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Il fascino della bandiera. dagli indigeni del Pacifico a Bossi

di Carlo Gambescia - 23/07/2008


Secondo certa vulgata chi profana, magari bruciandola, una bandiera nazionale, o al contrario la esibisce troppo, fino a sacralizzarla, peccherebbe di tribalismo. Un’accusa terribile. Che oggi ha quasi lo stesso peso che aveva un’imputazione di eresia per il chierico medievale. Infatti per l’intellettuale politicamente corretto, “il Progredito Uomo Occidentale” sarebbe tale proprio perché, sfoga “civilmente” la sua “fame” di simboli, solo acquistando abiti griffati.
Quel che però è preoccupante è che ogni comportamento che si discosti da questa impostazione etnocentrica, venga poi regolarmente demonizzato: dagli striscioni e vessilli esibiti dai tifosi di calcio alle bandiere fatte orgogliosamente sventolare, per opposte ragioni, da pacifisti e fondamentalisti islamici.
Il punto è che un fenomeno sociale, così ampio e profondo, come il simbolismo della bandiera - ma anche quello legato al valore simbolico dell “inno nazionale” per riagganciarci alle polemiche di questi ultimi giorni provocate da Bossi - non lo si spiega degradandolo a una specie di anello di congiunzione tra la scimmia e l’uomo, di cui è disdicevole parlare. E da relegare nel museo della preistoria umana.
Al contrario, un evento come ad esempio la diffusione delle bandiere della pace, in bella mostra su molte finestre, indica un fatto importante. Che nel “civile” Occidente, il presunto bisogno tribale di identificazione tra causa e bandiera è ancora piuttosto forte. E che paradossalmente gli stessi “civili” pacifisti, come li definiscono i media, che marciano sotto i vessilli arcobaleno, spesso se la prendono, tribalmente, bruciandola, con la bandiera degli Stati Uniti…
Come spiegare allora la persistenza di certi simbolismi? Per Pareto e Durkheim - due distinti signori che si sono inventati dal nulla la sociologia moderna - bandiera e rituali connessi, non sono fenomeni “tribali”, ma rinviano a un fondo animistico, ancora presente e attivo nell’uomo. Un “basso continuo” che non è primitivo, antico o moderno. Ma che consiste nell’ innata capacità umana di considerare tutte le cose animate da spiriti vitali. E di ritenere il principio o i principi che le incarnano come una specie di forza superiore.
Detta così la cosa può apparire complicata. Ma facciamo un esempio. Tra gli indigeni del Pacifico, come tra i cittadini statunitensi, un drappo di stoffa in cima a un bastone, indica psicologicamente lo stesso fenomeno: per i primi, è un simbolo per celebrare il compimento delle operazioni di piantagione di tuberi commestibili in una area sacra e di proprietà collettiva; per i secondi è un simbolo per celebrare, ad esempio il Quattro Luglio, il compimento di un processo di indipendenza nazionale, che ha come oggetto un’area altrettanto sacra e di proprietà collettiva: la nazione. Per i due popoli ogni offesa alla “bandiera” è un’offesa a quel che c’è di più sacro e inviolabile: un territorio condiviso, che incarna collettivamente - ecco il fondo animistico - un principio superiore di unità e solidarietà, dotato di una forza propria, rappresentata appunto dalla bandiera. Va da sé che sia gli indigeni del Pacifico che gli americani puniscono chiunque profani la “bandiera”,e ovviamente seguendo modalità differenti.
Ma la profanazione rappresenta il rovescio della medaglia: la consacrazione della propria bandiera non esclude, anzi spesso implica la profanazione di quella altrui. Sacralità e profanazione vanno di pari passo (solo quel che è ritenuto sacro può essere profanato, e non sempre c’è accordo sul valore dei rispettivi “principi superiori”…) . Come nel caso di certi pacifisti, che pur battendosi per abolire ogni atto di guerra, finiscono per bruciare le bandiere altrui: un gesto simbolico decisamente contrario all’etica pacifista. Ma inevitabile. Dal momento che la sacralizzazione di una causa con una bandiera, implica automaticamente anche il rischio “antropologico” della profanazione.
Per fortuna, non tutti i pacifisti e i popoli si comportano così. Ma la persistenza di certi comportamenti “profondi”, si pensi al gestaccio di Bossi contro l'inno d'Italia, spiega quanto sia difficile trasformare culturalmente l’uomo. Insomma, non è facile per nessuno, “progredito” o meno, rinunciare a levare in alto la propria bandiera, e qualche volta “abbassare quella dell’altro.
Il che paradossalmente, visto che vale per tutti, da Bossi agli indigeni del Pacifico, potrebbe renderci più tolleranti. O no?