Thailandia: tra colpi di stato e integralismo islamico
di Manuel Zanarini - 04/09/2008
Da qualche giorno a questa parte, si sentono e si leggono articoli sulla crisi politica che sta colpendo la Thailandia. Ovviamente, lo show-business dell’informazione non ha tempo di approfondire le tematiche che coinvolgono il Paese del Sud-Est Asiatico, così è molto difficile capire bene cosa sta succedendo. Per fare un’analisi, seppur parziale, dell’attuale situazione del Paese, è necessario analizzare quello che è accaduto negli anni passati.
La Thailandia è una monarchia costituzionale. Ufficialmente il Re, Sua Maestà Bumiphol Aduladhey, a capo del Regno più longevo al mondo (oltre 60 anni) non ha poteri legislativi o politici, ma essendo la figura più amata dal popolo, non esiste movimento politico o religioso che non ne richieda l’appoggio, così come ogni manifestazione, civile o politiche, vede le persone indossare abiti di colore giallo, colore della bandiera dalla Casa Reale (da qui l’errore di alcuni media occidentali che definiscono gli attuali manifestanti “lealisti”). Va, infatti, detto che la religione buddhista, praticata da oltre il 95% della popolazione, non prevede una struttura gerarchica, e che l’interesse per la vita politica del Paese coinvolge una piccola parte della popolazione, quindi, di fatto, la figura del Re ed un acceso nazionalismo sono i veri collanti del popolo thailandese.
Storicamente, l’istituzione più potente del Paese, è l’esercito. Il motivo di tale potere è stato determinato dalla situazione geopolitica del Paese. La Thailandia è l’unico paese a regime liberal-democratico e laico, dell’intera Asia Sud-Orientale. Infatti, si trova circondato da Paesi Comunisti (Laos, Cambogia, Myanmar e Vietnam) e da un Paese Islamico (la Malesia), senza considerare che la Cina dista solo 40 Km. dai suoi confini settentrionali, divisa solo dal Laos. Questo ha spinto i vari governi di Bangkok ad appoggiarsi agli Stati Uniti, per evitare di essere schiacciata dagli ingombranti vicini; a sua volta Washington gradisce la possibilità di avere basi di appoggio, soprattutto navali, in una zona strategica, basti pensare alle basi usate durante la guerra del Vietnam e che la flotta che compie missione nel Golfo Persico, è di stanza a Pattaya, località costiera a Sud-Est della capitale thailandese. Il potere delle forze armate si è manifestato in ripetuti colpi di Stato: 18 negli ultimi 70 anni!
Lo scenario politico degli ultimi anni è stato, e lo è ancora, dominato da una sola persona: Thaksin Shinawat (inspiegabilmente tradotto in Shinawatra dai media occidentali!). Thaksin è l’uomo più ricco della Thailandia e uno dei più ricchi al mondo, avendo fatto fortuna ai tempi delle primi “Tigri Asiatiche” con aziende di telefonia e televisive. Sul finire del 2000 fonda un partito politico, il “Thai rak Thai” (i Thailandesi amano i Tailandesi, tradotto letteralmente), tanto da essere definito dai media italiani, il “Berlusconi d’Asia” (ovviamente nessun mass media thailandese adotta questa definizione!).La sua “discesa in campo”, coincide con le elezioni politiche del 2001. Il programma politico dei Thaksin rappresenta un caso che sfugge alla classificazione del pensiero occidentale “destra-sinistra”. Da un lato propugnav temi cari alla “destra occidentale”, come la lotta alla criminalità ed il rilancio dell’industria, crollata a seguito della speculazione internazionale sul “Bath”, la moneta nazionale”, che causò sul finire degli anni ’90, il crollo delle “Tigri asiatiche”. Ma sul piano sociale, propone idee estremamente di sinistra, come l’assistenza medica gratuita e prestiti ai piccoli contadini delle zone rurali del Paese.
Proprio come in Italia, l’opposizione al suo progetto era, ed è, rappresentata principalmente dalle classi “intellettuali” e borghesi del Paese, soprattutto nei grandi centri; mentre i grandi industriali e, soprattutto, le classi più povere della nazione, abbracciano fin da subito il programma del “Thai rak Thai”. Le elezioni si risolvono in un’acclamazione per Thaksin, che ottiene una maggioranza schiacciante.
Sono due i fronti caldi su cui si muove il primo governo di Thaksin: la lotta al narcotraffico e quella al terrorismo islamico. I confini Nord-Occidentali della Thailandia, formano, insieme al Laos e alla Cambogia, il famoso “Triangolo d’oro” della coltivazione di oppio. Dai primi mesi della sua presidenza, Thaksin scatena una vera e propria offensiva militare contro i coltivatori di droga, militarizzando l’intera regione nordoccidentale del Paese. I risultati non tarderanno ad arrivare. Nel giro di un anno oltre 2.000 narcotrafficanti vengono giustiziati, più o meno sommariamente, e la produzione di droga sul territorio nazionale crolla, arrivando quasi a scomparire (per rendersene conto basterebbe paragonare i tre lati del “triangolo”). Ovviamente, questo non elimina la presenza della droga in Thailandia, alimentata soprattutto dal mercato turistico occidentale.
Anche da un punto di vista economico i risultati non tardarono ad arrivare. Da un lato viene rilanciata l’economia, tanto che il PIL nazionale è uno tra quelli col tasso di crescita più alto al mondo, dall’altro, la Thailandia è probabilmente l’unico paese della storia che è riuscito a saldare il debito contratto col Fondo Monetario Internazionale.
Ben più complesso è il problema del terrorismo islamico. La Thailandia è un Paese assolutamente laico, tanto che i mussulmani, pur rappresentando una piccolissima minoranza, sono da sempre ampiamente tutelati (esistono moschee in tutte le grosse città, vi sono scuole interamente mussulmane, ricoprono alti incarichi burocratici, ecc.) e da sempre il forte sentimento nazionalista ha prevalso su divisioni religiose ed etniche. Il problema è maggiormente sentito nelle regioni meridionali del Paese, soprattutto dalla minoranza etnica dei Malay, gruppi di pescatori mussulmani. Costoro vengono fomentati dagli estremisti malesi da un lato, è certa la presenza da tempo di agitatori all’interno dei villaggi di pescatori nel Sud, e da uomini di “Al Qaeda” dall’altro, tanto che il leader qaedista del Sud-Est Asiatico è stato arrestato ad Ayuttaya, l’antica capitale del Regno del Siam. I Malay pretenderebbero di costituire uno stato separatista, per costituire una federazione mussulmana con la Malesia. Anche in questo caso Thaksin risponde con l’esercito. In risposta ai continui eccidi di cittadini, politici ed insegnanti buddhisti, ad opera di integralisti islamici, l’esercito compie diverse incursioni nei villaggi a maggioranza mussulmana. Ad inizio 2004, truppe speciali assaltano un’importante moschea nella provincia meridionale di Pattany, trasformata in centro d’addestramento per i terroristi e in loro deposito di armi, uccidendo 32 sospetti al suo interno, e oltre 100 negli scontri che ne seguirono. Nell’Ottobre dello stesso anno, una manifestazione di mussulmani nella provincia di Narathiwat, degenera in scontri con la polizia, che apre il fuoco sulla folla, uccidendo diverse centinaia di manifestanti e arrestandone diverse migliaia, che vengono caricati a forza su pochi mezzi dell’esercito. Durante il tragitto verso la prigione ne moriranno 78 schiacciati o soffocati. Il governo si rifiuta di aprire un’indagine, come richiesto anche dagli organismi internazionali, accusando i ribelli per gli scontri.
In quest’epoca, iniziano i primi dissidi con le alte cariche dell’esercito, guidato dal Generale Sonthi Boonyaratkalin, il primo mussulmano a ricoprire tale incarico in Thailandia, contrario al pugno di ferro contro i terroristi.
Pochi mesi dopo, lo tsunami colpisce anche la Thailandia, seppur molto parzialmente. Nel giro di qualche settimana tutti i danni vengono riparati. Anzi, Bangkok rifiuta gli aiuti umanitari stanziati dai paesi occidentali, chiedendo che vadano ai paesi più poveri e maggiormente in difficoltà nel riparare i danni subiti.
Nel Febbraio 2005, si svolgono le elezioni per il rinnovo del Parlamento. L’opposizione attacca gridando al conflitto d’interessi e alla corruzione. Andrebbe detto, per inciso, che il sistema radiotelevisivo tailandese è un po’ particolare, dato che ogni organo istituzionale possiede un canale proprio, esiste quello del Re, quello dell’Esercito, quello del Governo, oltre che ai canali privati, uno dei quali era di proprietà di Thaksin. Detto questo, le classi intellettuali e borghesi si dicono certe di una loro vittoria. Peccato che la vittoria del “Thai rak Thai” sarà ancora più schiacciante di quella ottenuta nella tornata precedente. Nelle zone rurali e nei quartieri più poveri delle città, la vittoria è totale, ma anche a Bangkok, dove risiede la maggior parte della burocrazia e del ceto medio thailandese, la stragrande maggioranza dei seggi viene assegnata al governo uscente. Forte di un più ampio consenso elettorale, Thaksin lancia per la prima volta nella storia del Paese, e forse caso unico in tutta l’Asia, un programma di “welfare”. Due sono le misure più incisive: l’inizio di un’assistenza sanitaria gratuita per tutti e apertura di “microcrediti di villaggio” per i contadini delle zone più depresse.
Le misure scatenano la reazione dei ceti medi e borghesi. Il governo viene accusato di populismo, in quanto la sanità copre solo una piccola parte delle spese mediche ( ignorando volutamente che la creazione dal nulla di uno stato sociale richiede decenni, non pochi mesi) e viene chiesto ai contadini di restituire i soldi loro prestati (il microcredito è ben altra cosa dall’assistenzialismo o dalle regalie; il problema semmai è che al popolo thailandese non è mai stato insegnato il risparmio, col risultato che i soldi avuti in prestito per “modernizzare” l’attività agricole venivano sperperati in vizi di ogni sorta, ovviamente non essendo più in grado di restituirli). Così, comincia a chiederne le dimissioni per corruzione e conflitto d’interesse, ovviamente in sfregio alla volontà popolare.
La situazione si aggrava nel Gennaio 2006, a seguito della cessione del gruppo “Shin Corp.”, di proprietà della famiglia Shinawat, ad un’impresa di Singapore. Per capire meglio il “casus belli”, va detto che in Thailandia vige un regime economico protezionista, che prevede l’obbligatorietà di quote di maggioranza locale per molte attività. Tre giorni prima della cessione del pacchetto azionario, il governo aveva varato una norma che aumentava la possibilità per aziende estere di acquistare fino al 49% delle azioni nel settore delle telecomunicazioni, settore in cui opera la “Shin Corp.”. L’affare ha fruttato a Thaksin Shinawat la cifra di 1,9 miliardi di dollari, su cui, grazie ad una triangolazione, il Primo Ministro non avrebbe pagato le tasse.
Da quel momento, la borghesia di Bangkok, finanziata da un altro magnate delle telecomunicazioni, concorrente della “Shin Corp.”, Sondhi Limthongkul, organizza, tramite il partito di opposizione “Partito Democratico”, una serie di manifestazioni di piazza, chiedendo le dimissioni del governo e l’indizione di nuove elezioni. Cosa che Thaksin accetta, ma alla nuova tornata elettorale (2 Aprile 2006), l’opposizione si rifiuta di partecipare. Di fronte alla rielezione a Primo Ministro, l’opposizione torna in piazza chiedendo nuovamente le dimissioni. In seguito ad un accordo col Re, la Corte Costituzionale stabilisce che nel giro di pochi mesi il governo avrebbe fissato nuove consultazioni. Cosa che regolarmente avviene, tanto che vengono stabilite per il 15 Ottobre. La campagna elettorale è scossa da reciproche accuse di corruzione e violenza (sicuramente vere, come di consuetudine in Thailandia).
Il contrasto sociale gioca a favore dell’esercito, che è stanco della linea dura di Thaksin contro narcotrafficanti (spesso soci d’affari dei militari) e terroristi mussulmani (correligionari della nuova guida delle forze armate). Così, dopo un tentativo sventato di uccidere il Primo Ministro con un’autobomba, organizzano l’ennesimo golpe nell’estate del 2006, approfittando di una missione all’ONU di Thaksin. Fortunatamente, questa volta si rivelerà incruento, anche grazie all’intervento del Re, che lo giustifica in nome della pace sociale (in seguito si dirà che alcuni membri del suo staff avevano contribuito ad organizzarlo a sua insaputa). Il partito di maggioranza, il “Thai rak Thai” di Thaksin, viene posto fuori legge e vengono spiccati mandati di cattura per i suoi dirigenti. L’ex Primo Ministro si salverà dall’arresto rifugiandosi in Gran Bretagna, dove acquisterà la squadra di calcio del Manchester City.
La nuova giunta militare, guidata dal Generale mussulmano Sonthi Boonyaratkalin promette che la situazione è temporanea, e che durerà il tempo di ritornare alla concordia sociale e poter svolgere regolari elezioni democratiche, cosa che avverrà nel giro di qualche mese. In realtà, le successive libere elezioni, si terranno solamente nel Dicembre 2007. Alle urne i principali contendenti sono il “Partito Democratico” e il “Partito del Potere Popolare” (PPP), formato da ex membri del partito di Thaksin sfuggiti all’arresto e suoi alleati. Anche stavolta, è la formazione “amica” di Thaksin a vincere le consultazioni, e viene nominato Primo Ministro Samak Sundaravej.
Quello che è successo in seguito è cronaca. Nuovamente sconfitto dalle urne, il “Partito Democratico” torna in piazza, stavolta in modo violento, assaltando il palazzo della televisione, occupando aeroporti (è bene ricordare che il turismo è una delle principali fonti economiche del Paese) e circondando la sede del Governo. Oltre a chiedere nuovamente di invalidare le elezioni denunciando brogli.
Quasi certamente, dietro le quinte agisce l’esercito, che come abbiamo visto non gradisce affatto la politica nazional-popolare di Thaksin. La prova di tale affermazione sta nel fatto che i manifestanti hanno trovato pochissima resistenza di fronte alla violenza e alla illegalità da loro messa in atto, e comunque solo da parte della polizia, a differenza del golpe orchestrato la volta precedente. Inoltre, mentre il Governo indiceva lo stato d’emergenza, la leadership delle forze armate si rifiutava di obbedire.
Due notti fa, una contromanifestazione a favore del governo, degenerava in una carica contro il presidio delle opposizioni, con scontri a base di sassi, bastoni e machetes, che provocavano un morto e oltre 40 feriti. E’ di oggi la notizia che la Commissione Elettorale ha invalidato le ultime elezioni, chiesto lo scioglimento del PPP, e avanzato la richiesta di una nuova tornata elettorale. La decisione è stata presa in rispetto di una legge varata dalla Giunta Militare, che prevede l’invalidamento del voto popolare e lo scioglimento di un partito politico, se anche solo un suo membro viene condannato per brogli, come è successo ad un vicesegretario del partito di maggioranza. Se la richiesta verrà confermata, il Primo Ministro e altri 33 membri del PPP dovranno dimettersi e non potranno ricoprire incarichi pubblici per i prossimi 5 anni.
A questo punto, penso che il pallino sia nelle mani dell’esercito, che dovrà decidere se ascoltare il buon senso e far esercitare il potere ad uno schieramento che ha vinto tutte le consultazioni elettorali degli ultimi 7 anni; oppure dar retta ai vari “poteri forti”, e probabilmente effettuare un nuovo golpe. Se devo sbilanciarmi, sono propenso a credere che i militari non si faranno scappare l’occasione di tornare al potere e sbarazzarsi di così forti nemici. Sull’esito di tale crisi giocherà molto la posizione del Re e la conseguente reazione delle fasce deboli del Paese.
La considerazione storica e geopolitica necessaria, in conclusione, è che la ricchezza della Thailandia, certamente il paese più ricco dell’intera regione, è stata determinata dalla pacificazione civile interna, cosa che non può dirsi per il Vietnam, la Cambogia o il Myanmar (ex Cambogia). Non mi pare che queste continue manifestazioni di piazza e delegittimazioni politiche tendano a far proseguire il Paese su questa strada, con inevitabili ricadute economiche sulla popolazione, in particolar modo sulle fasce più deboli.

