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Si possono interpretare in modo differente tempi e modi del riconoscimento russo delle ex-regioni georgiane ma una cosa è chiara: esso segna la fine della pretesa USA di porsi quale arbitro di ultima istanza negli affari eurasiatici e dunque, ipso facto, del mondo unipolare nato con la scomparsa dell’URSS. Dopo 15 anni di febbrile attivismo statunitense volto a costruire attorno a Mosca un cordone sanitario atto ad imbrigliarne le potenzialità geopolitiche verso le regioni confinanti, la Georgia, teatro a fine 2003 di una “rivoluzione colorata” che doveva farne la punta di lancia, si è rivelata al contrario l’anello debole del dispositivo di accerchiamento anglo-americano. La gestione dei flussi d’energia provenienti dal Caspio ha avuto un ruolo chiave nella costruzione di questo meccanismo, dal quale deriva anche l’importanza che il fattore energetico ha assunto nell’azione internazionale russa. Oltre a segnalare che non verranno tollerate ulteriori provocazioni, l’esibizione di forza russa in atto nella repubblica caucasica mira a incrinare la spina dorsale del progetto angloamericano, le infrastrutture energetiche costruite a collegamento del sistema dei “tre mari”: Caspio, Nero e Mediterraneo. La principale di esse, l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che attraversa la Georgia verso la Turchia ed Israele, è un opera ciclopica, costata un’enormità e realizzata nonostante fosse più che dubbia dal punto di vista del ritorno economico. Il BTC è in primo luogo un oggetto militare, i suoi tubi scorrono attraverso numerose zone di conflitto, la loro difesa è destinata a servire da motivo dell’estensione della NATO al Caucaso e da qui verso l’Asia centrale. Ci si può dunque attendere un serrato e prolungato braccio di ferro, un confronto le cui onde si riverbereranno su tutti gli Stati fra l’Atlantico e il Pacifico, оggi posti di fronte all’esigenza di un riposizionamento diplomatico nei confronti dei due contendenti.
Scelte difficili in particolare per la Cina, profondamente inquieta innanzi all’esplosione delle questioni di separatismo ed autodeterminazione, nonché disturbata dal clima di confronto fra i partner russi ed americani. La scommessa di Pechino, abituata a muoversi sui tempi lunghi della storia ed agevolata dal non avere la presenza della NATO ai propri confini, era di attendere che la potenza USA si esaurisse di per sé, idealmente nel quadro di un confronto prolungato con la Russia che distraesse quest’ultima dal suo fianco asiatico. Nell’escalation in corso, la Cina, pur tentata di defilarsi, è troppo affamata d’energia per non appoggiare la posizione di Mosca – come de facto espresso da Hu Hintau all’ultimo vertice dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (OCS) pur evitando di darne risalto pubblicamente. Tanto più che, se gli USA riuscissero (come si propone la missione di Cheney in Europa) a far emergere una nuova cortina di ferro fra Russia ed Europa, il tutto andrà a netto vantaggio degli interessi cinesi che si assicureranno risorse inizialmente destinate a quest’ultima.
Tranciando il nodo di Gordio della situazione caucasica, Mosca a riaffermato il suo pieno controllo sul teatro centrasiatico e sugli idrocarburi in esso presenti. Le cinque ex-repubbliche sovietiche della regione sono oggi i soggetti nella situazione più difficile. Dall’alba dell’indipendenza i regimi locali hanno cercato di seguire una linea di “multivettorialità”, equivalente a flirtare con tutte le potenze interessate alla regione per ricavarne il massimo vantaggio. Ora sono costretti a prendere una posizione definita e la scelta obbligata è quella russa. Durante l’estate, Gazprom ha concluso una nuova serie di accordi energetici con Turkmenistan e Kazakistan. Indicativa la posizione di quest’ultimo, più che mai allineato a quella di Mosca, nonostante Astana sia, oltre che il maggiore produttore regionale d’energia (i cui proventi aveva in parte investito in Georgia!), il principale target della diplomazia anglo-americana per il Centro Asia. Saldi nel loro controllo della carta energetica, per completare la riaffermazione nello spazio post-sovietico, i russi devono ora cercare di tradurre l’intesa centrasiatica in termini militari. Un test decisivo avrà già luogo questa settimana, al vertice dei ministri della Difesa dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva della CSI (OTSC, formata da Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, oltre ad Armenia e Bielorussia). In caso d’esito positivo, la Russia può trarre le risorse aggiuntive per chiudere definitivamente il corridoio militare che la NATO si è sforzata di costruire attraverso il mar Nero.
Più a sud, l’Iran appare quale il principale potenziale vincitore della nuova congiuntura. Teheran diviene oggetto di rinnovate attenzioni da parte russa, che non mancherà di capitalizzare in termini d’influenza internazionale (probabile la sua ammissione all’OCS). In caso d’accentuazione del confronto militare, nelle condizioni di sovra-estensione della macchina bellica statunitense, sinergie russo-iraniane possono creare seri problemi a quest’ultima sia in termini d’accesso al Golfo Persico che di controllo della situazione in Afghanistan. A termine però, l’Iran sarà comunque tentato di sfruttare la propria posizione di unica alternativa alla stretta russa sui flussi d’energia verso occidente, ma per questodovrà trovare un nuovo modus vivendi con gli interessi turchi, anch’essi investiti in pieno dagli sviluppi degli ultimi giorni.
La partita che il tandem Medvedev-Putin ha aperto con la mossa del 26 agosto è solo agli inizi, le difficoltà nel gestirla enormi: si tratta in primo luogo di riuscire a modulare a proprio vantaggio la risposta della Cina– facendo dell’OCS il forum di una legalità internazionale alternativa a quella dominata dall’Occidente – e dell’Iran, in modo da poter continuare ad usare la carta energetica per costringere gli USA ha cedere sull’allargamento della NATO ad est. Sul tutto aleggiano le incognite del confronto nucleare riaperto dagli USA e la posizione che assumeranno le nazioni europee. Queste ultime, nonostante alcuni segnali contrari sembrano alzarsi dalla Germania, stanno per ora dando l’ennesima prova di profonda miopia, se non incoscienza, continuando a giocare secondo regole fissate oltreoceano. Senza una chiara presa di posizione contro il progetto anti-missile americano e a favore di un ordine internazionale che tenga conto degli interessi russi ed iraniani, la partita in corso non potrà che vedere l’Europa, gigante economico ma nano politico, quale principale perdente.
(articolo parzialmente pubblicato ne "il manifesto" 31/08/2008
*Fabrizio Vielmini, analista, esperto dell'Asia Centrale, collabora a riviste specializzate, tra cui Limes ed Eurasia. Rivista di studi geopolitici, e a numerosi quotidiani nazionali ed internazionali.
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