Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La scoperta del primo Vangelo?

La scoperta del primo Vangelo?

di Lawrence Sudbury - 01/08/2008

 

 

Se il mondo è venuto a conoscenza dell’esistenza di quello che molti considerano il quinto Vangelo, se non addirittura il primo [1], è grazie alla scoperta fortuita, nel 1945, di una serie di scritti, contenuti in XII papiri, nascosti in una grotta nei pressi della località egiziana un tempo nota come Khenoboskion e ora conosciuta come Nag Hammadi.

La storia del ritrovamento e le vicende successive dei papiri costituiscono una straordinaria avventura, che ci è stata resa nota solo 30 anni dopo il suo evolversi, quando il protagonista, un contadino di nome Mohammed Ali Samman, di cui per molti anni non era stata resa nota neppure l’identità, ha acconsentito a  raccontare la propria storia ad alcuni ricercatori e che vale la pena di essere brevemente ricostruita.

Robert H. Eisenman, Michael Wise, I manoscritti segreti di QumranPartito alla ricerca di “sabakh”, una specie di concime naturale presente sulle montagne nei pressi del suo villaggio, Mohammed Ali Samman entrò casualmente, sul Jabal al-Tàrif, in uno dei 150 anfratti naturali (successivamente scavati ancora, dipinte e usate come siti funerari al tempo della VI dinastia) che costellano il monte e, al suo interno, scoprì una giara in terra rossa alta circa un metro. Inizialmente, temendo che, aprendola, avrebbe potuto liberare degli Jinn (spiriti maligni), il contadino non si avvicinò neppure, ma poi, pensando che forse la giara avrebbe potuto contenere dell’oro o delle ricchezze,  cedette alla curiosità e ruppe il contenitore. Al suo interno trovò solo  una brocca  contenente circa una dozzina di libri rilegati in astucci di cuoio bruno. Deluso, fu tentato di abbandonare il tutto, ma poi decise di portare gli astucci a casa propria, ad Al Quasr.

Completamente analfabeta, Samman non aveva la minima idea del valore della sua scoperta e pensò di utilizzare i papiri per alimentare il forno domestico: successivamente, infatti, ammetterà che alcune pagine andarono perdute proprio perché bruciate da sua madre, Umm-Ahmad, che le utilizzava per alimentare il fuoco, o perché gettate via.

Poco dopo, sempre secondo la sua testimonianza, Mohammed Ali Samman venne coinvolto in una sorta di faida: suo padre venne ucciso e, alcune settimane più tardi, lui e i suoi fratelli giustiziarono Ahmed Ismail, il colpevole, di passaggio nella regione.

Temendo la reazione della polizia, e avendo compreso che, in una eventuale perquisizione di casa sua, la presenza di rotoli di papiro di cui non era legittimo possessore avrebbero potuto peggiorare ulteriormente la sua posizione, Samman affidò parte del “tesoro” al prete copto del villaggio, Al-Qummus Basiliyus Abd el Masih.

Questi, immediatamente colpito dai manoscritti, decise di farli esaminare dal maestro di storia locale, Raghib e, a tale scopo, gli mandò uno dei rotoli.

Quest’ultimo, ne intuì l’inestimabile valore e, tramite un contrabbandiere, tale Bahij Ali, del villaggio di Samman, li fece pervenire al Cairo, dove furono venduti a un antiquario, Phocion Tano, che li mise immediatamente sul mercato nero.

Corpus hermeticum. Con testo greco, latino e coptoIn questo modo, i papiri passarono parzialmente nelle mani di una collezionista italiana, tale signorina Dattari, che abitava nella capitale egiziana, ma la compravendita attirò l’attenzione del governo egiziano, che ne reclamò il possesso, impedendo in tal modo che venissero separati e portati all’estero. Nel 1952 i manoscritti vennero dichiarati tesoro nazionale dal Ministero della Pubblica Istruzione e la collezione Dattari divenne proprietà del Museo Copto del Cairo.

Qui essi vennero depositati e solo alcuni anni dopo vennero fatti conoscere agli studiosi, ancora una volta per circostanze fortuite.

Uno dei codici, attualmente denominato Codice Jung, sfuggì, infatti, alle autorità egiziane, essendo già stato venduto all’antiquario Albert Eid, che, rifiutatosi di consegnarlo alle autorità locali, riuscì a trasportarlo illegalmente negli Stati Uniti. Qui, però, esso rimase invenduto perché considerato troppo “pericoloso” (la polizia egiziana e l’Interpol erano sulle sue tracce), così venne depositato in una cassaforte in Belgio, dove rimase alcuni anni. Alla morte dell’antiquario, la moglie tentò di nuovo di vendere illegalmente il manoscritto ad alcuni collezionisti privati.

Uno storico delle religioni olandese, Gilles Quispel, avendo sentito parlare di questo misterioso testo, decise di acquistarlo tramite la Fondazione Jung di Zurigo e, dopo avere esaminato il codice isolato, si rese conto che alcune pagine risultavano mancanti e partì per l’Egitto per ritrovarle. Venuto a conoscenza della presenza di codici analoghi presso il Museo Copto, nella primavera del 1955 vi si recò per fotografare i testi in questione e si rese conto di essere in possesso di uno dei 52 manoscritti scoperti dieci anni prima a Nag Hammadi.  Solo da questo momento in poi lo studio dell’insieme dei papiri, già iniziato dagli  esperti museali, sotto la guida dell’egittologo H.C. Puech, ricevette un grande impulso e la fama dei Codici di Nag Hammadi cominciò a diffondersi.

Purtroppo, però, i testi definitivi tardarono molto ad essere pubblicati: di volta in volta piccoli stralci o intere parti vennero editate senza alcuna pretesa critico-filologica e si dovette attendere fino al 1972 per l’inizio di una pubblicazione ufficiale, la The Facsimile Edition of the Nag Hammadi Codices, Published under the Auspices of the Department of Antiquites of the Arab Republic of Egypt in Conjunction with the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization il cui decimo e ultimo volume venne stampato solo nel 1977[2].

Solo da questa data in poi i Codici di Nag Hammadi divennero patrimonio di tutta la comunità scientifica.

Si è parlato di valore culturale inestimabile dei papiri. Perché? Cosa contenevano i manoscritti ritrovati da  Mohammed Ali Samman nella grotta del Jabal al-Tàrif?

Sostanzialmente, i 13 codici contenevano una serie impressionante di testi in copto, in gran parte tradotti dal greco, databili intorno al III - IV secolo  ma basati su scritti molto più antichi, alcuni dei quali direttamente del I secolo.

I vangeli gnostici. Vangeli di Tomaso, Maria, Verità, FilippoNon tutti erano scritti religiosi, essendo presenti anche tre opere appartenenti al Corpus Hermeticum ed una parziale traduzione della Repubblica di Platone, ma la maggior parte delle 52 opere complessivamente rinvenibili era rappresentata da testi gnostici composti in Siria, Palestina e Mesopotamia.

Questo elemento ha fatto ipotizzare che, semplicemente, nel momento in cui la Gnosi era stata dichiarata eretica dal Concilio di Nicea del 325, qualcuno abbia voluto disfarsi di libri potenzialmente molto pericolosi e compromettenti e, non avendo il coraggio di distruggerli, li abbia nascosti nella grotta in cui secoli dopo sono stati ritrovati.

Ecco come Elaine Pagels, una delle maggiori studiose in materia, ricostruisce una possibile sequenza degli avvenimenti:

«La loro soppressione come documenti banditi, ed il loro seppellimento sulla collina di Nag Hammadi, erano parte di una contesa critica per la formazione della prima Cristianità.  I testi di Nag Hammadi, ed altri come questi, che circolavano all’inizio dell’era Cristiana, furono tacciati di eresia dai Cristiani ortodossi alla metà del II secolo. Sappiamo da sempre che molti dei primi seguaci di Cristo furono condannati da altri Cristiani come eretici, ma tutto ciò che conosciamo sul loro conto è ciò che ci hanno trasmesso i loro oppositori. Il Vescovo Ireneo, che controllava la chiesa di Lione, nel 180 circa, scrisse cinque volumi dal titolo “Smascheramento e confutazione della falsa gnosi” (pervenuto come Adversus Haereses), che inizia con la premessa di “illustrare le idee di coloro che stanno ora insegnando l’eresia… per mostrare quanto assurde e distanti dalla verità siano le loro affermazioni… e fare questo affinché… si possano avvisare tutti i nostri congiunti di evitare un tale abisso di follie e blasfemia contro Cristo”. […] Questa campagna contro l’eresia contemplò l’involontaria ammissione del suo potere persuasivo; perfino i vescovi ne avevano timore. Per il tempo della conversione dell’Imperatore Costantino, quando la Cristianità divenne una religione approvata ufficialmente, nel IV secolo, i vescovi Cristiani, vittime in precedenza del potere militare, ora lo comandavano. Il possesso di libri denunciati come eretici era considerato un’offesa criminale. Copie di tali volumi venivano bruciate e distrutte. Ma nell’Alto Egitto, qualcuno, probabilmente un monaco del vicino monastero di San Pacomio, prese i libri banditi e li preservò dalla distruzione - nella giara in cui rimasero sepolti per circa 1,600 anni.»

Così stando le cose, appare piuttosto evidente che la biblioteca personale (o forse cenobitica) di chi nascose i testi doveva essere piuttosto fornita rispetto alla produzione e circolazione libraria coeva. L’elenco complessivo dei ritrovamenti (di seguito riportato in ordine di studio e pubblicazione), infatti, comprende praticamente la maggior quantità di scritti religiosi mai pervenutaci:

Codice I                (Codice Jung)

1. Preghiera dell’apostolo Paolo

2. Libro di Giocamo

3. Vangelo della Verità

4. Trattato sulla Resurrezione

5. Trattato tripartito

Codice II

6. Libro di Giovanni

7. Vangelo di Tommaso

8. Vangelo di Filippo

9. Ipostasi degli Arconti

10. Sinfonia dell’eresia 40 del Panarion di Epifanio

11. Esegesi dell’anima

12. Libro di Tommaso l’Atleta

Codice III

13. Libro di Giovanni

14. Vangelo degli Egiziani

15. Epistola di Eugnosto

16. Sophia di Gesù

17. Dialogo del Redentore

Codice IV

18. Libro di Giovanni

19. Vangelo degli Egiziani

Codice V

20. Epistola di Eugnosto

21. Apocalisse di Paolo

22. Apocalisse di Giacomo

23. Apocalisse di Giacomo

24. Apocalisse di Adamo

32. Frammento dell’Asclepio

Codice VII

33. Parafrasi di Shem

34. Secondo Trattato del Grande Seth

Codice VI

25. Atti di Pietro e dei dodici apostoli

26. Il Tuono, perfetta mente

27. Authentikos Logos

28. Aisthesis dianoia noèma

29. Passaggio parafrasato della Repubblica di Platone

30. Discorsi sull’Ogdoade e sull’Enneade

31. Preghiera di Ringraziamento

35. Apocalisse di Pietro

36. Insegnamenti di Silvano

37. Le tre steli di Seth

Codice VIII

38. Zostrianos

39. Epistola di Pietro a Filippo

Codice IX

40. Melchisedek

41. Il pensiero di Norea

42. La testimonianza della Verità

Codice X

43. Marsanes

Codice XI

44. Interpretazione della conoscenza

45. Esposti Valentiniani

46. Rivelazioni ricevute dall’Allogeno

47. Hypsiphrone

Codice XII

48. Sentenze di Sesto

49. Frammento centrale del Vangelo della Verità

50. Frammenti non identificati

Codice XIII

51. Protennoia trimorfica

52. Frammento del 5° trattato del Codice II

Tra tutti questi scritti, davvero fondamentali per la comprensione del pensiero cristiano “eterodosso” dei primi secoli, la sola opera completa in ogni sua parte è quella che viene unanimemente considerata la più interessante: il Vangelo di Didimo Giuda Tommaso.

Richard Valantasis, Il Vangelo di Tommaso. Versione copta integrale commentataSi tratta di un testo, definito apocrifo dalla Chiesa, di epoca certamente neo-testamentaria, rilegato a codice nel tipico stile copto e scritto per una scuola proto-cristiana che si definisce fondata da Tommaso apostolo.

A differenza dei quattro Vangeli canonici, quello di Tommaso non è una narrazione della vita di Gesù, inserita in un contesto filosofico, quanto piuttosto una raccolta di “logia” o detti, in alcuni casi con brevi elementi dialogici, attribuiti al Cristo.

Molti di tali logia (nel complesso ve ne sono 114), riportano elementi ritrovabili anche nei Vangeli canonici, ma alcuni episodi e alcune frasi erano completamente sconosciuti fino alla scoperta del Vangelo tommasino.

In ogni caso, secondo il parere pressoché unanime di tutti gli studiosi, nonostante tutte le maggiori confessioni cristiane rigettino il testo come non autoritativo, si contano sulle dita di una mano le sentenze chiaramente spurie e incompatibili con il messaggio evangelico così come da noi conosciuto[3].

Nonostante il rifiuto ecclesiastico, inoltre, il Vangelo di Tommaso è considerato da numerosi filologi come la più importante fonte di studio per comprendere la formazione dei Vangeli sinottici a partire dalla cosiddetta “Fonte Q“, mai ritrovata ma ritenuta praticamente certa dalla maggior parte degli studiosi[4], che, con ogni probabilità, doveva essere una sorta di raccolta di logia, né più ne meno che quella di Tommaso.

Anche per questa ragione numerosi filologi e teologi ritengono che il Vangelo di Tommaso sia semplicemente una redazione indipendente dal Nuovo Testamento e che, di conseguenza, non avendo subito alcun grado di rielaborazione teologico-paolina, sia da considerarsi una della più autorevoli guide verso la conoscenza del Gesù storico[5].

Per altro, i criteri filologici classici di semplicità formale e di attestazione multipla di questi scritto, come attesta molto chiaramente Robert Funk[6], proverebbero abbastanza inequivocabilmente sia la verità dei logia come parola di Cristo (attestazione multipla), sia la preminenza cronologica del Vangelo di Tommaso sui Vangeli canonici.

Perché allora le Chiese cristiane hanno sempre rifiutato di prendere anche solo in considerazione l’ipotesi di un quinto Vangelo?

Guy G. Stroumsa, La sapienza nascostaProbabilmente perché alcuni studiosi hanno da subito catalogato questo scritto come gnostico, anche sulla base della presenza di numerosi testi legati alla Gnosi tra quelli ritrovati a Nag Hammadi.

Ma si tratta di una classificazione corretta? Quello che troviamo nei logia è materiale legato alla tradizione della Gnosi o semplicemente è materiale che completa le nostre conoscenze derivate dai Sinottici?

Il Vangelo di Tommaso dichiara fondamentalmente che il Regno di Dio esisterebbe sulla terra già oggi se le persone “aprissero gli occhi”: c’è una luce divina in noi che potrebbe permetterci di vedere il Regno ovunque intorno a noi, perchè il mondo è “immagine di Dio” fin dalla creazione. L’essere umano non è solo l’uomo caduto con Adamo, ma è anche colui che riflette il proprio creatore, colui che deve ricercare la via del ritorno alla situazione edenica già sulla terra. Cosa ha a che fare tutto ciò con la Gnosi? E’ vero che tale dottrina religioso-filosofica proclama la necessità di una conoscenza semi-intuitiva dei misteri dell’universo, ma è anche vero che tale conoscenza, così come già Ireneo di Lione ci descrive i precetti gnostici nel 185 d.C., è ottenibile solo tramite formule misteriche ben precise e la credenza in un sistema di stampo demiurgico: di entrambi questi elementi non vi è alcuna traccia nei logia, se non in una percentuale di essi calcolata intorno all’8% e classificata normalmente come evidentemente spuria[7].

Allora, perché non possiamo pensare che un pastore egiziano abbia trovato, poco più di 70 anni fa quello che potremmo definire non il “quinto” ma il “primo Vangelo”?


[1] ) Cfr. , ad esempio, M.Pincherle, Il Quinto Vangelo, Cesena, Macro, 1998, passim

[2] Cfr. L.Moraldi (a cura di), I vangeli gnostici, Milano, Adelphi, 1984, pgg. XIV-XV

[3] ) A.Armstrong, Thomas,the Lost Evangelist, Ehrdeman, 2004, p.21

[4] ) B. Ehrman. The Lost Christianities: The Battles for Scripture and the Faiths We Never Knew. Oxford University Press, 2003, passim

[5] ) Cfr. H. Koester, Ancient Christian Gospels, Trinity Press International, 1990, passim e R.W.Funk e R.W. Hoover, The Five Gospels: What Did Jesus Really Say? The Search for the Authentic Words of Jesus, Polebridge Press, 1993, passim

[6] ) R. Funk, citato, pgg. 61 ss.

[7] ) Cfr. B.Evans, Is the Gospel of Thomas a Gnostic writing?, Rushmore Publishing, 1999, pgg. 137 ss.