Si rafforza la presenza della flotta americana, col pretesto degli aiuti umanitari. Evitato il confronto diretto con i russi nel porto di Poti, i marines puntano a ricostruire una presenza stabilie e solida in territorio georgiano
Il cacciatorpediniere lanciamissili McFaul, arrivato domenica scorsa da Creta nel porto georgiano di Batumi, ha terminato lo scarico di 34 tonnellate di «aiuti umanitari» (kit igienici, bottiglie d'acqua minerale e altri generi «donati dalla UsAid»), nel quadro dell'operazione diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa di stanza a Napoli. Dopo però il McFaul non è rientrato a Creta per imbarcare altri «aiuti», ma è rimasto nel Mar Nero: lo ha comunicato ieri da Napoli il comandante Scott Miller, portavoce della Sesta flotta. Lo stesso farà il guardacoste Dallas, che però è stato dirottato dal porto di Poti, dove avrebbe dovuto arrivare ieri, a quello di Batumi. E' prevedibile quindi che anche la Mount Whitney, la nave ammiraglia della Sesta flotta che entro il mese dovrebbe partire per la Georgia da Gaeta, resterà nel Mar Nero dopo aver scaricato gli «aiuti umanitari».
In tal modo gli Stati uniti potranno disporre nel Mar Nero, a ridosso del territorio russo, dell'unità navale dotata del più sofisticato sistema del mondo di comunicazioni e intelligence. Le navi da guerra Usa e Nato presenti nel Mar Nero sono attualmente 10 e dovrebbero tra breve salire a 18. Si calcola che quelle attuali abbiano a bordo oltre 100 missili da crociera Tomahawk, metà dei quali imbarcati sul McFaul, che possono essere armati di testate sia convenzionali che nucleari. «Per ragioni di sicurezza» la U.S. Navy non specifica se le navi trasportano armi nucleari.
«Lo spiegamento navale Nato nel Mar Nero ci preoccupa», ha avvertito ieri il generale Anatolij Nogovitsyn, vicecapo dello stato maggiore russo, definendo «diabolico» il piano di trasportare in Georgia aiuti con navi da guerra. Le reazioni russe non sono però solo verbali. L'incrociatore lanciamissili Moskva, nave ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, è nuovamente salpata dalla base di Sevastopol in Ucraina, posizionandosi di fronte a Sukhumi, capoluogo dell'Abkhazia, il cui territorio dista poche decine di chilometri del porto georgiano di Poti (probabilmente per questa ragione, e per la presenza di check-point russi dentro e intorno al porto stesso, è stato deciso di far approdare il guardacoste Dallas non a Poti ma più a sud, a Batumi, dove invece i russi non sono presenti). Secondo quanto riportato dall'agenzia Reuters, il Moskva dovrebbe anche compiere in mare aperto un'esercitazione con missili da crociera (armabili di testate sia convenzionali che nucleari) e un test di comunicazioni.
La marina Usa sta però muovendo anche la sua aviazione. Ufficialmente per l'invio di «aiuti umanitari» in Georgia è stata attivata la base aeronavale di Sigonella. Il primo aereo è giunto a destinazione con 2.200 kit igienici, contenenti pettini, rasoi, spazzolini, dentifrici, salviette detergenti e (cosa più importante) carta igienica. Si occupa della spedizione il Fleet Logistic Support Squadron 46, trasferito tempestivamente tre settimane fa a Sigonella dalla base aeronavale di Marietta negli Usa. La stessa unità provvede all'invio in Georgia, con un ponte aereo dall'aeroporto di Pisa, degli «aiuti umanitari» provenienti da Camp Darby.
E, a fianco della marina, è sceso in campo anche il corpo dei marines in Europa, che ha inviato in Georgia 8.000 brande. In un comunicato emesso ieri, specifica che il materiale proviene da un deposito «preposizionato», contenente armamenti e altro materiale militare, situato in sei caverne nella Norvegia centrale. Terminata la guerra fredda, il deposito non è stato smantellato, ma è rimasto in piena funzione per rifornire anche altri comandi combattenti, in particolare «per le operazioni di guerra globale al terrorismo, condotte in Iraq e Afghanistan, e per situazioni come quella della Georgia». Niente di più facile, quindi, che dal deposito dei marines in Norvegia, da Camp Darby, da Gaeta e da Sigonella partano per la Georgia non solo brande e rotoli di carta igienica, ma anche armi per l'esercito georgiano, come ha detto di temere lo stesso presidente russo Medvedev. Nella sua visita al ministero della difesa a Tbilisi, il generale Bantz J. Craddock, capo del Comando europeo degli Stati uniti, ha infatti dichiarato che gli Stati uniti sono pronti a fornire ancora assistenza «per l'ulteriore sviluppo e modernizzazione delle forze armate georgiane».
E' dal 1997 che la Georgia riceve aiuti militari statunitensi. Soprattutto attraverso il Georgia Train and Equip Program, iniziato nel 2002, il Pentagono ha trasformato le forze armate georgiane in un esercito di fatto al proprio comando. Un contingente di 2mila uomini delle forze speciali georgiane è stato inviato sotto comando Usa a combattere in Iraq e un altro in Afghanistan. La prova generale è stata effettuata con la Immediate Response 2008, l'esercitazione cui hanno partecipato truppe di Stati uniti, Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Armenia, poco prima dell'attacco georgiano all'Ossezia del sud. Non è quindi credibile che l'attacco sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà di Washington. E' stata un'azione chiaramente orchestrata per mettere ancora una volta la Russia di fronte al fatto compiuto o, in caso di forte reazione russa (come è avvenuto), per aprire una crisi che permetta a Usa e Nato di conquistare posizioni ancora più a est nella corsa all'oro nero del Caspio.
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