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Chi ha incastrato Afrodite? Sulle tracce pagane con James Hilllman

di Silvia Ronchey - 18/10/2008

Fonte: silviaronchey

Una lezione magistrale sul Sapere dell’anima, James Hillman ha il cuore a Capri. E’ di lì che è arrivato, dopo aver reso omaggio al genius loci dell’isola, alla sua anima sacra, con una performance mozzafiato di più di tre ore. In piedi, nel chiostro della Certosa affollato dal pubblico internazionale convocato dall’Associazione Culturale La Conchiglia di Ausilia Veneruso e Riccardo Esposito, Hillman ha esordito con una preghiera a Afrodite, la divinità di cui è stato invitato a parlare per concludere, dopo Massimo Cacciari e Ernesto Franco, la rassegna Le parole degli dei. Un’invocazione iniziale, come gli antichi, per propiziarsi una divinità che emana “strane compulsioni e irresistibili allettamenti”.


“Anche se gli antichi greci la chiamavano la Dorata e la Sorridente, Venere è in primo luogo portatrice di tentazioni che trasgrediscono l’ordine etico e prescindono dalla giustizia”, spiega Hillman. E’ proprio questo il problema al quale ha dedicato il suo ultimo saggio, La giustizia di Afrodite, pubblicato dalle Edizioni La Conchiglia. Un discorso profondo, pieno di sorprese, illuminato da un ininterrotto fuoco di immagini e intuizioni.

“Nella nostra civiltà”, continua Hillman, “i seguaci di Afrodite sono stati troppo a lungo relegati a un rango inferiore e frivolo, né serio né morale”. Non parla tanto delle vittime della dea, quanto di coloro “che le fanno da seguito e portano i suoi doni”: di poeti, musicisti, artigiani e creatori, o anche solo di “coloro che imprimono a ogni momento della giornata il segno di Venere nel loro modo di fare, parlare, vestire; di coloro che anche solo nel portamento o nel profumo diffondono fascino, sensualità, leggerezza di tocco, frivolezza perfino, insieme alla follia della passione”.


Ma la dea “non può essere evocata senza trepidazione”. Perché chi si consacra a Afrodite “può anche diventare completamente pazzo, bugiardo, maniacale, crudele”. Per questo, Hillman l’ha voluta “invitare nella psicologia”. Ha voluto “immaginare una psicologia che sviluppi idee e prassi in modo a lei più vicino”.

Quale? Si tratta anzitutto, spiega Hillman, di capire “dov’è la bellezza nella psicologia”. Perché finora “nelle sue teorie, nella formazione degli psicoterapeuti, nel linguaggio che parlano e scrivono, perfino nei loro vestiti, il disprezzo per l’apparenza insulta Afrodite restringendo l’idea di anima alla sola invisibile interiorità degli esseri umani. La psicologia esplora il cuore umano ignorando che il desiderio essenziale del cuore non è solo quello dell’amore, ma anche quello della bellezza”.


Ma anche nel passato le incursioni nel cosmo di Venere della psicologia e della filosofia, per non parlare della teologia, sono per Hillman desolanti: “Tommaso d’Aquino e Agostino hanno tracciato distinzioni rigide e severe tra le varie facce di Venere: tra philìa e charitas, ad esempio, o tra eros e agape, tra coniugale ed extraconiugale, tra omo- ed eterosessuale”. Neanche i neoplatonici del Rinascimento hanno resistito alla tentazione di una gerarchia, elaborando l’idea di un “progresso dell’anima dai desideri carnali della voluptas ai voli alati dell’amore spirituale”.

Tornando all’infelice rapporto tra psicologia e bellezza, da cosa dipende? “Da un problema più ampio della mente occidentale. I pensatori classici e i filosofi, anche quelli che conoscevano bene l’antichità, con la rilevante eccezione dei romantici, hanno semplicemente evitato di lavorare su Afrodite. In alcuni casi non l’hanno neanche considerata una vera dea: non sembrava loro meritevole dell’Olimpo, in ogni caso era ovviamente immorale, priva di dimensione etica.”


Per quale motivo? “Perché Venere è rimasta intrappolata in un dilemma fondamentale del cristianesimo, quello che divide la bellezza dalla bontà e dalla verità, spaccando in due l’idea classica di kalokagathon — bellezza e bontà saldate in una sola parola”. Inutile dire che la priorità è stata data alla sfera morale. “Il che ha portato a considerare Venere un disturbo, una fuorilegge. La lunga storia della filosofia cristianizzata ha separato l’etica dall’estetica, la giustizia dalla bellezza, così che generalmente non crediamo che si possa essere insieme buoni e belli, morali e attraenti; né che i piaceri dei sensi siano una via di verità”.

E lo sono, invece? “Il controllo della ragione sulla filosofia ci ha spinto a voler acquisire nozioni sull’amore, ma non da Venere. A cominciare da Gesù, che teneva Venere a distanza, e allora il suo è diventato un amore senza bellezza, un imperativo morale, un’esortazione, un dover essere e non un impulso. E la bellezza, senza il suo potere persuasivo, la sua capacità di commuovere, è diventata troppo spesso, nel pensiero occidentale, un grazioso rivestimento sotto cui nascondere i fallimenti del cuore”.


Dunque noi moderni risentiamo della separazione razionalistica di categorie psicologiche un tempo fuse tra loro? “Amore. Desiderio. Bellezza. Giustizia. Ciascun termine con la lettera maiuscola, ciascuno argomento a sé, trattato separatamente nelle enciclopedie filosofiche dalle nostre menti occidentali che hanno abbandonato le loro radici mitiche”. Ma se studiamo il mito di Afrodite attentamente, a partire dalla sua nascita dal mare, scopriamo alcuni dati tanto utili quanto finora trascurati.

“Secondo la Teogonia di Esiodo, la sua narrazione sull’inizio delle cose, le prime a salutare Afrodite sono state le Horae: le Ore, figlie di Themis, la ‘legge di natura’, i cui nomi erano Eirene, ‘pace’, Dike, ‘giustizia’, Eunomia, ‘giusto ordine’ o ‘buon governo’. Quando la dea emerge nuda dalla schiuma, loro le mettono una corona sul capo, e orecchini e intricati fiori di rame e oro intorno al collo e sui seni — è descritto nel secondo inno omerico ad Afrodite”.


E cosa ci rivela? “Queste Horae, le Ore, come appunto il loro nome è stato tradotto, sono le naturali scansioni del tempo che procede attraverso il giorno e la notte, il ciclo delle stagioni e le attività che le seguono: le migrazioni degli uccelli, gli accoppiamenti tempestivi fra le creature e così via. E dunque la bellezza della dea è anche l’espressione del dispiegarsi del giusto senso nella giusta ora, nel giusto momento. Rivela, in uno stesso e unico istante, l’appropriatezza, la giusta collocazione, il piacere dell’ordine. Questa combinazione di bellezza e giustizia nel momento mitico dell’arrivo di Afrodite richiede una totale revisione della nostra visione del mondo”.

Silvia Ronchey