centinaia di persone hanno dato fuoco alla sede dell’Associated Development Construction, gruppo finanziato dagli Stati Uniti a Khar, cittadina vicino a Bajur.

 

Cina. 14 gennaio. Pechino è diventato in pochi anni il secondo partner commerciale del Continente nero dietro la Francia e davanti a Gran Bretagna, USA e Germania. Diverse statistiche concordano nel volume record di scambi commerciali tra la Cina e l’Africa per un ammontare di 37 miliardi di dollari. Da Dakar a Libreville a Dar es Salam si moltiplicano i prodotti ”made in China“ e impressiona la presenza di battaglioni di operai cinesi impegnati in diversi tipi di costruzioni. L’Africa rappresenta una fonte di materie prime necessarie per alimentare l’insaziabile bisogno cinese di alluminio, acciaio, ferro, manganese, fosfati e idrocarburi. Il “made in China” sta sfondando anche in settori, come le telecomunicazioni, tradizionalmente preclusele dagli Stati uniti in primis.

 

Cina / India. 14 gennaio. Cina e India stringono accordi per evitare di farsi una concorrenza «senza senso» in campo energetico. Nel 2030 avranno bisogno dell’intera produzione mondiale di greggio ed i due giganti dell’Asia hanno deciso di mettere da parte secolari dispute. Per questa ragione, giovedì scorso, il ministro del petrolio indiano, Mani Shankar Alyar, ed il suo collega cinese, Ma Kai, hanno firmato un documento nel quale si afferma che eviteranno di farsi guerra nel settore dei rifornimenti energetici, soprattutto per il petrolio. Se lasciamo fare al mercato e alla concorrenza, si sono detti i due ministri, «solo i produttori saranno avvantaggiati da una rivalità scatenata e senza briglie». Per ora le compagnie nazionali del petrolio, l’indiana Ongc (Oil and natural gas corporation) e la cinese Cnpc (China national petroleun corporation), hanno deciso di scambiarsi informazioni prima di giungere a una cooperazione formale. L’accordo lascia però scettici una serie di analisti. Il Dragone cinese negli ultimi mesi si è assicurato lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Angola, Nigeria, Kazakistan e Ecuador proprio a spese della Ongc indiana. In altri Paesi, però, Siria e Venezuela, le due compagnie si sono alleate o comunque si sono divise i campi da esplorare. Ma tale improvvisa volontà di cooperare deriva da ragioni ben più profonde: la Terra sembra troppo piccola per reggere ai tassi di sviluppo raggiunti in questi anni dall’economia della Cina e dell’India. Cina e India assommano già 2,4 miliardi di abitanti.

 

Venezuela. 14 gennaio. Il presidente del Venezuela Chávez ha minacciato di sospendere le forniture di petrolio agli USA, contro i «costanti soprusi imperialisti» degli Stati Uniti. Chávez