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Kabul peggio che nel 2001

di Ersilia Contu - 17/09/2008

 

Kabul peggio che nel 2001



Dopo sette anni di guerra si sta peggio di prima. Alla “illuminante” conclusione è arrivato uno dei diplomatici occidentali da più tempo impegnato a Kabul, l’inviato di Madrid ed ex inviato dell’Unione europea Francesc Vendrell, che ha sottolinetao come la situazione in Afghanistan sia la più grave dal 2001, con i Talibani che controllano non solo la parte est del Paese, ma che ormai sono alle porte di Kabul e in alcune sacche a ovest e a nord, in zone che fino a ora venivano considerate “tranquille”.
Che l’Afghanistan sia tutt’altro che pacificato è un fatto, in gran parte ignorato da stampa embedded e analisti coi paraocchi, acquisito da almeno quattro anni (per essere generosi…). L’elezione farsa, nel 2004, di Karzai a capo dello Stato doveva dare al Paese il crisma della democraticità.
Fatto è che l’Afghanistan di oggi versa in condizioni disastrose, mentre Usa e Nato annaspano ormai visibilmente in un pantano che è stato finora meno evidente di quello iracheno ma che sta emergendo all’attenzione dei media. Tanto che secondo Francesc Vendrell, come riportato dal New York Times, si preannuncia “un inverno molto caldo”. A suo dire questo “non è il momento di lasciare l’Afghanistan: non siamo destinati al fallimento, ma siamo ben lontani dal successo”, ha dichiarato tradendo una fiducia eccessiva o forse una pia illusione. La difficile situazione è determinata, secondo Vendrell, anche dal crescente numero di vittime fra i civili causato dai raid delle forze della coalizione. È di pochi giorni fa la relazione in cui anche l’associazione statunintense Human Rights Watch stigmatizzava l’alto numero di vittime civili causato dalle azioni militari congiunte. Ed è ancora in corso l’inchiesta sulla strage di civili del raid missilistico dello scorso 22 agosto (90 persone morte), con i risultati delle ricerche del governo afghano e delle Nazioni Unite che confermano l’accusa contro i militari Usa, i quali invece continuano a sostenere che i morti innocenti sarebbero stati “solo” sette. Anche per questo, ha spiegato Vendrell, le tribù pashtun del sud dell’Afghanistan stanno ripensando al loro sostegno alla coalizione internazionale. Non si sarebbero schierati con i Talibani, ma la maggior parte di loro “si è messa alla finestra a vedere chi sarà il vincitore”. Secondo Vendrell, inoltre, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno riposto troppa fiducia in Hamid Karzai: “Avevamo pensato di aver trovato l’uomo dei miracoli”, ha detto Vendrell fingendo forse di non sapere che Karzai era “solo” un fedele uomo di Washington, un fantoccio nelle mani dell’amministrazione Usa che credeva di poter archiviare in poco tempo, potendo anche contare sull’appoggio Nato, la questione afgana.
Così non stato e oggi l’Afghanistan è un Paese martoriato in cui la guerriglia talibana imperversa e in cui la produzione e il commercio della droga, il cui sradicamento era stato un’altra scusa nordamericana per intervenire militarmente, sono tornati ai livelli degli anni ’90. Il contrasto al commercio dell’eroina e degli oppiacei era, ufficialmente, uno degli obiettivi statunitensi durante la guerra in Afghanistan. In realtà, nel traffico di droga c’è sempre stata la longa manu della Cia, mentre erano stati proprio i Talibani – in collaborazione con le Nazioni Unite – ad imporre con successo il divieto della coltivazione del papavero nel 2000. Dopo l’invasione dell’Afghanistan del 2001, il traffico di oppio nella cosiddetta “Mezzaluna d’or” ha subìto un’impennata, con i membri dell’Alleanza del Nord e delle altre fazioni anti-talibani, soprattutto i gruppi etnici pashtun dell’est del Paese, direttamente coinvolti nel traffico di droga.
In quest’ottica non suonano stonate le parole con cui il generale statunitense David Petreaus ha commentato l’empasse attuale in Afghanistan.
In un’intervista rilasciata all’Associated Press, l’alto ufficiale Usa (che lascerà proprio oggi la guida delle forze Usa in Iraq per sovraintendere tutte le operazioni militari nordamericane nel Vicino Oriente, Afghanistan e Asia centrale, ndr) ha dichiarato che“La situazione attuale in Afghanistan ha preso chiaramente una direzione sbagliata (…) un’azione militare è assolutamente necessaria, ma non sufficiente”. “L’attività politica, economica e diplomatica – ha aggiunto - è fondamentale per capitalizzare i risultati raggiunti sul piano della sicurezza”.
Un’affermazione che pare una strigliata ai recenti provvedimenti con cui il presidente statunitense Bush ha inteso stabilire il trasferimento, nei prossimi mesi, di circa 8000 soldati dall’Iraq all’Afghanistan.
Manovre militari che non risolveranno il problemi afgani. Oggi come è accaduto nei sette anni precedenti.