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Israele: se la pace dovesse passare per Sheba'a

di Eugenio Roscini Vitali - 26/06/2008

 
 

Nel vicino Medio Oriente sembra che le cose stiano finalmente cambiando, ma quante sono le reali possibilità che questo avvenga veramente? Con la speranza di riguadagnare consensi e dare respiro ad un Paese che ormai è in guerra da più di 60 anni, il governo israeliano ha recentemente deciso di voltare pagina: mettere da parte l’uso delle armi ed imboccare la strada del dialogo e della diplomazia. Una scelta insolita, soprattutto se si pensa che a prenderla è stato il premier Ehud Olmert; lo stesso Olmert che ancora oggi appoggia la destra sionista nella spregiudicata espansione dei quartieri ebraici a Gerusalemme est, l’Olmert che una commissione pubblica d'inchiesta, quelle presieduta dal giudice Winograd, ha definito un utilizzatore spregiudicato dei media e un consapevole manipolatore di avvenimenti.

Pressato dai suoi stessi colleghi di governo e dai compagni di partito e messo alle corde dal recente scandalo che lo vede coinvolto in un nuovo caso di corruzione, Olmert è stato costretto ad allentare la morsa ed ha iniziato a parlare di pace. Per farlo ha scelto tre soggetti politici che ancora oggi possono essere considerati tra i principali nemici dello Stato ebraico: la Siria del presidente filo iraniano Bashar al-Assad, il movimento islamico palestinese di Hamas e gli sciiti libanesi di Hezbollah. Con il primo ministro palestinese, Ismail Haniyeh, Olmert ha accettato di sottoscrivere una tregua che pur non essendo definitiva restituisce alla Striscia di Gaza una parvenza di umana speranza.

Per quanto riguarda le Alture del Golan i negoziati con Damasco continuano: disponibilità a riconoscere la sovranità siriana e graduale restituzione della regione in cambio di una concessione di venticinque anni, tempo necessario per rimuovere gli insediamenti dei coloni ebrei. Con il leader sciita Sheik Hassan Nasrallah, Olmert sta invece trattando lo scambio dei prigionieri caduti nelle mani del nemico durante le due Guerre libanesi; ma sul fronte libanese rimane ancora aperta la questione riguardante la sovranità sulle fattorie di Sheba’a, la striscia di terra conquistata da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni e mai più restituita al Libano.

Sulle sponde del fiume Litani la consegna dei prigionieri sembra ormai prossima: restituzione di sette militanti Hezbollah in cambio di Eldad Regev ed Ehud Goldfasser, i due militari delle Forze di Difesa Israeliane caduti nelle mani del movimento sciita durante il conflitto del 2006. La notizia, diffusa da fonti vicine al negoziatore tedesco nominato dalle Nazioni Unite, precisa che l’accordo potrebbe diventare operativo in qualsiasi momento; intanto, in attesa che da Gerusalemme arrivi l’approvazione ufficiale del governo, le parti starebbero mettendo a punto gli ultimi particolari sulle procedure di scambio.

Secondo l’intelligence israeliano i due soldati catturati dalle milizie sciite sarebbero comunque già deceduti e quella di Hezbollah è solo una mossa per guadagnare tempo; ma quella del Mossad rimane per ora soltanto un’ipotesi che non viene assolutamente avvalorata da prove concrete. Hezi Shai, rapito nel 1982 durante la battaglia di Sultan Yacoub, venne rilasciato dai libanesi dopo tre anni di prigionia; per oltre 18 mesi non si ebbero sue notizie e in molti erano ormai certi della sua morte ma al suo ritorno a casa era in ottime condizioni.

Recentemente il ministro della Difesa israeliana, Ehud Barak, avrebbe rassicurato i parenti dei due soldati che lo scambio, per il quale Hezbollah ha chiesto il rilascio del terrorista libanese Samir Kuntar, sarebbe imminente. Gerusalemme avrebbe inoltre chiesto notizie fondate sul navigatore dell’aeronautica militare israeliana Ron Arad, ufficiale ai sistemi d’arma che dal 1986 risulta disperso. Alla fine del mese scorso la mediazione della Croce Rossa internazionale aveva permesso lo scambio di prigionieri in cambio della restituzione dei corpi di alcune vittime. Hezbollah aveva consegnato agli israeliani i resti di alcuni soldati caduti in territorio libanese nell'estate del 2006 e dall’analisi dei cadaveri, le cui membra risultano dilaniate dai razzi dei militanti sciiti, l'istituto di medicina legale Abu Kabir di Tel Aviv aveva identificato il corpo di cinque militari; in cambio Israele aveva liberato un cittadino libanese condannato a sei anni di reclusione per spionaggio.

Come spesso accade, quando in Medio Oriente si parla di pace c’è chi rema contro. Nei giorni scorsi l’emittente Abc News ha reso nota l’esistenza di un report intelligence secondo il quale è data per certa la presenza di cellule dormienti Hezbollah in Nord America, Europa ed Africa: i servizi segreti canadesi e americani sarebbero in possesso di informazioni relative ad un possibile attacco terroristico contro obiettivi ebraici in Canada tra cui le sinagoghe di Toronto e l’ambasciata israeliana a Ottawa; nel mirino degli estremisti ci sarebbero anche alcuni obiettivi in America Latina. Che la notizia sia montata ad arte lo conferma lo stesso presidente dell’agenzia di sicurezza “Globe Risk Holdings”, Alan Bell, che non ha esitato nel giudicare questo tipo di informazioni come infondate. Secondo l’esperto di terrorismo internazionale l’organizzazione politico militare libanese non avrebbe infatti alcun interesse nel compiere attacchi in Canada e tanto meno ricaverebbe qualche vantaggio nel vendicare l'assassinio dell'ex comandante operativo del gruppo, Imad Mughniyeh, avvenuto in Siria nel febbraio scorso e per il quale Israele ha sempre negato ogni responsabilità.

Anche se lo scambio di prigionieri può essere visto come un incoraggiante segnale di distensione, tra Hezbollah ed Israele rimane aperta la questione sulle fattorie di Sheba’a, striscia di terra posta alle pendici occidentali del monte Hermon e il punto d'incontro tra Siria, Libano e Israele. Conquistata con l’invasione del Libano meridionale del 6 giugno 1982, l’area agricola di Sheba’a è divenuta parte integrante della regione amministrativa del Golan ed è rimasta sotto il controllo dello Stato ebraico anche dopo lo sgombero delle truppe avvenuto nel 2000. Hezbollah, la Siria e il governo di Beirut la considerano area appartenente al Libano; Israele la reputa territorio siriano e pertanto sottoposto allo stesso status delle Alture del Golan, territorio siriano occupato dalle Forze di Difesa Israeliane durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Recentemente il leader del movimento sciita, Hassan Fadlallah, ha ribadito che la presenza israeliana nelle fattorie di Sheba’a è uno dei motivi per i quali la resistenza libanese deve continuare ad esistere ed ha accusato la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, di voler usare la sicurezza della popolazione ebraica di Sheba’a come pretesto per chiedere il disarmo del movimento.

Nella sua ultima visita in Medio Oriente il Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha ribadito che gli Stati Uniti puntano a risolvere definitivamente l’annosa questione riguardante la disputa sull’area agricola occupata dagli ebrei. La Rice ha confermato che la controversia deve essere chiusa secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1701 dell'11 agosto 2006, approvata dalle Nazioni Unite al termine dei 34 giorni di guerra che hanno visto di fronte le milizie Hezbollah e le Forze di Difesa Israeliane. Il piano pone Sheba’a sotto il controllo dell’Onu, almeno fino a quando non sarà stabilito chi avrà effettivamente diritto di sovranità sul territorio di confine ma le posizioni sono comunque estremamente divergenti: con l’appoggio di Damasco, Beirut insisteste sulla tesi che storicamente la striscia di terra appartiene al Libano; Israele la considera siriana e pertanto sottoposta ad uno status di annessione, così come avviene per le Alture del Golan; Hezbollah insiste sul fatto che le fattorie di Sheba’a sono all’interno dei confini libanesi e qui devono essere restituite al legittimo proprietario.

Posizioni contrastanti che passano comunque per la solita questione: costruire la pace significa anche rinunciare e a volte rinunciare vuol dire cambiare politica; ma un qualsiasi governo israeliano avrebbe realmente la forza politica per sradicare i coloni ebrei da Sheba’a o dalle Alture del Golan e sacrificare di conseguenza posizioni classicamente sioniste come l’espansione ebraica a Gerusalemme est o gli insediamenti in Cisgiordania?