Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Jaffa e Carmel: agrumi "politicamente corretti" per tutti!

Jaffa e Carmel: agrumi "politicamente corretti" per tutti!

di Manuel Zanarini - 21/04/2008

 

 

 

Israele è una nazione che esporta moltissima frutta, anche in Paesi che ne sono grandi produttori come l’Italia. Mentre gli agrumi del Sud Italia vanno al macero, farsi un giro nelle campagne siciliane per credere, sui banconi dei nostri supermercati troviamo sempre più spesso prodotti importati, molti dei quali proprio da Israele.

Questo avviene in virtù di accordi bilaterali che impoverendo le nostre aziende agricole, in particolar modo del Sud, arricchiscono le grandi industrie del Nord che collaborano con Israele.

Molte sono le aziende italiane che hanno joint-venture con altre israeliane, altre hanno stipulato accordi tramite i due stati, famoso era quello che permetteva di mandare in Israele i camion dell’Iveco in cambio della frutta della ditta Jaffa.

Proprio il caso della Jaffa è interessante. Questa azienda in realtà esporta agrumi in larga parte coltivati nei territori Palestinesi, si tenga conto che questi ultimi non hanno altre possibilità di esportare i propri prodotti agricoli.

Oggi i tutti i prodotti provenienti da Israele, o dai territori illegalmente occupati, sono controllati da due marchi: la Jaffa e la Carmel.

Il marchio “Jaffa” è usato dalla Citrus Marketing Board of Israel (CMBI), un istituto statale fondato nel 1940 per promuovere, sviluppare e regolamentare il settore agro-alimentare israeliano in tutto il mondo. Nel 1990 è stato privatizzato e di fatto gestisce l’intero mercato degli agrumi israeliano.

L’altro marchio è quello della “Carmel”. Questo viene usato dalla Agrexco, un’azienda controllata dallo Stato, che si occupa dell’esportazione di tutti gli altri prodotti agricoli, in particolar modo degli avocados e dei fiori recisi.

Il caso dei fiori recisi coltivati in Palestina è il più emblematico. Infatti per essere commercializzati l’Agrexco impone che essi rechino un certificato d’origine israeliano, pur venendo coltivati nei territori occupati. Una volta venduti, l’azienda israeliana trattiene per sé il 40% dei ricavi come “quota marketing”. In realtà, i coltivatori potrebbero bypassarla, ma ciò è quasi impossibile; infatti devono comunque pagare il trasporto attraverso Israele, subire numerose ispezioni “per la sicurezza” da parte delle forse armate israeliane e anche una volta superati gli ostacoli a monte, in virtù degli accordi bilaterali, hanno grosse difficoltà a piazzare la merce sui mercati finali.

Si  consideri a riguardo che che l'art. 38 dell'Accordo ad interim UE-Israele, sul commercio e temi ad esso collegati, si applica al "territorio dello Stato di Israele" e non contiene nessuna altra ulteriore definizione. Israele ha annesso unilateralmente sia Gerusalemme Est che il Golan e così per la legge israeliana fanno parte dello Stato di Israele. Per le colonie in West Bank e Gaza, pur non formalmente annesse, la giurisdizione israeliana è applicata nella pratica.
Tutte le risoluzioni dell'ONU affermano che né le colonie in West Bank e Gaza, né Gerusalemme Est e Golan possono essere considerate parte dello Stato di Israele, quindi l'ambito territoriale di applicazione dell'accordo ad interim si dovrebbe intendere limitato alle frontiere precedenti il 1967, cosa non applicata nei fatti, impoverendo paurosamente le famiglie contadine Palestinesi.

Come se questo non bastasse, l’industria agricola israeliana fa molto uso di biotecnologie. Quindi molti prodotti sono geneticamente modificati.

A puro titolo esemplificativo, i pompelmi “Jaffa” contengono elevate percentuali di tiabedanzolo (E233), un elemento che la Commissione di vigilanza europea ha ovviamente definito come non pericoloso, ma al contempo a suggerito cautela e adozione di misure di controllo.

Per chi volesse essere sicuro di non acquistare prodotti provenienti da Israele, basta guardare il codice a barre, se inizia con le cifre “729” allora proviene da Israele.

L’invito è quello di boicottare i prodotti alimentari israeliani, per combattere le politiche sioniste e razziste di Israele, supportare le famiglie contadine palestinesi e favorire il consumo di merce italiana.