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Torture

di Ignacio Ramonet - 19/01/2006

Fonte: Il Manifesto

 



«Noi non torturiamo», ha affermato George W. Bush. Era il 7 novembre scorso a Panama, ultima tappa di un viaggio di cinque giorni in America latina: una regione a lungo martirizzata da regimi dittatoriali sostenuti da Washington, che hanno praticato massicciamente le «sparizioni» dei sospettati e la tortura. Il presidente degli Stati uniti rispondeva alle incriminazioni formulate dal quotidiano Washington Post (1) contro i servizi di intelligence americani, accusati di rapimenti clandestini e torture praticate fuori dai confini degli Stati uniti, in prigioni segrete denominate «siti neri». Si può credere a Bush? La risposta è no. Non aveva forse affermato, per invadere l'Iraq, che il regime di Saddam Hissein era collegato alla rete di Al Qaida? E che Baghdad possedeva «armi di distruzione di massa»? Due bugie nel cui nome Washington ha scatenato una «guerra preventiva» che è costata la vita a decine di migliaia di persone (tra cui più di duemila militari americani).
Bush non è affidabile. E lo è meno ancora sulla questione della tortura.
Vari rapporti, elaborati da istituzioni al disopra di ogni sospetto, quali la Croce rossa internazionale, Amnesty International e Human Rights Watch
(2), confermano che dopo gli attentati dell'11 settembre le autorità americane non rispettano più, nella loro lotta contro il «terrorismo internazionale (3)», la Convenzione di Ginevra sul trattamento dei detenuti, e neppure quella delle Nazioni unite contro la tortura.
L'amministrazione Bush ha cambiato le regole del gioco quando, all'indomani dell'11 settembre 2001, ha deciso di istituire tribunali speciali e di creare, fuori dal territorio degli Stati uniti - e dunque fuori dalla portata di ogni giurisdizione americana - il campo di detenzione di Guantanamo, destinato ai «prigionieri dei campi di battaglia»: un modo per non parlare di «prigionieri di guerra» e per eludere la Convenzione di Ginevra.
La tesi neo-conservatrice del giurista Alberto Gonzales, già consigliere del presidente e ora nominato attorney general (ministro della giustizia) si può riassumere più o meno come segue: «L'America non può lasciarsi "indebolire" dal rispetto dei diritti umani». In due rapporti, consegnati nel febbraio e nell'agosto 2002, Gonzales ha riscritto il diritto in materia di tortura. Oggi, negli Stati uniti questo termine è riservato alle pratiche che «pregiudicano irrimediabilmente l'integrità fisica dei prigionieri». Prima di superare questa soglia, qualunque supplizio è legale.
Come meravigliarsi che dal dicembre 2002, nel campo di detenzione di Bagram, in Afghanistan, l'uso della tortura da parte dei militari americani sia divenuto ormai sistematico? I sospettati sono «incatenati nelle loro celle e pestati con frequenza», «gettati contro i muri o contro i tavoli», colpiti con «calci all'inguine e sulle gambe», costretti a «ingurgitare acqua fino al soffocamento». Pratiche che hanno provocato la morte di vari detenuti.
(4) Un'inchiesta, resa nota dal New York Times (5), ha confermato che le torture inflitte ai prigionieri dai militari americani sono ormai abituali. Il più delle volte le vittime dei supplizi non vengono neppure interrogate... Nell'inchiesta si riconosce inoltre che gli uomini del 519° battaglione dell'intelligence militare sono stati addestrati a Guantanamo, dove hanno appreso le tecniche utilizzate a Bagram... E che in seguito quello stesso battaglione ha avuto l'incarico di condurre interrogatori violenti nel carcere iracheno di Abu Ghraib.
Altre inchieste hanno rivelato che la Central Intelligence Agency (Cia) pratica in tutto il mondo - in Germania, in Italia, in Svezia e altrove - rapimenti di persone sospettate, per consegnarle a «paesi amici» quali l'Arabia saudita, la Giordania o l'Egitto, dove possono essere torturate senza limiti di sorta. Più recentemente, altri rapporti hanno reso noto che la Cia dispone di una vera e propria rete di carceri segrete nel mondo, definite da Amnesty International i «gulag del nostro tempo». Ve ne sarebbero anche in alcuni paesi dell'Unione europea (Polonia?) e dell'Europa orientale (Romania?).
Questa realtà, ripugnante sul piano giuridico come su quello etico, si rivela oltre tutto disastrosa per il prestigio morale degli americani nel mondo. Come è accaduto ad altre democrazie messe di fronte alla minaccia del terrorismo, per gli Stati uniti la questione della tortura sta diventando un dilemma politico centrale. Nel suo dibattito con il vicepresidente Richard Cheney, sostenitore della «linea dura», il senatore repubblicano John McCain ha ricordato che la grandezza della democrazia risiede nella sua capacità di proibirsi il ricorso a misure di un certo tipo. Perché vi sono sanzioni che un governo democratico non deve mai infliggere a un essere umano. Prima tra tutte la tortura.



note:


(1) Washington Post, 2 novembre 2005.

(2) Leggere «Morti sospette e torture nell'Afghanistan occupato», estratti dal rapporto di Human Rights Watch, Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2004. Leggere inoltre Stephen Grey, «Gli Stati uniti inventano il decentramento della tortura», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2005.

(3) O piuttosto contro il «terrorismo islamista»: difatti vi sono autentici terroristi internazionali che hanno agito in favore di Washington, come Luís Posada Carriles, colpevole della morte di decine di innocenti, tuttora protetti dalle autorità americane, le quali rifiutano la loro estradizione. Leggere, alle pagg.10 e 11, l'articolo di Leonard Weinglass.
(4) Le Monde, 16 marzo 2005.

(5) Cfr. International Herald Tribune, 21 maggio 2005