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America contro Russia

di Romolo Gobbi - 24/07/2008



L’Unione Sovietica, dopo 74 anni, cessò di esistere nel dicembre del 1991. Una grande e tragica epopea si concluse con una miserabile farsa architettata dagli USA per far sparire definitivamente “l’Impero del Male”, come era stato definito da Reagan.
L’8 dicembre del 1991, in una dacia presso Brest, in Bielorussia, si riunirono per firmare l’atto di morte dell’URSS sei squallidi ubriaconi: il presidente russo Eltzin, Leonid Kravcuk, presidente dell’Ucraina, Stanislav Šuškevic, presidente della Bielorussia, Gennadij Burbulis, Segretario di Stato di Eltzin, il Primo Ministro ucraino Vitold Fokin e il Primo Ministro bielorusso Vjaceslav Kebic. Questi magnifici sei non erano “in condizione di rendersi contro dell’enorme, tragica, serie di conseguenze che quel certificato di morte politica avrebbe trascinato con sé” (Giulietto Chiesa, Russia addio, Ed. Riuniti, 1997, pag. 88).
Eppure, questi ubriaconi firmarono il documento che decretava la fine dell’URSS: “Noi…costatiamo che l’Unione Sovietica, in quanto asserito dalla Legge internazionale e come realtà geopolitica, cessa di esistere” (G. Chiesa, ibidem).
Alla fine, inconsapevoli del danno provocato, alzarono ancora una volta i calici. Eltzin dovette essere portato via completamente ubriaco sulle spalle delle sue guardie del corpo.
Quanto gli americani abbiano avuto parte in questa farsa tragicomica non lo sappiamo, ma certamente, subito dopo questa decisione delle tre principali repubbliche slave piombarono nell’Ex Unione Sovietica centinaia di consiglieri americani, nonché preti di varie denominazioni, affaristi di tutti i tipi e le due massonerie americane.
Comunque, tra il 1993 e il 1996, il gruppo dirigente intorno ad Eltzin: “Fece il possibile per ottenere la piena protezione militare oltre che politica degli Stati Uniti; suggerirono addirittura all’amministrazione Clinton che l’estensione ad Est della NATO era desiderabile”. (Giulietto Chiesa, Guerini, 1999, pag. 46). Secondo Zbignew Brzezinski, la mossa degli ubriaconi venne presa sul serio dagli americani, infatti: “L’amministrazione Clinton … fu tormentata dai dubbi per altri due anni, mentre il Cremlino cambiò atteggiamento e divenne sempre più ostile verso … l’intenzione americana di allargare la NATO… E quando Washington decise, nel 1996, che questo era un obiettivo centrale della sua politica, intesa a creare una comunità euro-asiatica più ampia e più sicura, i russi si chiusero in una rigida opposizione (C.Z. Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, 1997, pagg. 138 – 9). Ma, nel frattempo, altre iniziative anti-russe erano state prese, così durante la Guerra di Bosnia l’amministrazione Clinton: “Chiuse un occhio sia sulle forniture di armi iraniane, sia sui finanziamenti sauditi ai bosniaci per l’acquisto di armi, e, nel 1994, cessò di applicare l’embargo” (Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, 1997, pag. 432). Il comportamento americano a favore dei bosniaci era oggettivamente anti-serbo e contro la Russia, che appoggiava la Serbia. Huntington, nell’applicare il suo schema dello “scontro delle civiltà”, si rese conto che l’appoggio ai bosniaci era contrario agli interessi occidentali; così, per giustificare il comportamento degli americani si lanciò in una sparata ideologica: “In qualsiasi conflitto interno, gli americani tendono ad operare una netta separazione fra forze del bene e forze del male e a schierarsi con le prime. Le atrocità perpetrate dai serbi nelle prime fasi del conflitto, finirono per l’applicare loro addosso l’immagine dei ‘cattivi’ che uccidono innocenti…” (ibidem).
Anche le altre parti facevano le stesse cose, ma i Serbi erano ortodossi e amici dei Russi, che li difendevano, in un conflitto che voleva estendere la NATO alla Croazia ed alla Slovenia cattoliche.
Un’ulteriore provocazione alla Russia fu l’intervento della NATO contro la Serbia in difesa dei ribelli del Kosovo: “Il 24 marzo 1999, le forze aeree della NATO, composte da 1100 velivoli, appartenenti a 14 nazioni, decollati da 47 basi, anche italiane, cominciarono una campagna di bombardamenti contro la Serbia, il Kosovo e il Montenegro, che durò ben 79 giorni “ (Romolo Gobbi, Guerra contro l’Europa, Ed. Europa, 2000, pag. 98). Secondo uno studioso americano: “In quest’ultimo intervento, la NATO ha lanciato attacchi aerei contro uno Stato sovrano, che non aveva aggredito né minacciato di aggredire alcun membro dell’Alleanza, e nemmeno uno stato vicino. In altre parole, la NATO ha affermato il diritto di bombardare un paese perché esso rifiuta di accettare la soluzione imposta dall’Alleanza di una controversia internazionale” (T.G. Carpenter, in Limes, 4 – 99, pag. 144).
Gli americani hanno recentemente riconosciuto la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, che però è stata riconosciuta solo da una quarantina di stati in tutto il mondo, e non dalla Russia, né dalla Cina e neppure dalla Spagna, dalla Romania e dalla Grecia. Il rifiuto di approvare l’indipendenza del Kosovo è determinato dalla volontà di non costituire un precedente per altre regioni appartenenti ad uno stato dal quale vogliono staccarsi, contro tutti i principi del diritto internazionale.
La Russia, inoltre, ammonì che anche le regioni della Georgia, l’Abkhazia e l’Ossezia del sud, avrebbero potuto rilanciare le loro pretese di indipendenza, riprendendo un conflitto cominciato ancor prima della dissoluzione dell’URSS.
La Georgia, l’ex patria di Stalin, è diventata fio-americana, è piena di consiglieri militari americani, e vorrebbe entrare a far parte della NATO. A questo punto, gli indipendentisti dell’Ossezia, si sono messi in agitazione, indicendo manifestazioni anti-georgiane, durante le quali ci sono stati tre morti. Gli Abkazi, a loro volta, sono in agitazione per l’avanzamento delle truppe georgiane ai confini dell’Abkhazia. Il conflitto che potrebbe nascere, in questo caso, coinvolgerebbe anche il piccolo contingente russo “schierato a fare da interposizione in base agli accordi di tregua (mai sottoscritti da Tiblisi, ma accettati implicitamente) del 1994. Di fatto, nelle due regioni secessioniste, ex regioni e repubbliche autonome della Georgia socialista, è in corso la mobilitazione generale” (G. Chiesa, La Stampa, 5 luglio 2008, “Il Kosovo caucasico sta per esplodere”, pag 12).
Nel Caucaso, altre ferite, aperte al momento della dissoluzione dell’URSS, potrebbero riaprirsi, come in Inguscezia, Cecenia e Daghestan, anche in Ucraina, che aspira anch’essa alla NATO, potrebbe nascere un conflitto con la Crimea, che aveva già in passato dichiarato la propria indipendenza, con implicazioni gravissime, perché proprio in Crimea esistono le basi della marina militare russa sul Mar nero.
Tutti questi focolai d’incendio probabilmente non porteranno ad uno scontro tra la Russia e gli USA, ma certamente i rapporti tra le due potenze peggioreranno ulteriormente, a tutto svantaggio dell’Europa.