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La bancarotta senza fine (della superpotenza americana)

di Luigi Tedeschi - 24/10/2008


 

IL COMUNISMO LIBERISTA AMERICANO
Questa è solo la cronaca di una bancarotta da lungo tempo annunciata. La crisi sistemica del liberismo era infatti prevista e prevedibile da anni, data la illimitata moltiplicazione della liquidità virtuale creata dalla speculazione finanziaria globalizzata. La globalizzazione, con l’integrazione delle economie a livello mondiale, ha esteso a tutti i continenti le conseguenze del crack della finanza USA. La globalizzazione dunque non ha funzionato? Diremmo senz’altro di si, dato che se globale è l’economia, globale è anche il suo fallimento. La bancarotta della Lehman Brothers e l’acquisto di Merrill Lynch da parte della Bank of America, comporterà la perdita di circa 50.000 posti di lavoro. Gli USA, dopo la nazionalizzazione per 200 miliardi di dollari dei colossi immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac, la più vasta nella storia americana, hanno approvato il piano Paulson per 700 miliardi di dollari di intervento pubblico per l’acquisto di titoli spazzatura collegati alla insolvenza dei mutui immobiliari. Le ripercussioni del crack americano in Europa sono ben visibili: il Benelux ha stanziato 10 miliardi di denaro pubblico per il salvataggio di Fortis, francia e Belgio quasi 7 miliardi per Dexia, la Germania ha finanziato Hypo Re per 35 miliardi di euro, la gran Bretagna ha nazionalizzato Nothern Rock e Bradford & Brigley, oltre a rilevare mutui per 91 miliardi di dollari, la Danimarca ha nazionalizzato Roslkind Bank, l’Islanda la Gritlin. Secondo fonti attendibili della Bank of America, delle attuali 8.500 banche americane, ne sopravviveranno alla crisi circa 4.000. Gli USA e l’occidente sono dunque divenuti “comunisti”? Probabilmente si, dato che questo “comunismo” nazionalizzatore è l’unico mezzo idoneo a far risorgere dalle ceneri un liberismo che, con le sue elites finanziarie dissolutrici, costituisce la ragion d’essere e il fine ultimo dell’occidente americanizzato. Del resto, la Cina comunista non ha dimostrato che il liberismo si può benissimo imporre con metodi autoritari e antidemocratici?

LA MALA VIA
DELL’ESPANSIONE DI BUSH
Questo fallimento ha comunque cause ben precise. Alla base della bancarotta vi è infatti la bolla immobiliare, creata dalla concessione di mutui da parte delle banche per il 100% dei valori immobiliari, a rate basse, non muniti di garanzie circa l’affidabilità del debitore. Tuttavia il rischio di insolvenza veniva trasferito dalle banche su altri investitori, in quanto tali mutui venivano finanziati mediante emissione di obbligazioni e le banche stesse erano in tal modo rimborsate dei prestiti erogati e potevano quindi effettuare nuovi finanziamenti. Nell’estate 2007, a seguito del moltiplicarsi delle insolvenze, i titoli persero valore insieme coi loro derivati, generando crescente panico e generalizzata mancanza di liquidità. Analoga situazione si verificò per le carte di credito. Infatti le banche hanno incentivato la diffusione abnorme delle carte di credito e con esse il credito al consumo. Attualmente il debito generato dalle carte di credito è di circa 970 miliardi di dollari.  Infatti i debiti per finanziamento delle carte di credito fanno parte integrante di pacchetti finanziari che oggi, data da vastità dei crediti insolubili, potrebbero rappresentare una bolla finanziaria prossima allo scoppio, analogamente a quella dei mutui subprime. A causa della diffusa insolvenza e della svalutazione degli immobili, gli istituti finanziari hanno aumentato gli interessi sui debiti non pagati. Sono questi gli strumenti mediante i quali la politica economica americana ha determinato un abnorme incremento dei consumi e l’indebitamento condurrà senza dubbio alla recessione. L’economia americana è infatti drogata da un iperconsumo, che costituisce oggi il 70% del Pil. Infatti gli americani hanno raggiunto livelli di consumo superiori al loro reddito, dato che la quota di risparmio si è progressivamente ridotta fino a raggiungere nel 2005 il tasso negativo pari al –0,5%. Le quote sono in Europa di circa il 10%. Tale situazione è diretta conseguenza della politica di espansione condotta da Bush nei suoi due mandati presidenziali. Precedentemente all’11 settembre del 2001, dopo lo scoppio della bolla finanziaria legata alla new economy dell’era Clinton, l’economia dava segni di ristagno, precursori di una imminente recessione, segnali che lo shock dell’11 settembre tramutò in panico e sfiducia con caduta verticale delle borse. Pertanto, tale evento traumatizzante indusse l’amministrazione Bush a intraprendere una politica di espansione del credito e della liquidità che ebbe l’effetto di far lievitare oltre misura le borse e i consumi rispetto ad una crescita economica in proporzione assai modesta. Il raffronto della crisi attuale con quella del ’29 sembra ovvio, ma invece la diversità dei due eventi è profonda. La depressione del ’29 ebbe come causa carenza di domanda e di credito che non poteva assorbire l’offerta. La politica di Bush ha invece combattuto la contrazione del credito mediante ripetuti ribassi dei tassi di interesse, incentivando oltremodo l’accesso al credito, ha esteso le facilitazioni delle banche commerciali alle banche d’affari, allentando vigilanza e controlli. La stessa manovra del piano Paulson, che prevede l’acquisto da parte di istituti pubblici dei titoli svalutati dei mutui subprime, è simile a quella della Resolution Trust Corporation per fronteggiare la crisi immobiliare del 1989. Il costo di tale manovra fu di 153 miliardi, con un costo a carico dei contribuenti di 124 miliardi. L’ammontare complessivo della manovra fu pari al 3% del Pil. L’ampiezza e l’imponenza della attuale crisi è difficilmente valutabile: potrebbe raggiungere il 7% del Pil. L’estensione del credito e l’intervento pubblico sono strategie tipiche dell’economia keynesiana già sperimentate negli anni ’30. Tali strumenti sono stati usati negli anni ’60 e ’70, producendo grandi ondate inflazionistiche che hanno pregiudicato lo sviluppo. Ciò fa seriamente dubitare circa l’efficacia di tali manovre nella crisi attuale. Occorre inoltre aggiungere che questi strumenti sono già stati parte integrante della politica di Bush per combattere la recessione, comprese le guerre intraprese, che hanno incentivato l’intervento massiccio della mano pubblica nell’economia. L’odierna ovvia domanda è la seguente: i costi a carico della collettività saranno proporzionali a risultati per ora al di là da venire?

LE RESPONSABILITÀ
DELLE BANCHE D’AFFARI
E LA SPECULAZIONE AL RIBASSO
Le perdite dei mutui subprime potrebbero ammontare al 70% del denaro erogato dalle banche. La svalutazione dei titoli sortisce l’effetto domino di far crollare tutti i titoli, compresi gli stessi fondi pensione. Il panico e  i contraccolpi psicologici delle masse potrebbero aggravare l’incipiente recessione.
Responsabili di tale fallimento sono in primo luogo le banche d’affari: tali banche per erogare credito debbono procurarsi fondi presso gli investitori. Qualora tali fondi subiscano una contrazione, la banca d’affari subisce una crisi di liquidità con il rischio che, oltre a non poter effettuare investimenti, possa essere insolvibile nei confronti dei propri investitori. Le banche, in crisi di liquidità debbono quindi ridurre il capitale proprio, determinando una stretta creditizia pregiudizievole per le imprese. In realtà le banche d’affari oggi,  dopo aver artatamente gonfiato le attività di bilancio costituite dai mutui subprime inesigibili ed aver erogato compensi fantasmagorici e stock option alle loro elites manageriali sulla base di utili inesistenti, sono costrette a ridurre il capitale proprio ed effettuare ricapitalizzazioni che generano ulteriore panico presso gl investitori, provocando repentini crolli delle borse.
La recessione economica è dunque alle porte: l’indice Down Jones è crollato di oltre 30 punti, alimentato dalla speculazione al ribasso, come già successe all’indomani dell’11 settembre, con scommesse al ribasso su opzioni di United Assilines e America Airlines, i cui aerei furono impiegati negli attentati, che procurarono agli investitori (tra cui la banca d’affari AB – Brown), un guadagno di circa 10 milioni di dollari. La stessa speculazione al ribasso si sta verificando relativamente al prezzo del petrolio: così come la speculazione al rialzo sui futures aveva portato il prezzo del greggio a 150 dollari il barile, ora, a causa dell’azione dei ribassisti è arrivato a 76 dollari, ma l’economia non può certo rallegrarsene più di tanto, dato che il prezzo del barile, prima delle guerre di Bush era di 30 dollari.

LE FINANZE USA DIPENDONO
DAL DEBITO ESTERO
La crisi finanziaria è comunque una conseguenza degli enormi deficit commerciali dell’economia americana. La delocalizzazione massiccia dell’industria americana ha determinato disoccupazione interna e cronico deficit commerciale. Le stesse guerre americane hanno avuto un costo di circa 3.000 miliardi senza una crescita adeguata a sostenere tali oneri di bilancio statale. Pertanto, onde sostenere un deficit interno di 600 miliardi e un deficit commerciale di 800 miliardi, gli USA debbono far ricorso ad investimenti esteri a sostegno del proprio deficit: occorre cioè che i surplus commerciali esteri vengano reinvestiti in buoni del Tesoro del debito americano. Tale riciclaggio ha determinato la dipendenza degli USA dagli investimenti stranieri, in primis della Cina, che nel 2007 deteneva circa 376 miliardi del debito americano. il recente decremento degli investimenti esteri, causato dai repentini ribassi del dollaro, ha indotto gli USA alla nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, allo scopo di garantire i prestiti. Secondo alcuni analisti, è in gioco la stessa credibilità de Tesoro americano dato che, oltre ai 600 miliardi di prestiti stranieri a sostegno del deficit pubblico, non è possibile quantificare quanti altri debiti dovrà contrarre il Tesoro stesso per sostenere i mutui insolvibili dei due colossi immobiliari.
La dipendenza dell’economia USA dal debito estero si è sempre più accentuata, dato che la banca d’affari Morgan Stanley, è stata ceduta per il 21% alla giapponese Mitsubishi UFJ per scongiurarne il fallimento. La recessione già prevista alla fine del 2008 si protrarrà per il 2009. La crescita del Pil americano nel 2008 è dovuta all’incremento delle esportazioni causato dalla debolezza del dollaro. Il piano Paulson da 700 miliardi, probabilmente, non produrrà crescita sostenuta, poiché la recessione va estendendosi al resto del mondo, specie nei mercati emergenti, più sensibili ai contraccolpi della crisi americana.

IL CAPITALISMO
“ECONOMICAMENTE CORRETTO”
SOPRAVVIVE SOLO GRAZIE ALLO STATO
Il piano Paulson, così come i salvataggi europei, comprese le nazionalizzazioni, non rappresentano però una inversione di tendenza della struttura liberista dell’economia mondiale. Non si intravede infatti alcun ritorno al modello di economia mista, allo stato imprenditore. Gli interventi pubblici sono provvedimenti straordinari tipici dello stato di emergenza, atti a sostenere un sistema bancario al tracollo: vengono rifinanziati mediante denaro pubblico i gruppi finanziari già responsabili delle sciagurate speculazioni effettuate in passato, trasferendone il rischio sui risparmiatori. L’intervento pubblico è quindi un correttivo operato da una classe politica che in occidente ha una funzione “assistenziale” nei confronti di un capitalismo finanziario, il cui liberismo “economicamente corretto” è praticabile solo grazie ad uno stato che adempia al ruolo di debitore in ultima istanza. Il modello liberista potrebbe invece essere trasformato qualora gli stati, a fronte dei finanziamenti di salvataggio acquisissero quote di partecipazione nelle banche che assicurassero loro il ruolo istituzionale di controllo del credito e le banche quindi, tornassero alla loro funzione originaria di raccolta del risparmio ed erogazione del credito, con parallela abolizione delle banche d’affari, in quanto il ruolo degli istituti di credito non può essere confuso con quello degli investitori finanziari.
Ci si chiede invece quali mutamenti subirà il sistema economico mondiale a seguito di questa crisi sistemica. E’ facilmente prevedibile un rilevante rafforzamento delle banche centrali, quali enti preposti alla emissione monetaria. Le sovvenzioni statali dipendono dalla emissione di titoli a fronte di prestiti effettuati dalle banche centrali (Fed, BCE, Bankitalia etc..), che non sono enti pubblici, ma società private. Il megaindebitamento degli stati verso le banche centrali, poi trasferito sulla collettività, conferirà a queste ultime un potere assoluto nella finanza globale.       

IL DECLINO AMERICANO E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA
Occorre tuttavia prendere atto del declino dell’egemonia americana, sia dal punto di vista finanziario che da quello militare. Oggi gli USA sono infatti condizionati da un debito estero fuori controllo detenuto in gran parte dalle potenze emergenti quali la Cina e dai paesi produttori di petrolio della penisola arabica. Militarmente, gli USA non hanno avuto ragione né dell’Iraq, né dell’Afghanistan, né hanno potuto imporsi nelle rivolte in Georgia.
Ci si chiede se nel prossimo futuro si riproporrà nella geopolitica mondiale un quadro multipolare, i cui protagonisti possano essere le potenze continentali, quali la Cina, l’India, la Russia e…. forse l’Europa stessa. Quale sarà infatti il ruolo dell’Europa? L’Europa della BCE saprà compiere scelte coraggiose ed indipendenti dalla sudditanza politica degli USA e saprà svincolarsi dalla signoria del dollaro? Le attuali scelte europee fanno presagire una risposta negativa. Il paradosso più evidente è quello della Commissione di Bruxelles, che deve giudicare se l’operazione Alitalia possa costituire o meno un aiuto di stato, in violazione delle regole della concorrenza. Tutto questo in tempi di nazionalizzazioni e sovvenzioni pubbliche a pioggia verso il sistema bancario di tutta l’Europa! La UE persegue una strategia economica bancario – monetarista che non offre sbocchi allo sviluppo. Essa è incapace di decidere misure antirecessive adeguate. La UE è stata solo capace di abbassare tardivamente i tassi di interesse, già alzati la scorsa estate in tempi di stagflazione. Tassi di interesse, che a seguito dell’aumento del tasso Euribor (prestiti interbancari), finiscono col riversarsi sui mutui e sul credito verso le imprese, alimentando processi recessivi.
Possiamo condannare e costatare il fallimento della ideologia e della economia liberista, possiamo avversare l’imperialismo americano, ma della mancanza di sovranità di questa Europa, siamo e saremo responsabili dinanzi alla storia solamente tutti noi!