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Tortora, l’odissea di un uomo in un Paese smemorato

di Massimiliano Lenzi - 17/06/2008

Fonte: Secolo XIX

 

 

Venticinque anni fa, alle quattro e un quarto del mattino del 17 giugno, bussano alla porta di una camera dell’Hotel Plaza di Roma. Spalancato l’armadio, aperta una valigia, sequestrata un’agenda telefonica, guardato dentro ai calzini e spaccato un salvadanaio di ceramica a forma di porcellino (non si sa mai) si portano via un uomo stralunato, che ha appena avuto il tempo di vestirsi e di raccogliere pochi effetti personali in una sacca di tela rossa. (...) All’uomo vengono prese le impronte digitali e scattate le foto di rito: faccia e profilo. La faccia e il profilo di Enzo Tortora". Leggendo l’incipit del libro di Vittorio Pezzuto (genovese, ex radicale, giornalista sapido e, da alcune settimane, portavoce del ministro "antifannulloni" Renato Brunetta) "Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora" (Sperling & Kupfer, 521 pagine, 15 euro), si entra dritti negli incubi del Belpaese attraverso l’odissea giudiziaria di un uomo famoso, buttato giù dal ietto con poche parole: "Lei è in stato di arresto". "Come?". "C’è un ordine di arresto della Procura di Napoli". Era innocente.

 

E siccome gli incubi non vengono mai da soli, anche i giornali, la carta stampata, con le solite rispettabili eccezioni, inzuppò l’inchiostro nella notizia da prima pagina. Lo fotografarono con le manette ai polsi e scrissero di Tortora Enzo, brillante giornalista ed uomo colto, genio della televisione (tra i suoi programmi il più ricordato è Portobello, una galleria su un popolo di santi, poeti ed inventori ma fu anche un superbo giornalista sportivo) che era "un ligure spendaccione", "che aveva occhi abilmente lucidi" e chissà "quali debolezze", aggettivando come in un romanzo di Liala una delle più grandi ingiustizie italiane degli ultimi 30 anni. Nella lingua, nell’uso delle parole, spesso si ritrova l’indole di un popolo. Gli aggettivi non erano veri ma anche se lo fossero stati, ci chiediamo, che colpa è "essere spendaccioni"?

 

Leggendo nel libro di Pezzuto le cronache, i dettagli, i corsi del processo, le immagini si accavallano e, a tratti, sembra di essere finiti dentro un film di Dino Risi, una pellicola eterna sui pregiudizi nazionali. Perché "Applausi e sputi", in un Paese smemorato come l’Italia, ha tanti meriti ma uno su tutti gli altri: ricordare i fatti, le vite di un uomo; il prima (successo, programmi tv, onori) e il dopo (la galera ingiusta, poi l’assoluzione) che si concluderà con la sua morte. Pezzuto, da buon genovese, dopo aver presentato il libro in giro per l’Italia, non ha potuto fare a meno di prendersela con la sua città, la Superba, che per anni si è rifiutata di dedicare una via a Enzo Tortora ed oggi, che si è decisa, "gli ha dedicato un marciapiede, e talmente piccolo che la targa sarà lunga un decimo di tutto il tratto".

 

«Gli avrebbero dovuto intitolare» spiega al Secolo XIX «lo spiazzo antistante il carcere di Marassi, che non dà neppure problemi di cambio di numeri civici, con la targa: "Vittima della giustizia"». Forse Pezzuto ha ragione ma a noi la questione della toponomastica appare consolatoria.

 

Troppe ingiustizie, in Italia, si riparano con l’intitolazione del "Largo tal dei tali..", magari in periferia, lontano lontano, vicino ai viadotti. No, quello che conta è la memoria, la storia raccontata nel libro e quella telefonata alla figlia Silvia nel maledetto giorno di 25 anni fa: "Ricordati che papà è quello di sempre". E l’Italia? Chissà se è cambiata l’Italia...