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Riflessioni critiche sul profilo teorico di Gianfranco La Grassa

di Costanzo Preve - 10/10/2008

Fonte: comunitarismo

 

Conosco Gianfranco la Grassa da almeno trent’anni (1978-2008). Fra noi c’è amicizia personale,

nonostante una sgradevole asimmetria nell’attenzione reciprocamente prestata. Da parte mia, una

attenzione continua a molti scritti di analisi e di commento. Da parte sua, il nulla assoluto ed un

disprezzo totale per il mio lavoro ed i miei interessi. Ci si chiederà come abbia potuto sopportare

tutto questo senza interrompere l’amicizia. Credo che sia dovuto ad un fatto poco considerato: io

penso che il lavoro intellettuale in quanto tale possa portare a forme di solipsismo vicino alla vera e

propria follia (ovviamente, non esento neppure me stesso, ma devono essere gli altri a notarlo,

perché non posso farlo da solo).

E tuttavia, il solo aspetto veramente fastidioso di La Grassa sta nel suo frenetico sputare non su

particolari filosofie, ma proprio sull’attività filosofica in quanto tale, che sta al centro della mia

attività umana e vitale. Lo scuso, perché so bene che non possiede neppure i termini minimi per

capire quello che insulta. Immaginatevi una persona normale, intelligente, colta, simpatica, che però

quando passa il furgone del lattaio, e solo in quel caso, improvvisamente comincia ad emettere

nitriti equini di questo tipo: «Porco Latte! Latte di Maiale! Latte Schifoso! Abbasso il Latte!».

Siamo di fronte, evidentemente, ad una patologia innocua, anche se ovviamente irritante almeno per

i lattai.

Discutiamo or un poco di Gianfranco La Grassa (d’ora in poi GLG). Non mi rivolgo affatto a lui,

che so pensatore del tutto sordo ed autoreferenziale, ma unicamente a chi legge ed apprezza i suoi

scritti.

I. GLG è certamente uno dei migliori marxisti italiani della seconda metà del novecento e dei

primi anni del XXI secolo.

Nell’ordine di esposizione toccherò i seguenti punti:

(1) Perché il suo contributo è stato ignorato dall’ambiente sinistrese italiano, che ha invece preso sul

serio ridicoli confusionari e pagliacci da avanspettacolo. Comprendere questo rifiuto significa

cominciare a capire cose più grosse di GLG. Si tratta di iniziare lo studio di una sorta di sociologia

degli intellettuali di sinistra in Italia, che le giovani generazioni non conoscono, ma che devono

conoscere, se non vogliono ricadere in questo Circo Barnum per deficienti.

(2) I punti di forza del suo pensiero:

(a) Rottura con la concezione deterministica, teleologica, storicistica e progressista del

capitalismo.

(b) Rottura con la mitologia sociologica operaia e proletaria, caratteristica dell’intera storia

del marxismo.

(c) Corretta concezione del concetto marxiano di modo di produzione, che il ridicolo

operaismo italiano, in tutte le sue versioni, ha sempre confuso con la tecnologia di

fabbrica.

(d) Presa in considerazione della razionalità strategica della riproduzione capitalistica, a

fianco di quella semplicemente strumentale.

(3) I punti debolezza del suo pensiero:

(a) La totale incapacità di capire che la teoria marxiana della storia si fonda su di una

preventiva indispensabile filosofia della storia.

(b) La confusione, di origine althusseriana (ma che in GLG assume forme pittoresche di

turpiloquio intollerabile), fra spazio filosofico, spazio epistemologico e spazio

ideologico.

(c) Il totale disprezzo per le azioni dei dominati, e il solo ossessivo interesse per le azioni

“strategiche” dei dominanti.

(d) L’approdo ad una teoria interamente aleatoria del socialismo, che se verrà, verrà come la

caduta di un meteorite.

(e) Per finire, l’approdo ad un economicismo ed ad uno scientismo totali e furiosi, proprio

da parte di un autore che aveva iniziato la sua carriera teorica come maoista occidentale,

seguace della banda dei Quattro e critico della cosiddetta “teoria reazionaria delle forze

produttive”.

Discutiamo ordinatamente i punti.

II. Il corpus teorico di GLG avrebbe meritato a tutti gli effetti di essere preso in considerazione e

soprattutto riconosciuto. Lo stesso Hegel nota correttamente che l’uomo ha bisogno di

riconoscimento. GLG non ha avuto di fatto alcun riconoscimento da parte dell’ambiente fetido cui

si rivolgeva idealmente, e fino a qualche tempo fa non insolentiva ancora, come fa oggi nel suo blog

in modo pittoresco.

È umanamente comprensibile che al principio ci sia sempre amarezza, poi ci sia irritazione, ed alla

fine insorga rabbia e vero e proprio odio. E tuttavia, direbbe Croce, bisogna individuare le ragioni

pratiche dell’errore teorico. Il mondo della signora Rossanda, del signor Ingrao e del signor

Bertinotti (si noti che li ho messi in ordine decrescente) è un mondo che crede di essere la soluzione

dei problemi teorici e politici della sinistra, laddove ne è il problema. Ora, quando il problema, o

più esattamente l’ostacolo da spazzare via, crede di essere la soluzione, non esiste sbocco possibile.

Qual è la ragion di questa miseria sinistrese specificatamente italiana, che si riproduce sia dal lato

grosso (Occhetto, D’Alema, Veltroni), sia lato piccolo (Cossutta, Bertinotti, Vendola)? Credo di

saperlo, ma non ho qui lo spazio per discuterlo. In breve, penso che si tratti di una lontana origine

controriformistica cinquecentesca, che ha ufficializzato in Italia il divorzio fra parole e fatti (tipo:

siamo di fronte ad una catastrofe epocale del capitalismo, e per questo dobbiamo allearci con Prodi

contro Berlusconi), per cui al tempo del vecchio PCI si era creato un irrilevante zoo-parco di

intellettuali chiacchieroni che potevano anche spararle grosse, tanto quello che dicevano era del

tutto irrilevante. Soltanto confusionari incurabili come Sartre potevano pensare che nel comunismo

italiano ci fosse più libertà che in quello francese o sovietico. Le parole ipocrite ed irrilevanti sono

sempre più “libere” che nei contesti in cui il loro significato è preso sul serio.

L’attuale turpiloquio di GLG contro l’ambiente sinistrese è dovuto al fatto che la sua vera rottura

con questa feccia è recente. Mi rendo conto dell’amarezza del non-riconoscimento. E tuttavia

bisogna farsene marxianamente una ragione. In un mucchio di merda, solo lo stronzo può essere

“riconosciuto”. Deve passare la nottata (Eduardo de Filippo). La storia non può essere “accelerata”

(Koselleck). Non c’è/più niente/da fare (Bobby Solo).

III. Una premessa su Marx. Come (dovrebbe essere noto) e come (non lo è assolutamente), Marx

non era assolutamente un economista, e pertanto non avrebbe mai potuto fondare una scuola

economica di “sinistra”, in quanto quello che fece fu produrre una critica dell’economia politica

all’interno di una teoria della storia, a sua volta fondata e resa “espressiva” da una filosofia

idealistica della storia. Basterebbe infatti contare fino a tre, ma non possiamo pretendere che i

confusionari lo facciano. Al tempo di Marx c’erano già degli economisti di “sinistra” (seguaci di

Sismondi, socialisti ricardiani, eccetera), ma Marx non si sognava affatto di esserlo. In proposito,

molti “economisti” italiani di sinistra (Brancaccio, Bellofiore, Cavallaio, eccetera) raggiungono

inconsapevoli vertici di comicità, perché parlano di Marx come se quest’ultimo fosse “omogeneo” a

Smith, Ricardo, Malthus, Jevons, Keynes, Schumpeter, eccetera.

A suo tempo, Claudio Napoleoni, che pure era economista di professione, distinse opportunamente

fra critica dell’economia politica ed economia politica critica (in quanto non marginalista e critica

della teoria dell’equilibrio). Sacrosanto. Almeno GLG non cade in questo pittoresco equivoco, e

proprio il fatto di non esservi mai caduto fece sì che in quarant’anni non ebbe mai una cattedra di

ordinariato da parte della supponente casta degli economisti di professione. È vero che si paga tutto,

e GLG dovrebbe esserne fiero anziché lamentarsi per l’ingiustizia, come l’ho spesso sentito fare.

Non si possono chiamare cialtroni i membri della corporazione e poi lamentarsi se essi non ti

consacrano.

E tuttavia GLG ha ragione (quella di Marx non è una teoria economica, ma una critica

dell’economia politica), ma poi non ne capisce lui stesso la ragione. Egli pensa che Marx sia il

fondatore della critica dell’economia politica nei termini althusseriani del modello strutturalistico di

modo d produzione. Non è affatto così. Quella di Marx è una critica dell’economia politica per il

fatto che essa si basa sulla fusione del concetto (economico) di valore e del concetto (filosofico) di

alienazione, i quali, fusi dialetticamente insieme, danno luogo al “mondo rovesciato” chiamato

“feticismo della merce”. Questa teoria, all’inizio degli anni settanta in Italia, era chiamata teoria

Colletti-Napoleoni, ed il fatto che Colletti ne abbia tratto lo spunto per andare verso Popper (e poi

Berlusconi) e Napoleoni ne abbia tratto lo spunto per andare verso Heidegger (ed il PCI ed il cattocomunismo

confusionario italiano) non cambia nulla al fatto che sia vera, anzi verissima.

L’economia politica, infatti, in tutte le sue varianti, ha un presupposto utilitarista, in quanto si basa

su di una autofondazione senza presupposti filosofici (David Hume), che a sua volta rimanda alla

preventiva dichiarazione di inesistenza sia del diritto naturale (giusnaturalismo), sia del contratto

sociale (contrattualismo). Su questa base, si può “stirarla” a destra (Malthus), al centro (Ricardo) o a

sinistra (socialisti ricardiani), ed oggi si può stirarla verso Tremonti, Berlusconi e Bertinotti, ma

quello che proprio non si può fare è farla diventare critica dell’economia politica, così come senza

trucco non si può tirare fuori un inesistente coniglio dal cappello. La critica dell’economia politica

presuppone che un concetto economico (il valore come tempo di lavoro sociale medio incorporato

in un bene o in un servizio) venga innestato su di un concetto filosofico (l’alienazione come

inserimento dell’ente naturale generico umano in una forma di vita manipolata ed unidimensionale,

il feticismo della merce).

Lo capisce questo GLG? Ma non scherziamo! Il giorno in cui Veltroni verrà a conoscenza della

Scienza della Logica di Hegel e la Ferrilli si laurerà in ingegneria nucleare allora forse GLG

comincerà a capire il cuore della questione.

IV. La rottura di GLG con la teoria progressistica, storicistica e lineare della storia del capitalismo

lo mette due miglia al di sopra dei nani e delle ballerine del vecchio picismo italiano (non mi sogno

affatto di usare per costoro il nobile termine classico di “comunismo”). E vediamo perché.

Già Antonio Gramsci, che essendo in prigione con un quaderno davanti era libero di scriverci sopra

quello che voleva, libertà che non avrebbe mai avuto se avesse dovuto compatibilizzare i suoi liberi

pensieri con le tenaglie ideologiche del comunismo del tempo (la “mente prigioniera” del premio

Nobel polacco Milosz), aveva parlato di “cordiale” per la teoria marxista sua contemporanea. Nel

linguaggio belle époque del suo tempo, il “cordiale” era un alcolico ad alta gradazione che si dava

per tirare su la gente in depressione o in svenimento. Si dà un “cordiale” ai proletari, perché così li

si fa sicuri che la loro lotta va nella direzione obbligata della storia. In breve: Dio è morto, ma la

Storia è con noi. La borghesia va contromano, il proletariato va nella corsia giusta. La borghesia è

una classe tradizionale, conservatrice, reazionaria, il proletariato è una classe progressiva e

vincente. Viva l’Autostrada della Storia!!!

Questo era il codice picista. Il codice operista, che lo affiancava, non credeva tanto nella storia,

quanto nel Gigante Buono addormentato, e cioè l’Operaio Massa Fordista della catena di

montaggio.

Non so quale delle due teorie avrebbe potuto vincere il Mongolino d’Oro, e cioè il premio per lo

Stupidario Sinistrese in palio per queste due varianti teoriche. Purtroppo, io non ho niente da ridere,

perché ho creduto almeno per vent’anni a questo Gratta e Vinci per Deficienti. Lo stesso terrorismo,

o lotta armata (fra cui comprendo ovviamente anche l’uccisione di calabresi ordinata da Sofri, il

futuro sionista arrabbiato e l’urlatore per i bombardamenti della Jugoslavia 1999), li faccio risalire

in parte al fatto che la variante picista, essendo apertamente ipocrita e strumentale, spingeva per

contrappasso alla variante operista per fanatici. Da un lato, la marcia delle cooperative, sotto costo,

da non sottovalutare. Dall’altro, l’uccisione in nome del comunismo di giornalisti azionisti e di

guardie carcerarie del tutto innocenti.

In questo gran premio dell’ipocrisia e dell’idiozia GLG ovviamente brillava per normale

intelligenza. Ben presto maturò una concezione ciclica e non precipitativa della riproduzione

capitalistica. È vero che per un decennio sostenne la teoria che il capitalismo si definiva in base al

parametro della divisione tecnica del lavoro, e che perciò l’URSS era capitalistica, perché la

divisione tecnica del lavoro a Mosca somigliava a quella di Parigi, teoria che benevolmente

possiamo chiamare ingenua, e con un po’ di severità sciocca, ma che farci! A quel tempo il campo

della teoria marxista aveva come motto: «Vediamo che li spara più grosse!».

V. GLG non è certamente stato il primo a mettere in dubbio il carattere rivoluzionario sistemico ed

intermodale della classe operaia, salariata e proletaria sociologicamente intesa. Si crede in genere

che si tratti di una teoria di sinistra, anzi di estrema sinistra. Errore. Si trattava in realtà del pilastro

del marxismo di Kautsky, che come (non a tutti) è noto, finì invece a destra, contro il comunismo di

Lenin. Lenin, che certamente era più “a sinistra” di Kautsky, aveva invece capito benissimo che

questa mitologia sociologica operaista-spontaneista era un’illusione, e per questo produsse le due

teorie complementari del partito politico e della strategia delle alleanze di classe. GLG ha avuto

però il merito di andare a scavare filologicamente sotto la superficie di questo mito, partendo dalla

sua variante italiana, e cioè l’operaismo in tutte le sue versioni, dalla più nobile (Raniero Panieri e

Mario Tronti) alle più degenerative e ridicole (Marco Revelli e Antonio Negri). GLG ha capito che

l’operaismo, che si pose all’inizio come reazione all’economicismo, era in realtà la forma più

estrema e fanatica dell’economicismo stesso, perché faceva dipendere il comunismo non solo dal

livello dello sviluppo delle forze produttive (dalla catena di montaggio fordista alla rete di

computer), ma trasformava il concetto complessivo di modo di produzione in successione

tecnologica delle innovazioni di processo. Non c’erano più il feudalesimo, il capitalismo ed il

comunismo, ma il taylorismo, il fordismo ed il toyotismo. Ora c’è l’innovazione informatica, che

permetterà alle Moltitudini di costruire il comunismo a partire dalla vittoria dell’Impero

ultracapitalistico del mondo.

Napoleone avrebbe detto, come disse a proposito del suo stupido fratello re di Spagna: «Stupidità o

tradimento?». Il lettore barri la casella che preferisce. La mia formulazione preferita è questa:

«Tradimento attraverso la Stupidità». Croce parlerebbe di ragioni pratiche dell’errore teorico, in

quanto questa gent(aglia) è inseritissima negli apparati mediatici ed universitari. Altra domanda:

secondo voi, se fossero realmente tanto pericolosi per il sistema, avrebbero tanto spazio?

GLG ha però, primo in Italia, individuato sistematicamente i due punti essenziali della questione.

Primo, Marx (cfr. Capitolo VI inedito), non parlò mai come soggetto rivoluzionario intermodale

della classe operaia, salariata e proletaria, ma del lavoratore cooperativo collettivo politicamente

associato, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale. Secondo, Marx pensò (erroneamente) la

socializzazione delle forze produttive a livello di fabbrica, e cioè di unità produttiva, in cui avviene

realmente questa socializzazione, laddove essa non avviene al livello di rete di imprese, dove anzi

aumenta la divaricazione antagonistica di tutte le forme di lavoro.

Ed è questo che, a mio avviso, non poteva perdonare a GLG il circo intellettuale italiano di

“sinistra” (Rossanda, Ingrao, Bertinotti e tutta l’armata Brancaleone al seguito dei giornaletti

esistenti unicamente sulla base di fondi pubblici della “casta” politico-mafiosa che ha effettuato

vittoriosamente il traghetto della prima alla seconda repubblica). GLG le porta via la sua coperta di

Linus, e cioè il suo innocuo blaterare “operaistico” che da tempo copre il suo appoggiare sempre a

prescindere una delle due ali politiche del capitale finanziario italiano contro l’altra (e cioè Prodi e

Veltroni contro Berlusconi e Tremonti). GLG glielo smaschera sul piano teorico, e per questo deve

essere silenziato. Devo dire che il loro silenziamento è fino ad oggi totalmente riuscito. Blaterare

operaistico e commozione mediatica per gli incidenti sul lavoro hanno permesso fino ad oggi a

questo concerto sfiatato di nascondere il loro ruolo di guardia plebea subalterna agli interessi di

Scalfari e di De Benedetti.

Bravi, direbbe Marx! Mi compiaccio. Continuate così, fino a quando vi faranno scendere le scale

dei vostri salotti a calci nel sedere!

VI. GLG è stato sicuramente il punto più alto dell’althusserismo italiano, e questo una futura onesta

storia delle idee marxiste in Italia dovrà assolutamente concederglielo.

Una parentesi. Dal momento che sono stato negli anni sessanta un testimone oculare ed auricolare

della nascita dell’althusserismo in Francia, e sono passati da allora quasi cinquanta anni, vi prego di

credermi. Sull’althusserismo non saprò forse tutto, ma so certamente moltissimo. Ed enuncerò ora il

paradosso dell’althusserismo, senza capire il quale si è come un bambinetto col culo nudo bagnato

dalla sua pipì.

Oggi l’althusserismo sopravvive in microscopici gruppi esclusivamente universitari, il che non

sarebbe neppure un male, se esso fosse nato come reazione al marxismo universitario, che allora in

Francia era il più sviluppato del mondo (dal 1919 al 1933 lo era stato in Germania, ma poi i noti

fatti avevano spostato geograficamente l’asse marxologico – oggi si è spostato nei paesi

anglosassoni, in India, eccetera). Tutte le tesi fondamentali dell’althusserismo (critiche

all’umanesimo, all’economicismo, allo storicismo, al nesso Origine-Soggetto-Fine, centralità della

teoria della storia, riduzione del materialismo dialettico a pura epistemologia, eccetera) sono

comprensibili unicamente all’interno di un tentativo, generoso nelle intenzioni ma totalmente fallito

nei fatti, di riportare il dibattito marxista fuori dalle università e farlo rifunzionare come motorino

“teorico” d’avviamento di prassi collettive rivoluzionarie.

Perché questo fallimento? Non si tratta tanto del difetto di fabbricazione dell’althusserismo, e cioè

la riduzione positivistica dello spazio filosofico a spazio epistemologico, cavallo di battaglia del

pensiero capitalistico stesso (già Heidegger ne aveva diagnosticato la patologia fino da Cartesio e

dalla sua riduzione-conversione della verità in certezza della rappresentazione di un soggetto

formalizzato e destoricizzato). Si tratta di una bestialità, perché la riduzione dello spazio filosofico a

spazio epistemologico (già presente in Comte fino dal 1830), apre la via ad una catena di errori che

restaurano lo storicismo, il relativismo ed il nichilismo, fino alla capriola del determinismo in

aleatorismo, che è soltanto una figura hegeliana dello smarrirsi della coscienza. La vera ragione del

fallimento pittoresco e totale dell’althusserismo sta nel fatto che il suo interlocutore ideale, il

movimento operaio e comunista, era per conto suo in coma irreversibile, ed ogni innovazione

teorica è irricevibile se il suo destinatario è intrasformabile. Ed è allora del tutto inutile spiegare ai

GLG che il pensiero di Marx epistemologicamente non è un umanesimo idealistico, dal momento

che è invece una teoria strutturale dei modi di produzione, ma filosoficamente invece lo è, perché si

oppone al feticismo delle merci capitalistico in nome della resistenza all’alienazione dell’ente

naturale umano generico (Gattungswesen).

Se il problema fosse solo quello di GLG, e cioè di un gentiluomo veneto che di fronte alla filosofia

reagisce come un toro di fronte ad un panno rosso, non avrebbe avuto nessun senso scrivere un testo

come questo. Se però l’ho scritto, è perché oggi, ripeto oggi, riconfermo oggi, in cui

l’althusserismo, nato come reazione politica al marxismo universitario, si è trasformato

dialetticamente in una piccolissima corrente del marxismo universitario mondiale, le pittoresche

ingiurie contro la filosofia, nate come reazione alla chiacchiera filosofica spoliticizzata della

Sorbona del tempo, diventano un ostacolo politico alla nuova comprensione del mondo.

E ne vediamo gli effetti sullo stesso GLG. Insulti feroci contro tutti i tentativi di opporsi al

capitalismo oggi, se per caso sono giustificati con teorie che fanno schifo a GLG (teoria della

decrescita, nazionalismo, religione, eccetera). Disprezzo totale per le classi dominate, che pure sono

effettivamente subalterne e confusionarie, ma non d evono essere giudicate con il criterio della

correzione delle tesi universitarie. E soprattutto, un urlo continuo contro la filosofia, accusata di

filosofismo, equivalente dell’accusa ad un radiologo di radiologismo, ad un camionista di

camionismo, ed ad un fornaio di panismo. Alla fine, GLG resterà solo con il suo allievo Petrosillo,

e non saprà mai perché. Se qualcuno cercherà di spiegarglielo cortesemente e con spirito di

amicizia, comincerà infallibilmente a mandare nitriti equini di odio verso la filosofia.

VII. E qui terminiamo. Non vorrei che il lettore malizioso pensasse che ce l’ho con GLG. Al

contrario. Nutro una stima molto grande per il complesso dell’opera di GLG, e l’ho dimostrato con

ripetuti interventi scritti. Ma stimare per me vuol dire polemizzare, se è necessario. Bernestein

stimava Kautsky, ed infatti polemizzava con lui. La stessa cosa fra Gramsci e Bordiga. Oggi,

invece, regna un clima di ridacchiamento sprezzante e di astuto silenziamento, frutto dell’unione di

snobismo universitario e di paranoia staliniana per i “nemici del popolo”. Polemizzare, per me,

significa proprio il contrario, e cioè mostrare stima per colui che viene criticato.

In sintesi riassuntiva:

(1) GLG è il punto più alto dell’althusserismo italiano, molto superiore allo storicismo

progressistico picista, alla riduzione operistica del concetto di modo di produzione al

susseguirsi di innovazioni di processo, ed infine ai miserabili salotti romaneschi di

“sinistra” che hanno infine prodotto uno scenario di rovine, peraltro comiche più che

tragiche.

(2) GLG è titolare di un pensiero compatto e coerente, che dà luogo ad un vero e proprio

paradigma. È uno dei pochi potenziali caposcuola di una corrente seria di pensiero, e le

sue urla regressive contro la filosofia non toccano nell’essenziale la pertinenza e

l’intelligenza dei suoi rilievi.

(3) GLG non capisce, ovviamente, il cuore della questione-Marx. Ed il cuore della

questione-Marx, a mio avviso, sta nel fatto che la critica dell’economia politica si basa

sull’innesto del concetto (economico) di valore sul concetto (filosofico) di alienazione,

innesto che produce il concetto di feticismo della merce, sul quale si fonda il pensiero di

Marx, che non è pertanto una teoria economica come le altre, sia pure di “sinistra”, ma è

una teoria della storia che presuppone una filosofia idealistica della storia.

E tuttavia, anche senza capire questo si può capire molto. In fondo, i navigatori micenei pensavano

che la terra fosse piatta, e ciononostante fecero meravigliose scoperte geografiche nel Mediterraneo.