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Il Cremlino si mobilita: attenzione alla CIA

di Carlo Benedetti - 22/09/2008

 

La “guerra del Caucaso” è un campanello d’allarme per la dirigenza russa. Ed ora l’onda lunga degli scontri militari costringe il Cremlino a mettere in campo l’altra faccia della sua politica. E se Medvedev aveva parlato di “modernizzazione delle forze armate” ecco Putin che annuncia l’aumento delle spese militari per il 2009 del ventisette per cento fino a un totale di "2.400 miliardi di rubli (pari a 94,12 miliardi di dollari, circa 65 miliardi di euro)". La notizia piomba su un paese che non è solo quello dei “nuovi russi” (ladri mafiosi, ricchi e gonfi di dollari e di ricchezze rubate allo stato) perchè in Russia - ricordiamolo - ci sono decine di milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Ma la realpolitik detta le sue leggi. E si scopre che non c’è solo questo aspetto contingente di escalation militare. Vengono alla luce - negli ambienti del vertice russo - problemi di strategia a medio e lungo termine.

Il presidente Medvedev dichiara una sorta di stato d’allerta. Convoca i suoi diretti collaboratori che vengono impegnati in un “super-centro” di attività strategica che opererà sulla base di modelli matematici. Obiettivo del lavoro comune consisterà nell’attuare un monitoraggio continuo della situazione interna ed internazionale. Con un ovvio riferimento particolare agli Usa e alle filiali della Cia.

La notizia - messa così - è allarmante. Ma è anche vero che viene fatta filtrare nei media più impegnati attraverso gli interventi dei più autorevoli commentatori impegnati a far capire all’opinione pubblica la delicatezza della situazione. E’ il caso del giornalista Andrej Uglanov (non nuovo a scoop del genere) che dalle colonne del settimanale “Argumenty nedeli” (Argomenti della settimana) illustra il piano del Cremlino che prevede un intervento a “tre punte”.

E precisamente l’impegno diretto dei settori principali che operano accanto a Medvedev: la direzione della politica interna (Uvp), la sicurezza federale (Fso) e l’apparato della presidenza. Tutto questo sta a signicare che da oggi è in funzione al Cremlino una unità di crisi ce concentra su di se un potere che è (ora) sparpagliato ed anche diviso.

Il giornalista che rende nota questa nuova situazione - che si registra al vertice del Paese - considera il tutto come “uno stato di guerra strisciante”. C’è, infatti, un appello totale per “il rispetto della disciplina e della segretezza” per quanto concerne il rapporto e l’atteggiamento nei confronti degli Stati Uniti. E i motivi derivano dal fatto che: “La battaglia informativa sul Caucaso e sull’Ossetia del Sud è stata praticamente persa” e che, di conseguenza, gli alti funzionari del Cremlino dovranno ora “studiare” quanto avvenuto non sulla base delle cose che scrivono e dicono i media occidentali, ma sulla base dei documenti redatti dai servizi più autorevoli della intelligence locale.

In pratica c’é un forte e duro richiamo all’ordine e alla centralizzazione del potere perchè la stuazione tocca punte di estremo allarme. La sintesi dei documenti che il vertice russo sta esaminando annuncia grosse novità. Si parla - accusando debolezze e ritardi - di “possibili aggressioni interne alla Russia da parte degli Usa”. E questo vorrebbe dire che i servizi d’intelligence della Casa Bianca starebbero preparando varie operazioni in diverse regioni della Russia. In particolare nel teatro dell’Inguscetia e del Dagestan che, tra l’altro, sono già regioni a rischio.

In tal senso, le notizie che giugono al Cremlino da Maras, la capitale ingusceta, sono sempre più cariche di problemi. Perchè proprio qui, nel nord del Caucaso, (in un’area di oltre 4000 chilometri quadrati con 500mila abitanti a cavallo tra la Cecenia e la Georgia) non sono mai state domate le spinte nazionaliste ed antirusse. Stessa situazione a Machackala, capitale del Dagestan (una regione autonoma che conta oltre 2 milioni di abitanti sparsi su un territorio di 50mila chilometri quadrati) che registra operazioni di bande di terroristi e di formazioni indipendentiste che vanno a formare movimenti di rinascita islamica, in versione integralista e estremista.

A queste zone già a rischio si aggiungono ora altri teatri che annunciano un gorgo di conflitti nazionalistici. Perchè secondo l’analista Uglanov: “La Cia sta cercando di trovare nel Paese dei personaggi-leader tra le popolazioni locali del Nord e dell’Estremo Oriente. E precisamente figure di un certo rilievo capaci di rivolgersi alla società mondiale e di dimostrare che esiste una situazione di aggressione portata avanti da Mosca contro le popolazioni indigene”. Si prepara, quindi, secondo la Russia, un nuovo tipo di aggressione. E questa volta non dal Caucaso, ma dal Nord.

In tale operazione tutta americana dovrebbero essere coinvolte aree dove si trovano i grandi giacimenti petroliferi e che sono abitate da popolazioni che, da sempre, sono al margine della vita sociale russa, ma pronte a far riesplodere antichi conflitti.

Si tratta dei ciukci, dei koriachi e degli aleuti. Popoli a noi sconosciuti che entrano ora nel mirino dei servizi americani. In primo luogo i ciukci - sedicimila cacciatori - che vivono in una delle zone più impervie del nord: la Ciukotka che ha un’area di 737mila chilometri quadrati. Qui sino a pochi mesi fa il potere era nelle mani dell’oligarca Roman Abramovic. Il quale ha lasciato il campo perchè impegnato su fronti ben più importanti. Ed ecco che gli americani vanno ad occupare il terreno preparato dall’oligarca russo... Ci sono poi altri popoli nel mirino dei “servizi americani”: i koriachi (8000 cacciatori) che vivono nelle aree gelate della Kamciatka e gli aleuti che si dividono alcune aree praticamente inabitabili dell’Alaska americana e russa.

Il disegno della Cia - fa rilevare l’osservatore Uglanov - potrebbe consistere nel creare le condizioni per un “sollevamento” di ordine etnico-nazionale contro la lontana Mosca. Si aprirebbe così un fronte inedito, difficile da controllare e contrastare. Perchè il potere del Cremlino è, di fatto, lontano anni luce da queste zone.

Ed è per tali motivi che ora a Mosca si parla con maggiore insistenza della nuova attività del “Centro” che all’interno delle strutture presidenziali dovrà individuare e prevedere possibili e nuove crisi. Situazione difficile, comunque, sotto tutti i punti di vista. Lo stesso Uglanov mette in evidenza un fattore particolare. E cioè che al Cremlino risulta che molti specialisti, economisti e politologi sono stati (e sono) impegnati in regioni lontane da Mosca per discutere ed esaminare le situazioni locali. Si tratta di osservatori particolari, bene informati e capaci di comprendere le tante realtà.

Ma è anche vero che questi politologi lavorano contemporaneamente per fondazioni politologiche internazionali, americane soprattutto. E le informazioni e le analisi raccolte - nota significativamente Uglanov - arrivano spesso sui tavoli delle intelligence di altri paesi. Si spiega così il fatto che gli Usa sono in grado di conoscere le realtà russe prima del Cremlino. Una situazione, questa, che Medvedev e Putin non sono più disposti a tollerare. Si va verso una ferrea centralizzazione delle informazioni che dovranno restare solo nell’ambito del gabinetto presidenziale.