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La rottura arancione

di Piero Sinatti - 05/09/2008





 

Quello che si prevedeva in occasione della riapertura della Rada Suprema (il parlamento ucraino) si è realizzato. La coalizione arancione di governo, formata dai partiti del presidente Jushchenko e dal blocco-Julija Timoshenko (BJUT), si è rotta. E' avvenuto nella notte del 3 settembre, quando i deputati del BJUT hanno votato insieme al Partito delle Regioni (filorusso) di Viktor Janukovich e di altri partiti di opposizione, più alcuni transfughi dei partiti sostenitori di Jushchenko (Nostra Ucraina, NU, e Autodifesa Nazionale, AN, AN), un emendamento alla legge costituzionale che riduce fortemente i poteri presidenziali nei confronti dell'esecutivo e un altro emendamento che semplifica le procedure per l'impeachment del presidente.

La stragrande maggioranza dei deputati (363; la Rada ne conta 450 e ne erano presenti al voto 366) si è pronunciata a favore di queste misure che di fatto si indirizzano contro Jushchenko.

I partiti che appoggiano Jushchenko - NU e AN - hanno dichiarato l'uscita dalla coalizione con BJUT.

Gli scenari che si profilano

Il voto spalanca la porta alle dimissioni dell'attuale governo. Le prospettive possono essere lo scioglimento della Rada e la convocazione di nuove (ennesime) elezioni politiche da parte del presidente. Oppure, con la formazione di un nuovo governo fondato su una nuova maggioranza tra due partiti che fino ad ieri erano avversari inconciliabili: il Partito delle regioni (che raccoglie consensi soprattutto nelle regioni russofone del Sud e del Sud Est) e il nazionalisteggiante BJUT (radicato nelle regioni ucrainofone del centro e dell'ovest).

Ben difficilmente, tuttavia, questa soluzione (che molti deputati del BJUT, in pieno marasma, rifiutano) potrebbe essere accettata da Jushchenko. Quest'ultimo potrebbe tentare di convincere un certo numero di deputati del BJUT a passare dalla sua parte abbandonando la “traditrice” Timoshenko, oppure potrebbe sciogliere la Rada convocando nuove elezioni anticipate, facendo appello al popolo perché si esprima contro la sua antica alleata. O anche, magari con il tacito sostegno di Washington, potrebbe ricorrere all'uso della forza. Non sarebbe la prima volta nella storia dei paesi post-sovietici, da quando Eltsin usò l'artiglieria pesante contro il Parlamento.

Tuttavia, la maggioranza che si è formata alla Rada sul clamoroso voto notturno potrebbe sottoporre Jushchenko a un procedimento di “impeachment”, in base proprio agli emendamenti da poco approvati.

Da molto tempo la coalizione arancione si era logorata, al punto che i due suoi leader apparivano ormai più che collaboratori per un progetto comune, due rivali sul piede di guerra, pronti a lanciarsi addosso le accuse più roventi, n vista delle future presidenziali.

Accuse a ripetizione

Un ex-collaboratore ed ex-amico di Jushchenko (un georgiano, cittadino ucraino, Zvanija) aveva rivelato giorni fa che i due figli del Presidente e la sua moglie attuale, un'americana di origine ucraina già funzionaria del Dipartimento di Stato, viaggiano con tanto di passaporti americani. Più gravi le accuse nei confronti della Timoshenko mosse dall'entourage presidenziale, tra cui quella di “tradimento di Stato” per il suo prolungato silenzio in occasione del conflitto russo-georgiano. Dalla segreteria di Jushchenko si avanzava l'ipotesi che la bella Julija sarebbe passata al servizio di Mosca al fine di ottenerne appoggi e finanziamenti per la sua campagna presidenziale.

Sicuramente è stato il conflitto russo-georgiano, sullo sfondo di una situazione economica difficile in Ucraina, sottoposta a una pesante inflazione, che ha fatto precipitare il contrasto da tempo apertosi tra i due ex-alleati, fino alla rottura di stanotte.

Se Jushchenko era immediatamente volato a Tbilisi a sostenere a spada tratta il collega Saakashvili nel meeting dell'11 agosto in cui partecipavano i presidenti di Polonia e paesi baltici, per poi impegnarsi a partecipare alla ricostruzione delle forze armate georgiane, la Timoshenko aveva mantenuto un atteggiamento molto più defilato e prudente, rifiutando persino di firmare per molti giorni il decreto di Jushchenko del 14 agosto che limita i diritti di movimento della Flotta Russa del Mar Nero con base a Sebastopoli, in territorio ucraino.

E' crisi e arriva Dick Cheney

La gravissima crisi istituzionale e politica sopraggiunge alla vigilia dell'arrivo a Kiev del vicepresidente americano Dick Cheney che rappresenta, all'interno dell'amministrazione Bush, l'ala più marcatamente interventista nello spazio ex-sovietico e più decisa nell'accelerazione dei processi di ammissione nella NATO di Georgia e Ucraina. Prima di Kiev, Cheney visita (dal 3 settembre) l'Azerbajdzhan, per poi volare a Tbilisi e portare il sostegno a Saakashvili.

Cheney troverà nel suo massimo interlocutore (e, sembra, amico personale) Jushchenko un'“anatra zoppa”. E la più grave crisi istituzionale dopo la vittoriosa “rivoluzione colorata” del 2004. Un punto a favore di Mosca, nel "Great Game" che si gioca nella scacchiera ex-sovietica. Nei giorni scorsi il governo Putin, tra l'altro, aveva annunciato eventuali e più severe regole per l'import di fondamentali produzioni ucraine in Russia.

Sul rovesciamento di posizione della Timoshenko, in passato molto più passionalmente antirussa del suo presidente, possono aver inciso le sue forti ambizioni presidenziali. Il suo obiettivo è quello di battere Jushchenko con l'appoggio del Partito delle regioni.

Ancora più probabilmente ha prevalso, realisticamente, il calcolo dei reali interessi economici di un Paese intrinsecamente legato alla Russia, a cominciare dal settore energetico. Non ultima, infine, può aver giocato la preoccupazione per la sopravvivenza stessa dell'attuale Ucraina. L'accentuazione dell'orientamento anti-russo e l'accesso al Membership Action Plan (MAP) per entrare nella NATO (su questo la premier ha sempre chiesto un referendum popolare) potrebbero provocare spinte centrifughe sia nella regione autonoma di Crimea (a grande maggioranza russa), sia in grandi regioni industriali del Sud e dell'Est, prevalentemente russe e russofone. I precedenti di Kosovo, Abkhazia e Ossetia del sud vanno tenuti in considerazione anche da Kiev.