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Sull'arresto di Radovan Karadzic

di John Laughland* - 23/07/2008



L’arresto di Radovan Karadzic arriva quasi esattamente sette anni dopo la prima apparizione di Slobodan Milosevic al Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia (TPIJ), all’Aja il 3 luglio 2001. La consegna di Milosevic fu, come ora quella di Karadzic, il risultato immediato di un cambio di governo a Belgrado: come l’arresto di Karadzic ha seguito a breve la formazione di un governo pro-europeo e pro-occidentale lo scorso 8 luglio, così quello di Milosevic nell’aprile 2001 fu la conseguenza della vittoria del Partito Democratico (il cui leader è adesso il Presidente della Serbia) alle elezioni parlamentari del dicembre 2000.

L’arresto dimostra che il potere politico si inquieta profondamente quando viene perseguito dal punto di vista penale: ovviamente, come con Milosevic, il fatto che i sostenitori di Karadzic abbiano perduto il potere a Belgrado ha causato ciò. Ma questa verità si applica anche al TPIJ. Alla fine di giugno, il TPIJ ha rilasciato Naser Oric, il comandante bosniaco musulmano di Srebrenica le cui forze usavano la copertura della zona di sicurezza dell’ONU per condurre nottetempo delle incursioni contro i circostanti paesi serbi, e che commisero numerose atrocità contro i civili. Il rilascio di Oric è giunto dopo il proscioglimento, in aprile, dell’ex Primo Ministro kosovaro e capo dell’UCK, Ramush Haradinaj, anche se il tribunale nel suo decreto ha sottolineato che diversi testimoni dell’accusa sono stati misteriosamente assassinati prima che potessero venire all’Aja per testimoniare.

Molti Serbi, quindi, saranno convinti che il TPIJ ha fondamentalmente un orientamento anti-serbo. Ma la maggioranza degli stessi è anche stata colpita, in maniera evidente, da un quindicennio di ostilità dell’Occidente in generale, tanto che hanno presumibilmente deciso che “se non puoi batterli, allora unisciti a loro”: questa è la ragione per cui i Serbi hanno votato per un Presidente pro-europeo a febbraio e per un governo pro-europeo in maggio. Essi, o comunque i loro leaders, hanno concluso che Karadzic dovesse essere sacrificato per un più grande interesse nazionale, che nella loro visione significa l’adesione all’Unione Europea ed alla NATO. L’inclusione della Serbia in queste strutture, che è adesso inevitabile, semplicemente completerà il progetto geopolitico occidentale nei Balcani.

Perciò, ammesso che il TPIJ sia anti-serbo, il punto chiave riguarda l’agenda politica dello stesso Tribunale, ossia la giustificazione della nuova dottrina occidentale di ingerenza militare e giudiziaria. Secondo questa dottrina, la forza militare può essere impiegata contro uno Stato quando il suo governo viola i diritti umani. I Serbi sono appunto il popolo riguardo al quale questa politica è stata testata.

Per quanto essa possa avere un grande fascino superficiale, dal momento che senza dubbio nelle guerre balcaniche sono state commesse atrocità, l’ipocrisia di questa politica risiede nel fatto che né la NATO né qualsiasi potenza occidentale hanno mai tentato di raccogliere un vero sostegno internazionale a suo favore, ad esempio con l’elaborazione di un trattato internazionale o con la riforma della carta ONU che attualmente proibisce tale ingerenza. Questa politica è stata semplicemente annunciata unilateralmente.

Nessun processo penale di un capo politico, nella storia, è mai sfociato in un proscioglimento, a dispetto del fatto che la tradizione risale al processo del Re di Inghilterra Carlo I nel 1649. Questo perché il perseguire un ex sovrano è un mezzo per dimostrare che un nuovo regime è al potere, e che il vecchio non era mai stato legittimo, in primo luogo. Nel caso di Karadzic, le cose non saranno differenti. Il TPIJ commette numerose violazioni dei migliori principi di procedura legale per ottenere le sue convinzioni, ed ha in particolare elaborato una teoria della responsabilità così larga che agli accusati viene in effetti richiesto di provare la propria innocenza contro la presunzione di colpevolezza. Anche se non esiste nessun prova che Karadzic ordinasse di commettere crimini di guerra, egli sarà perseguito sulla base del fatto che avrebbe potuto o dovuto sapere. Il TPIJ si comporterà così perché l’orientamento politico a monte del processo a Karadzic è che egli, come Presidente serbo bosniaco, era soltanto un criminale; che lo Stato che dirigeva non ha mai avuto alcuna legittimità; e che quindi l’intervento della NATO contro i Serbi di Bosnia nel 1995 rappresenta non un atto di aggressione alla luce del diritto internazionale ma piuttosto un atto giustificabile.

La logica testata nei Balcani nel 1995 e nel 1999 (quando la NATO attaccò la Jugoslavia per la questione del Kosovo) è stata implementata molto più drammaticamente quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiararono che essi soli avevano il diritto di imporre le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU all’Irak. Quella guerra – successivamente anche legittimata da un processo politico – ha finora consumato quasi un milione di vite e gettato un’intera regione in un caos apparentemente interminabile. E’ giunto il momento per il mondo di riflettere seriamente sul pericolo rappresentato dall’introduzione della legge penale nelle relazioni internazionali.


*Analista politico britannico, Direttore degli Studi all’Istituto per la Democrazia e la Cooperazione con sede a Parigi.
Il suo libro sul processo Milosevic, Travesty, è stato pubblicato da Pluto Press nel 2007.


Articolo originale pubblicato il 22 luglio 2008.

Traduzione di Federico Roberti