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Due regine di Francia

di Benedetta Craveri - 28/10/2008




 
In occasione della mostra fiorentina dedicata a Caterina (1519-1589) e Maria de’ Medici (1573-1642), Benedetta Craveri ripercorre la vita e le vicende di due fra le donne più influenti dell’Europa moderna.
Entrambe salirono al trono a causa della morte dei rispettivi mariti. Il governo di Caterina de Medici fu fortemente influenzato dalle guerre di religione che sfociarono nel massacro della notte di San Bartolomeo. Nonostante ciò, Caterina ebbe il merito di riuscire a salvare l’integrità territoriale della Francia.
Maria de’ Medici governò invece nello spirito della Controriforma, relegando al margine il figlio Luigi XIII. Fu il risentimento di quest’ultimo a generare la rivolta contro Maria.

A distanza di soli cinquant’anni, nel 1559 e poi nel 1610, la Francia vide due regine venute dall’Italia e appartenenti allo stesso casato prendere inaspettatamente le redini del potere ed esercitare un ruolo storico di primo piano nelle vicende del paese. Caterina de’ Medici (1519-1589) e Maria de’ Medici (1575-1642) erano in effetti lontane cugine, ed era stata l’attrattiva esercitata dall’immensa fortuna che portavano in dote a condurre sia l’una che l’altra sul trono della più antica monarchia d’Europa. La loro sorte non sarebbe stata diversa da quella di tante altre sovrane francesi, relegate al ruolo subalterno di spose e di madri, se la morte improvvisa e violenta dei rispettivi mariti - Enrico II di Valois vittima di un incidente di torneo e Enrico IV di Borbone assassinato da un fanatico ultracattolico - non le avesse sospinte ad assumere la reggenza e a governare in nome dei figli minori. E sebbene, confrontate all’esercizio del potere, Caterina e Maria si rivelarono diversissime tra loro per temperamento, intelligenza, e convinzioni politiche e religiose, entrambe furono vittime di una leggenda nera e di una damnatio memoriae dura a morire.
Caterina era figlia della cultura rinascimentale, coltivava gli ideali di ordine, di concordia, di armonia cosmica teorizzati dalla filosofia neoplatonica ed era convinta che tutte le religioni portassero in sé una scintilla di verità divina. La sfera politica le appariva dunque distinta da quella religiosa e non vedeva ragione perché uno stato sovrano non potesse accordare ai suoi sudditi, nel pieno rispetto delle leggi, la libertà di culto. Ma quelli che videro Caterina al potere erano tempi di intolleranza e di violenza, e per farvi fronte, e conservare ai propri figli la corona, ella si rivelò ugualmente capace di uno straordinario realismo, mostrandosi insuperabile nell’arte della trattativa, della dissimulazione, dell’inganno senza mai rinunciare a una messa in scena sapiente dei simboli della regalità. Per volere della regina fiorentina il cerimoniale di corte con tutto il suo apparato di feste, di sfarzo, di magnificenza raggiunse, nonostante i tempi, come lei stessa ebbe a dire, «miserevoli», uno splendore ineguagliabile.
I trent’anni di regno che, a partire dalla morte di Enrico II nel 1559, videro Caterina governare al fianco dei tre figli - Francesco II, Carlo IX e Enrico III - che si succedettero sul trono dei Valois, coincisero infatti con le guerre di religione, uno dei periodi più tragici e sanguinosi della storia francese. Davanti a un paese diviso tra cattolici e protestanti l’un contro l’altro armati, priva della forza politica e militare necessaria per imporsi ad entrambi e decisa a salvaguardare ad ogni costo l’unità del regno, Caterina fu costretta a barcamenarsi tra i due schieramenti. Così, per evitare di essere consegnata mani e piedi legati alla Spagna dal partito cattolico capitanato dai Guisa, o di essere trascinata altrettanto rischiosamente dai protestanti in una guerra contro la Spagna, la vedova di Enrico si trincerò dunque dietro una politica che consisteva nel destreggiarsi tra i figli, la Lega, la Riforma, fomentando l’odio tra i due partiti perché si neutralizzassero a vicenda. Conseguenza di tali oscillazioni di campo furono le otto guerre di religione susseguitesi nell’arco di tempo di poco più di un ventennio e che toccarono l’apice della ferocia e della barbarie con la notte di San Bartolomeo.
Il celebre massacro degli ugonotti prese l’avvio la sera del 24 agosto 1572, nel corso dei festeggiamenti del matrimonio della figlia più giovane di Caterina, Margherita di Valois, andata in sposa a Enrico di Navarra, capo del partito protestante. L’unione, che nelle intenzioni della Regina Madre doveva suggellare una nuova politica di pace e di riconciliazione nazionale, fu invece all’origine di un terribile bagno di sangue. E se la dinamica che diede origine alla mattanza di migliaia di ugonotti in tutto il territorio francese permane a tutt’oggi oscura, gli storici sono inclini a pensare che la decisione - presa certo collegialmente da Caterina, Carlo IX e i loro consiglieri - mirasse ad eliminare i soli capi del partito protestante. Una decisione forzata, dettata dalla necessità di salvaguardare l’incolumità della famiglia reale esposta alla duplice minaccia degli ugonotti, accampati al Louvre e indignati per l’attentato teso all’ammiraglio di Coligny, e della plebe parigina fomentata dalla Lega e pronta ad insorgere.
Nonostante tutti i suoi sforzi, la sua intelligenza, le sue energie, Caterina non riuscì a porre fine alle violenza di una guerra fratricida, non poté impedire che il figlio Enrico III si macchiasse dell’assassinio del duca di Guisa e morì poco dopo a Blois, il 5 gennaio 1589, disperata all’idea di un nuovo conflitto civile e consapevole della fine imminente della dinastia dei Valois. Ma nella difesa ostinata di quella che considerava l’eredità dei suoi figli, Caterina era riuscita a salvaguardare l’integrità territoriale della Francia, permettendo alla monarchia francese di superare una delle prove più difficili della sua storia.
Sette mesi dopo la scomparsa di Caterina, morto per mano di un sicario anche Enrico III, sarebbe stato il marito separato della figlia Margherita, il re di Navarra, a salire sul trono dei Valois, dopo essersi assicurato la corona con la forza delle armi e avere abiurato la religione protestante. In cambio dell’annullamento dal suo primo matrimonio, Enrico IV di Borbone si rassegnò a tenere conto degli auspici del papa Clemente VIII e il 17 dicembre 1600 prese in moglie una principessa di stretta osservanza cattolica. Lontana parente di Caterina e, come lei, forte di una dote favolosa, Maria de’ Medici coltivava un’alta idea di se stessa ed era ambiziosa, autoritaria, esigente. Ma l’orgoglio di sedere sul trono francese e le numerose maternità non erano state sufficienti a farle sopportare di buon grado i tradimenti coniugali e, ancor meno, la convivenza forzata con le amanti e i bastardi del suo reale consorte. Non è dunque così sorprendente che, dopo dieci anni di liti continue, la tragica morte del marito, pugnalato da Ravaillac il 14 maggio 1610, non facesse di lei una vedova inconsolabile. E poiché, al momento della scomparsa del padre, Luigi XIII aveva solo nove anni e non era in età di regnare, Maria abbracciò con entusiasmo le sue nuove responsabilità di reggente.
Le sue opinioni politiche erano opposte a quelle del marito e non tardò a dimostrarlo. Figlia della Controriforma, cattolica intransigente, Maria era imparentata per parte di madre con la casa d’Asburgo e intendeva mettere fine al secolare conflitto tra la Francia e l’Impero. Suggellata dal doppio matrimonio di Luigi XIII con Anna d’Austria e di Elisabetta di Francia con il futuro Filippo IV, la nuova politica si proponeva di ridare coesione ed unità d’intenti all’Europa cattolica e di sradicare l’eresia protestante dal suolo francese. La pace, la lotta contro la miseria, la ricristianizzazione di un popolo che i conflitti civili avevano fatto precipitare nella barbarie erano peraltro esigenze diffuse, che potevano contare anche sul sostegno del potente «partito devoto» e del suo capo carismatico, il cardinal di Bérulle. Ma nel perseguire il suo programma politico, Maria commise due gravissimi errori.
In primo luogo, decisa a conservare il più a lungo possibile il potere, ella dimenticò che il compito di una reggente era quello di mettere quanto prima il giovane re in condizione di regnare e tenne il figlio lontano dagli affari, non mostrandogli la considerazione e il rispetto che gli erano dovuti e provocando in lui un risentimento profondo e un altrettanto forte desiderio di rivalsa. In secondo luogo si scelse come consiglieri Eleonora Galigai, la compagna di giochi che l’aveva seguita in Francia e suo marito Concino Concini, un avventuriero senza scrupoli che, arrivato ad assumere di fatto le mansioni di primo ministro, si attirò con la sua rapacità, la sua brutalità e la sua arroganza l’odio di tutta la corte e in special modo quello del giovane sovrano. Ed è proprio facendo trucidare Concini dalle sue guardie che, a quindici anni e mezzo, Luigi sfidava l’autorità della madre e annunciava la sua volontà di regnare. Maria, tuttavia, non era disposta a farsi mettere da parte e per difendere la sua posizione di potere non si limitò all’intimidazione psicologica e al ricatto affettivo, ma ordì complotti, assoldò degli eserciti e incitò il figlio secondogenito, Gastone d’Orléans, a entrare in aperto conflitto con il fratello. Solo nel 1631, ella capì che la partita era persa e prese la via di un esilio senza ritorno. [...]