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Tre in uno: jazzista, scrittore e attivista (una conversazione con Gilad Atzmon)

di di Manuel Talens - 12/02/2006

Fonte: Comedonchisciotte

 

La Bellezza come Arma Politica


 

L’autostrada spagnola A7 verso nord gode normalmente di un traffico scorrevole ed è facile da percorrere, ma il giorno 27 dell’ultimo agosto ha messo veramente alla prova la mia pazienza, perché avevo un incontro con Gilad Atzmon nella zona dei Pirenei francesi e la valanga di macchine dei vacanzieri europei di rientro dalle ferie ha più che raddoppiato il traffico quindi, anziché arrivare alle 2 di pomeriggio, sono arrivato all’appuntamento stringendogli le mani quando il sole era già scomparso. Fortunatamente, mi ha aspettato. Nato in Israele, Gilad Atzmon viene cresciuto come ebreo laico. Svolge il servizio militare obbligatorio ai tempi della Guerra del Libano (1982), un evento che lo porta a una posizione di scetticismo sul Sionismo e sulla politica israeliana. Dieci anni dopo fugge dal suo paese natio con un biglietto di sola andata. In Inghilterra studia Filosofia, ma dopo la laurea sceglie di dedicarsi alla musica anziché dedicarsi alla carriera accademica. Ora vive a Londra e si considera in esilio.

Prima del nostro incontro eravamo già in contatto attraverso e-mail occasionali, e da allora ho cominciato a tradurre in spagnolo alcuni tra gli articoli che produce incessantemente sul suo sito web (www.gilad.co.uk) contro gli apparati istituzionali dello stato di Israele. Mi ha sempre colpito per il modo strutturato intellettuale che utilizza nel criticare quella che considera la politica razzista dei sionisti, mettendo la sua arte al servizio di una causa: la liberazione del popolo palestinese. Se ho accennato alla sua arte è semplicemente perché Atzmon, prima di ogni altra cosa nella vita, è un artista che fa uso dei suoi tanti strumenti (sassofono, clarinetto, flauto e.. computer portatile) per suonare la musica, per scrivere dei libri e pubblicare articoli sui giornali. Il suo penultimo album, EXILE, ha ricevuto il premio BBC 2003 come “Migliore album Jazz dell’anno” e ne ha appena fatto un altro, musiK, entrambi registrati con il suo gruppo, una banda multietnica che si chiama The Orient House Ensemble. Ha anche pubblicato due romanzi (A guide to the Perplexed - Una guida per il perplesso -, tradotta in 17 lingue, e My One and Only Love - Il mio Solo e Unico Amore). Quello che segue fa parte di un lungo scambio che abbiamo avuto fino alle prime luci dell'alba, quando lui ha preso la strada per Roma e io me ne sono ritornato verso sud. Segno dei tempi... la nostra conversazione è poi proseguita via chat.

Manuel Talens: Lei chi è, Signor Atzmon?

Gilad Atzmon: Buona domanda, probabilmente io sono l'ultimo a saperlo. Suppongo di essere un musicista jazz convinto di dovermi reinventare. E per reinventarmi devo innanzitutto mettermi a confronto con cose che mi riguardano personalmente. Una buona domanda di partenza è: chi sono io? Molti dei miei scritti e delle mie critiche sul sionismo e sull'economia globale sono alimentati dalla mio tentativo di comprendere chi io sono e mettermi in discussione.

MT: Giochiamo un po' allo psicanalista e al psicanalizzato: deduco che sei lei ci tiene a reinventarsi, il motivo è che non è contento con ciò che lei è attualmente. Mi dica allora per piacere se le causa qualche problema il fatto di essere un ebreo.

GA: Io dico sempre che le interviste mi permettono di risparmiare un bel po' di soldi che invece spenderei andando da uno strizzacervelli. Sa, penso che il bisogno di reinventare me stesso non sia necessariamente una fuga. Più che altro è una ricerca di un'essenza reale. In effetti, il fatto di reinventarsi trae il suo potere da un chiaro assalto verso il proprio ego. Inizi a giocare quando smetti di pensare. Per usare una terminologia lacaniana si potrebbe dire: "Tu sei dove non pensi di essere". Sembrerà pure divertente, ma ora mi rendo conto che è il mio amore per il jazz che mi ha reso sempre più critico verso l'identità ebraica il sionismo. All'età di 18 anni, quando si pensava che mi sarei convertito in un convinto soldato suprematista giudeo, mi innamorai di Coltrane e di Bird. Fu allora che mi resi conto che la cultura che mi ispira (afroamericana) non aveva niente a che fare con la cultura per la quale sembravo destinato a lottare.

MT: Ma questo non risponde alla mia domanda, almeno non con l'obiettivo che ho io in mente. Mi permetta di ricordarle che questa conversazione sarà rivolta innanzitutto a un pubblico di lettori gentili - cioé non ebrei - di lingua spagnola e che non sono necessariamente informati sulle idiosincrasie del popolo ebraico. Ho bisogno di sapere se lei si sente a suo agio sotto la sua pelle in quanto ebreo - considerando il fatto che nessuno sceglie le proprie origini-, ed è importante che io lo sappia, visto che alcune delle mie domande successive tratteranno questioni piuttosto delicate, come l'antisemitismo e l'odio che alcuni ebrei riversano su se stessi. Dunque le riformulo: le causa qualche problema il fatto di essere ebreo?

GA: Proprio no, perché io non mi considero un ebreo. Ciò detto, simpatizzo con gli ebrei credenti così come simpatizzo con qualunque gruppo e credo religioso; tuttavia simpatizzo ben di meno con l'identità laica ebraica. Sostengo che, una volta che spogliate la "giudeità" del suo contenuto spirituale, ciò che rimane non è che mero razzismo. Vede.. io non sono né un ebreo religioso, né un ebreo laico, e quindi non posso considerarmi un ebreo.

MT: Bene.. non mi attendevo una dichiarazione così diretta. Ad esser sinceri, se accettiamo il concetto semiotico secondo cui il linguaggio rappresenta il mondo interiore nel quale viviamo, un mondo che non è mai neutrale e che da' una forma al nostro modo di pensare, dopo averla vista e averla sentita parlare ebraico con sua moglie e i suoi figli mi sono aspettato che si sentisse a suo agio - seppur critico, naturalmente - all'interno dell'ambiente linguistico nel quale lei è cresciuto. Non dimentichiamo che l'ebreo è una lingua franca più o meno snazionalizzata come l'inglese o lo spagnolo, che intanto però è stata resuscitata degli ebrei israeliani. E dunque, se lei è stato cresciuto con un'educazione ebrea laica ma ora disconosce questa educazione, ora che cosa è? Un uomo acculturato?

GA: Di fatto, mi considero come un ebreo che parla palestinese. Io parlo l'ebreo, e la mia patria è la Palestina. A differenza di Israele, che non è che un apparato politico razzista e nazionalista, la Palestina fa parte della geografia. La Palestina è autentica e genuina; Israele invece è artificiale e come tale viene imposta. Vede, quando sento un po' di nostalgia, vado in un ristorante libanese piuttosto che in una gastronomia falafel israeliana. E guardi, non ho proprio alcuna difficoltà a dire che sono stato in grado di entrare, di farmi assimilare in un qualunque gruppo sociale o nazionale, e tra l'altro la cosa non mi coinvolge più di tanto. Il mio inglese non è perfetto e il mio accento svela facilmente quali sono le mie origini nel giro di pochi secondi. Ho imparato a conviverci. Sono nato e cresciuto in un certo posto e non posso proprio farci niente per questo. E tuttavia, continuo a pensare che la compassione e l'empatia siano delle qualità umane universali. Per me, dare un taglio con le mie radici ebraiche significa diventare un essere che sente, che percepisce empatia. Ecco ciò a cui tendo, e questo percorso mi piace.

MT: Ora mi dica per quale motivo sostiene che l'ebraismo laico rappresenta una mera forma di razzismo. Ci sono milioni di persone oneste di estrazione ebraica che non sono per nulla religiose e nonostante ciò si sentono e si considerano ebree, quindi sono davvero sorpreso di questa sua asserzione. Può spiegarmela? E le chiedo anche di spiegare a chiare parole cosa è il sionismo: tenga conto che si sta rivolgendo a dei "gentili" occidentali, i cui geni culturali - i cosiddetti memi - sono cristiani, e che possono sentirsi un po' disorientati quando sentono parlare di questioni quali il sionismo, il semitismo oppure il loro contrario, come l'antisionismo o l'antisemitismo.

GA: Va bene, devo chiarire qualcosa. Non è certo l'origine ebraica di per sé che rende automaticamente razzisti, ma il fatto di sostenere l'identità laica ebraica che "potrebbe" portare ad esserlo. Come dicevo prima.. una volta dopo aver rimosso l'identità religiosa dall'ebraismo, rimane ancora un senso di appartenenza di sangue all'ebraismo. E infatti il sionismo è una concezione nazionalista che connota l'essere ebrei a un'appartenenza razziale ben più che a un credo religioso. Come tale, il sionismo non è altro che pensare che Sion (la Palestina) sia la terra madre del popolo ebraico. Questa bizzarra convinzione si basa fondamentalmente su una promessa biblica. In altri termini, i sionisti interpretano un testo spirituale (la Bibbia) come una specie di catasto territoriale. Ma a questo punto ci si può chiedere: cosa è il popolo ebraico? Secondo una prospettiva sionista, gli ebrei sono quelli che si ritrovano a far parte della razza ebraica. Di fatto, il sionismo precede il nazismo da ben più tempo. I primi sionisti parlavano di eugenetica ebraica di sangue e di razza quando Hitler era ancora in fasce. Il problema è che, mentre il sionismo è nato come un movimento politico esoterico marginale, e veniva aspramente criticato da molte scuole di pensiero ideologiche e religiose ebraiche, ora invece viene propagandato come voce ufficiale del popolo ebraico. Mi sento di sostenere che molti ebrei, e fra questi includo anche i cosiddetti "ebrei antisionisti", di fatto non sono altro che dei criptosionisti. In uno dei miei ultimi articoli (http://www.gilad.co.uk/html%20files/ 3rd.html) sostengo che quelli che si definiscono ebrei potrebbero essere essenzialmente suddivisi in tre categorie principali: 1. Quelli che seguono il giudaismo; 2. Quelli che si considerano come degli esseri umani e che si ritrovano ad essere di origine ebraica; e 3. Coloro che considerano la loro ebraicità ben al di sopra di tutti gli altri tratti comuni che li caratterizzano. Di certo non ho nulla di particolare da commentare sulle prime due categorie, ma la terza è alquanto problematica. La terza categoria di ebrei può far parte di: ebrei che vivono in America (anziché considerarsi americani ai quali capita di essere di origine ebraica), o ebrei che suonano il sassofono (anziché considerarsi dei sassofonisti ai quali capita di essere ebrei), o ebrei antisionisti (anziché considerarsi degli antisionisti ai quali capita di essere ebrei). Insomma per la terza categoria di ebrei, l'appartenenza razziale è una qualità imprescindibile ed è questa, di fatto, la vera essenza del sionismo. Quindi, essere nati ebrei è di per sé innocente, evidentemente.. ma essere ebrei non lo è necessariamente. Tutto dipende dalla categoria alla quale uno sceglie di appartenere. A meno di non appartenere a una delle prime due categorie, non è scontato il fatto di potersi considerare innocenti.

MT: Abbia pazienza se insisto così tanto su questo punto ma.. ci terrei che fosse molto preciso. Per me, questo "non potersi considerare automaticamente innocenti" che ha appena asserito, mi porta a presumere che è tuttavia ancora possibile che chi appartiene alla terza categoria non sia necessariamente un razzista. È giusto ciò che deduco?

GA: Questo lo dico giusto per cercare di essere il più corretto possibile.

MT: Insisto. Lei è disposto ad ammettere la possibilità che questi ebrei antisionisti, che secondo lei non sono altro che dei criptosionisti, possono comunque in ogni caso essere degli ottimi esseri umani, e per nulla razzisti?

GA: Vede, il fatto è che tutti noi siamo, in un modo o nell'altro, "consapevoli della nostra razza", ma essere "razzisti" è ben altra cosa. Sarò molto chiaro su questo punto. Essere degli ebrei laici e nel contempo considerare la propria ebraicità come una qualità di primordine è una chiara manifestazione di una tendenza ad essere razzisti. Molti tra gli ebrei antisionisti non si rendono nemmeno conto del problema che può comportare l'approccio che loro hanno nei confronti della loro stessa razza. È per questo che ho sempre cercato di avere un dialogo con loro, ed invitarli ad esaminare più a fondo l'errore insito nell'idea che hanno della concezione della loro razza. Li esorto a mettere da parte il loro approccio esclusivamente antisionista, e unirsi invece a una causa più universale. Inutile dirlo, molti ebrei sono già consapevoli di questo. Io penso che se il sionismo sia categoricamente una cosa sbagliata, allora, per coloro che lo combattono, la propria appartenenza razziale o etnica diventa una cosa del tutto secondaria.

MT: Quindi se ho capito bene, i destinatari delle sue critiche retoriche sono più che altro alcuni ebrei solamente (in particolare, coloro che appartengono alla terza categoria), e non il popolo ebraico in quanto gruppo.

GA: La risposta è sì. La mia critica non è rivolta ad un intero gruppo, anche perché gli ebrei non sono né un gruppo, né un "popolo". Ma vale bene la pena di tener da conto che quelli che fanno parte della terza categoria non sono esattamente uno sparuto gruppo di individui. Praticamente parlando, la terza categoria forma un'identità molto solida, con dei piani globali fin troppo chiari. Penso anche che all'interno di questa terza categoria sia presente una polarità politica e anche un'opposizione metafisica. Lì si troveranno sionisti di Brooklyn intransigenti e con idee colonizzatrici, e si troveranno dei rivoluzionari ebrei marxisti che vivono a Londra. Non possiamo criticare gli ebrei in quanto gruppo, perché gli ebrei non fanno parte di un vero e proprio popolo, né hanno un'identità razziale o un'identità etnica o culturale. Le differenze culturali che ci sono trai gli ebrei Sefarditi e quelli Ashkenaziti, per esempio, sono evidenti, ma la cosa va ben oltre. Gli antropologi ci dicono che gli ebrei non sono una razza: e infatti, gli studi genetici hanno recentemente dimostrato che mentre gli ebrei Sefarditi e i Palestinesi hanno origini cananite comuni, gli Ashkenaziti, o almeno la maggioranza di essi, non hanno niente a che fare con la terra di Canaan.

MT: Deve scusarmi, ma temo che alcuni lettori potrebbero perdersi se non espone una panoramica di base tra gli ebrei Sefarditi e quelli Ashkenaziti.

GA: Tradizionalmente parlando, gli ebrei Sefarditi (Sephardi significa Spagna, in ebraico) sono associati a quella che viene contrassegnata come origine orientale (Medio Oriente, Mediterraneo, Balcani, Arabia, ecc.). Il termine Ashkenazi fa riferimento molto più largamente ad ebrei di discendenza europea. Ma le cose sono ancora più complesse: come molti di noi sanno, gli ebrei Ashkenaziti sono di fatto dei Khazari. I loro antenati si convertirono al giudaismo verso il IX secolo. Questa cosa è piuttosto imbarazzante per i sionisti, perché se le cose stanno così.. allora per molti Ashkenazi ebrei, il termine "casa" fa riferimento alla terra dell'antico regno di Khazar (che si può localizzare più o meno tra il Mar Caspio e il Mar Nero). Le loro origini geografiche non hanno proprio niente a che fare con la Palestina. Tra l'altro questo fa scaturire una domanda piuttosto interessante di per sé. Io personalmente sono portato a credere che tutti gli Ashkenaziti siano dei Khazari. Un po' di tempo fa, Marcel Charbonnier mi spedì un pezzo che aveva tradotto lui personalmente e che riguardava le origini Yiddish. In base a questo documento accademico tradotto che ho ricevuto, la lingua Yiddish in effetti è strutturata grammaticalmente come quella Khazari. Ma non voglio scendere così in dettaglio e poi sono ben lungi dall'essere un esperto.

MT: Giusto per curiosità, lei è di estrazione Ashkenazita?

GA: Mio padre è senza dubbio un ebreo Ashkenazita. Quindi suppongo di essere di estrazione Khazara.

MT: Bene. La prego, continui.

GA: E tuttavia, benché gli ebrei non formino una razza, questa terza categoria di ebrei è razzialmente motivata. È questa motivazione razziale a cui io mio oppongo. Come lei ben sa, avendo familiarità con i miei scritti, io sono l'ultimo a giudicare qualcuno in virtù della sua appartenenza razziale, e anzi sono totalmente contrario ad un simile approccio. Non esiste un solo singolo riferimento razziale nei miei scritti critici. Sostanzialmente, la mia critica sugli ebrei e sull'ebraicità è mirata all' "identità" della terza categoria. Come potrà supporre, la maggioranza degli ebrei tende a flirtare un po' con la filosofia della terza categoria. I sionisti fanno parte naturalmente del nucleo centrale della percezione suprematista, ma gli "ebrei antisionisti" in qualche modo non sono giusto che poco distanti da questa posizione.

MT: Mi fa piacere che abbia chiarito questo suo pensiero, perché dal lato mio, in quanto gentile perplesso, è interessante vedere come lei, Gilad Atzmon - un essere umano al quale capita di essere di estrazione ebraica, secondo le sue stesse parole, e che confessa la sua simpatia per gli ebrei religiosi, e che aborrisce il razzismo - venga amaramente accusato dai sionisti e da degli irriducibili difensori di Israele di essere un razzista, un antisemita, e addirittura un ebreo che si auto-disprezza. Questo ha un senso? Non abbiamo per caso a che fare con una propaganda di guerra che fa uso del termine "razzista" così, deliberatamente, privandolo del suo significato originale semantico?

GA: Può essere certo che è deliberato, e pure in modo abile. L'identità ebraica contemporanea fa riferimento essenzialmente a tre elementi principali: quello religioso, quello nazionalista e quello razzista. I sionisti hanno interesse a rendere questi tre elementi il più possibile confusi tra di loro, qualcosa che si può definire solo in un modo: frode intellettuale. Una volta che attacchi la loro politica nazionalista, ti accusano d'essere razzista, una volta che attacchi le loro tendenze razziste, replicano con il fatto che è tutto stato per colpa della loro innocente religione. Il modello che descrivo io e che fa parte della terza categoria è modellato di proposito, per mettere in evidenza e attaccare il sionismo e tutta quella ebraicità che si propone come un clan, con una visione del mondo esclusiva e suprematista.

MT: Ora due quiz: giusto per definire in modo risolutivo questa questione e sapere come lei si posiziona definitivamente. Mi risponda solo: sì o no. Lei è un antisemita?

GA: No, certo che no. Di sicuro sostengo che Israele ha esplicitamente deciso di stabilirsi geograficamente in una zona geografica e considerarla lo stato del popolo ebraico, e lo ha fatto a spese di indigeni palestinesi, e ogni atto di guerra contro gli ebrei può essere configurato in termini di "lotta politica". Non è certo per dire che tale atto sia legittimo...

MT: Allora, è antisionista?

GA: Sì, certo. Ma comunque io estendo il significato della definizione "sionismo". Per me, ogni ebreo della terza categoria è sionista oppure criptosionista, poco contano tutte le sue argomentazioni che tendono a sostenere il contrario. Chiaramente, il mio punto di vista rappresenta una sfida non da poco per l'identità ebraica. Ho letto così tante cose scritte su di me, ma per ora non mi è mai capitato di trovare delle contro-argomentazioni di degno valore. Anzi inizio a chiedermi a questo punto se ve ne possano essere. Se non ce ne sono... non è così improbabile che non avrò più molto altro da dire in merito a questo soggetto. Potrei magari cominciare a scrivere parlando di fiori e uccelli.

MT: Mentre mi ritrovavo a fare delle ricerche su di lei, prima di ottenere questa intervista, mi è capitato di trovare un sito web sionista veramente incredibile, che mostra quella che loro chiamano "shit list" - letteralmente "lista di merda", più propriamente "lista nera" - (una lista di persone ebree che che si autodisprezzano e/o che minacciano Israele (http://masada2000.org/list-A.html). Sì, insomma, una vera e propria lista nera di "nemici". Chiaramente lei c'è dentro e con delle filippiche non da poco sulla sua persona. Molte delle opinioni espresse in questo sito sono alquanto offensive e potrebbero pure essere legalmente perseguibili, ma lasciando perdere per un istante le implicazioni morali che possono portare con sé questi elenchi dannosi, o il pericolo fisico che possono comportare per la vita di così tante persone, ciò su cui voglio porre ora l'accento è il fatto che lei, insomma, si ritrova a far parte di un gruppo di persone che si tende a diffamare e per le quali noi gentili proviamo un profondo rispetto: Woody Allen, Noam Chomsky, Nadine Gordimer, Naomi Klein e pure anche lo straordinario poeta Natan Zach. Che mi dice su questo?

GA: Sono felice, e onorato, di essere incluso nella lista di un gruppo di persone di questo calibro. E tra l'altro penso che questa "lista nera" sia una splendida vetrina che mette in evidenza le tattiche utilizzate dai contemporanei che appartengono alla terza categoria. Ma poi vede, il fatto è che l'assurdità in tutto ciò sta nel fatto che alcuni ebrei attivisti di sinistra che si ritrovano su questa lista, loro stessi poi sono così impegnati nel produrre delle liste simili dove elencano i loro avversari... Il consiglio personale che posso loro dare è di lasciar perdere la filosofia Kasher e di unirsi al movimento di solidarietà palestinese sia locale che globale.

MT: Vorrei spiegare ai nostri lettori cosa significa il termine ebraico "kasher". Il termine kasher si riferisce a tutto in insieme di regole da rispettare rigorosamente per la propria alimentazione. Le regole kasher stabiliscono cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è permesso e cosa è vietato mangiare. Originariamente, il termine vuol dire "genuino", e determina tutto ciò che rientra nell'ambito delle regole delle leggi ebraiche connesse alla preparazione del cibo, ma non si limita a questo: in modo più esteso, è anche sinonimo di ebraicità. Continuiamo: Louis Althusser coniò il concetto di "Apparati Istituzionali di Stato", con ciò intendendo che qualunque stato, contrapposto ad una massa popolare, impone e perpetua sempre i suoi interessi di classe per mezzo di strumenti soppressivi, che vengono creati specificamente con questo scopo, per esempio la polizia, le leggi.. o il diritto di ricorrere alla violenza o anche uccidere, e così via. Mi dica prima di tutto se è d'accordo con questa concezione marxista, e se sì, provare ad applicarla allo stato di Israele e cercare di individuare dove potrebbe trovarsi il centro della politica sionista.

GA: Di nuovo, le cose sono sempre un po' più complesse quando di parla di Israele e di ebraicità. È chiaro, io sono d'accordo con Althusser. In pratica, Israele è uno strumento politico che è lì per servire e sostenere l'egemonia dell'elite ashkenazita. Questo potrebbe cambiare in un prossimo futuro. Una volta che gli ebrei sefarditi si rendessero conto che le loro radici storiche con i loro vicini arabi sono state frantumate per volontà della filosofia espansionistica ashkenazita, forse Israele potrà chiamarsi - ed essere - Palestina. Ora, per arrivare alla seconda parte della domanda: io non so dove sia effettivamente il centro politico sionista. Forse nel gabinetto governativo di Sharon? A Wall Street? Forse tutto il business neocon non è che un'altra mossa pragmatica globale sionista? Ma non penso che sia così importante. Preferisco guardare al sionismo in termini di "operazione in rete", dove ogni singolo membro che ne fa parte è perfettamente consapevole del suo ruolo e non è a conoscenza di quello degli altri. Se così stanno le cose, allora Israele e il sionismo dovrebbero essere visti come un particolare apparato colonialista all'interno di un movimento globale ben più ampio.

MT: Ora che mi parla di globalizzazione, vorrei avere la sua opinione sui legami così stretti, quasi coniugali, tra lo stato di Israele e i programmi imperialisti americani, senza omettere di analizzare, secondo la sua persona prospettiva, il ruolo messo in atto da questi legami dalla sinistra israeliana.

GA: Originariamente, Israele nacque in effetti per servire gli interessi globalizzatori anglo-americani. Di certo ora non è più così. L'America ora combatte (davvero con scarso successo) le ultime sacche di resistenza araba (il colonialismo sionista). E in merito al ruolo della sinistra israeliana all'interno di questa brutale faccenda, penso si debba essere piuttosto cauti nell'esprimere affermazioni categoriche. Tradizionalmente, la sinistra israeliana veniva associata al Partito Democratico Americano. Negli anni '80, il Likud stabilì un legame molto stretto con i repubblicani radicali di destra. Questa collaborazione ora è così forte che l'America è stata disposta a mandare i propri soldati a morire per gli interessi strategici di Israele (si può citare l'invasione dell'Iraq come esempio). Se proprio ci tiene a parlare della sinistra istituzionale di Israele, mi sento di dirle che di fatto gli israeliani di sinistra non rappresentano che è un'entità puramente verbale. Non c'è niente, dietro.. e la ragione è molto semplice. Se Israele è lo stato del popolo ebraico, allora qualunque pensiero di sinistra all'interno di un tale contesto politico nazionalista può essere visto in termini di "Nazionalsocialismo Ebraico" (sono certo che questo porti alla memoria qualcosa..). Ciò detto, vi sono, e sono ben poche, alcune persone di sinistra in Palestina che per caso sono anche di origine ebraica. Come si può immaginare, costoro non si definirebbero mai come israeliti o come sionisti di sinistra, ma semplicemente come "palestinesi che parlano l'ebraico", "ebrei palestinesi" o qualcosa del genere.

MT: L'hanno accusata di molte cose, sulla rete, ma forse le due accuse più gravi riguardano la negazione dell'Olocausto e l'incitamento a dar fuoco alle sinagoghe, entrambe le cose punibili per legge. Cosa mi dice su questo punto?

GA: Penso lei stesso lo abbia appena detto. Nonostante tali accuse siano punibili per legge, nessuno mi ha mai chiesto di seguirlo al comando di polizia... Naturalmente, quelle accuse sono prive di fondamento, create a bella posta per servire una specifica causa politica, principalmente all'interno della terza categoria di persone. Casomai fosse interessato, c'è una lista parziale di menzogne sul mio conto, cui seguono altrettante risposte da parte mia: (http://www.gilad.co.uk/html%20files/1001lies.html). Ora, posso chiaramente dedurre che voglia qualche dettaglio in più. Dunque: la' dove l'accusa di incitamento a dar fuoco alle sinagoghe non è che un'offensiva menzogna, il mio punto di vista sull'Olocausto è un po' più complesso. Non nego l'Olocausto, e non nego il giudeocidio nazista. Magari insisto sul fatto che sia l'Olocausto che la Seconda Guerra Mondiale dovrebbero essere considerati innanzitutto come un evento storico di per sé più che come un mito religioso. La storia della Seconda Guerra Mondiale e dell'Olocausto presenta così tante incongruenze e contraddizioni... e le questioni più importanti rimangono ancora oggi senza risposta. Perché, per esempio, gli americani non hanno bombardato Auschwitz? Perchè hanno aspettato fino al luglio del 1944 prima di fare un raid aereo sulle spiagge della Normandia? Non era magari per il fatto che Stalin stava intanto avanzando verso l'Europa centrale? E perché gli Alleati hanno bombardato le città tedesche anziché bombardare i centri logistici e gli obiettivi militari chiave? Non era anche qui, forse, semplicemente per il fatto che non volevano distrarre le truppe hitleriane mentre combattevano contro Stalin? Perché gli americani hanno lanciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki? Forse perché i Rossi avevano appena dichiarato guerra al Giappone e ciò avrebbe potuto interferire con la loro presenza nel Pacifico? È abbastanza evidente: un'analisi storica della Seconda Guerra Mondiale rivelerebbe il fatto che, da una prospettiva anglo-americana, Stalin era il vero nemico, e non Hitler. La narrativa dell'Olocausto è costruita con uno schema che porta a nascondere questa interpretazione allarmante nonché alquanto convincente. La domanda più cruciale, qui, è: perché che non ci viene concessa la libertà di trattare questo capitolo storico applicando dei metodici realmente accademici? E la risposta è davvero semplice. La questione Olocausto viene ora considerata come la nuove religione occidentale dalla maggior parte degli ebrei anglo-americani.

MT: Intende dire.. un dogma? Insomma un principio che non deve essere messo in discussione?

GA: Sì, è così, ma il fatto è che l'Olocausto ha una valenza che va ben al di la' di un semplice dogma religioso. Ciò che rende una religione un unico insieme di convinzioni è l'accettazione di racconti che non sono legati alla realtà. La credenza è il risultato conseguente di un'accettazione cieca di una narrativa sovrannaturale. La forza insita nella religione dell'Olocausto si trova proprio nel carattere non realistico del suo racconto. La narrativa olocaustica è strutturata come un orribile incubo: una storia metamorfica dell'uomo che viene trasformato in una macchina per uccidere. Però a questo punto, se si accetta l'Olocausto come la nuova religione dei liberaldemocratici anglo-americani, allora è giusto rispettare chiunque si permette di essere ateo. E invece succede che si provi ben poca tolleranza nei confronti di chi si permette di mettere in discussione la religione dell'Olocausto. In alcuni paesi c'è pure stata un'integrazione con il Codice Penale su questo soggetto, un fatto che ribadisce ulteriormente questa forte intenzione politica nel mantenere sacralizzato artificialmente questo concetto: non credere nell'Olocausto oggi viene considerata un'offesa criminale.

MT: Sa, ho una certa familiarità con le questioni legate alla criminalizzazione della miscredenza. La chiesa cattolica è piena di strani dogmi, per esempio la Santa Trinità, oppure la verginità di Maria malgrado la sua maternità, e qualche secolo fa si poteva andare al rogo su un palo, se qualcuno li metteva in dubbio.

GA: Esatto. Più è fantastica la narrazione, più forte è la fede dimostrata. Il valore reale dell'evento è del tutto irrilevante, come di poca importanza viene considerato il fatto che qualcuno si preoccupi di verificare se effettivamente Maria fosse vergine, oppure se l'evento biblico di Mosé e il roveto ardente costituisca un fatto realmente avvenuto. Credere è accettare ciecamente una cosa. E tuttavia la religione ha sempre uno scopo: quello della religione dell'Olocausto è di essere il baluardo del discorso liberaldemocratico. Costruito per mantenere il legame tra il sionismo e l'espansionismo occidentale. In altri termini, la validità dell'Olocausto come evento storico perde di rilevanza. Ed è ciò in cui io mi permetto di interferire. Non sono uno storico e non ho la benché minima intenzione di impegnarmi in discussioni su quante fossero veramente le vittime dell'olocausto, se 6 milioni o 2.5 milioni di ebrei. La mia idea è che questa questione di natura aritmetica è irrilevante, per non dire stupida, visto che l'omicidio è sempre omicidio, sia che si uccida una persona o se ne uccidano tante. Semmai sostengo che, anche se se fossero state uccise "solo" alcune poche migliaia di ebrei o di zingari a causa della loro razza, ciò già è tragico a sufficienza per stabilire un capitolo storico traumatico di rilevanza. E intanto rimane la domanda: che cosa trasforma la narrativa storica in una religione? Provo dal canto mio a suggerire una risposta: i palestinesi, per esempio, sono le ultime vittime di Hitler. Il fatto che siano vissuti in campi profughi per almeno 6 decenni è il risultato diretto del giudeocidio nazista, perchè il sionismo ha costituito lo stato di Israele nelle loro terre come conseguenza dell'Olocausto. Pertanto, a questo punto la storia della Seconda Guerra Mondiale "appartiene" ai palestinesi tanto quanto appartiene agli ebrei o a chiunque altro. Ma è esattamente qui che comincia il problema. Una volta che l'Olocausto diventa una religione, cessa di essere un capitolo storico. Si pensa che gli ebrei siano le vittime in assoluto, e i palestinesi delle vittime di seconda categoria, cioé le "vittime delle vittime". Una volta che l'Olocausto diventa una religione, a nessuno è più consentito l'accesso. Sono propenso a pensare che la narrativa ufficiale dell'Olocausto sia stata davvero creata da chi è uscito vincente dalla guerra, cioé gli anglo-americani. E viene utilizzata per servire la loro causa. Sono d'accordo con molti storici sul fatto che il rito industriale degli ebrei come vittime è cominciato dopo il 1967, e che chi ha creato questo rito ha deciso che l'Olocausto doveva essere messo al servizio dell'espansionismo occidentale.

MT: Cosa mi dice di Hitler?

GA: Tutto ciò detto prima non significa certo che Hitler fosse innocente. Hitler era fuor di dubbio un assassino senza pietà, ma non era il solo. Tendo ad attribuire una maggiore colpa agli anglo-americani. A quanto sembra, le stesse persone che hanno raso al suolo Dresda e Amburgo sono le stesse che hanno fatto piazza pulita pure degli abitanti di Hiroshima e Nagasaki. Non c'è da rimanere sorpresi nello scoprire che, sempre queste stesse persone, che hanno "regalato" 2 milioni di morti in Vietnam sono quelle che hanno devastato l'America Latina negli ultimi 6 decenni. E, di nuovo, nessuna sorpresa nello scoprire che le stesse persone che hanno aiutato gli israeliani a relegare 1.3 milioni di palestinesi tutti nella Striscia di Gaza, sono quelle che ora distruggono Baghdad, Fallujah, Mosul e Tikrit. E se queste informazioni non dovessero bastare, si accenni pure al fatto che sono pure le stesse persone che non si sono granché mobilitate per venire in aiuto alla gente di colore di New Orleans, proprio 2 settimane fa. America fa rima con cattive notizie, non c'è dubbio. Che poi, ad essere onesti, non si tratta nemmeno più di notizie. Per farla breve, se davvero si vuole puntare a un mondo migliore, bisognerebbe riscrivere la storia del XX secolo. Bisognerebbe far presente a tutti che questa carneficina in nome della "libertà" e della "democrazia" deve essere fermata. È nostro dovere guardare ben dentro la nostra stessa storia ed attivarci per riesaminarla. È nostro preciso dovere assicurarsi che il revisionismo storico possa fare liberamente il suo percorso e arrivare al nucleo del discorso di sinistra. Per me la storia ufficiale della Seconda Guerra Mondiale ha come scopo quello di nascondere alcuni tra i più grandi e sconcertanti crimini. Hitler venne sconfitto 60 anni fa. L'America ha vinto questa guerra sanguinosa, e fin da allora non ha mai cessato di lanciare bombe su civili innocenti. Se davvero vogliamo emanciparci dobbiamo risistemare tutto il XX secolo, e prima sarà, meglio sarà. E se ora l'Olocausto è formalmente un evento non più storico, se è solo più una semplice religione, allora insisto che si permetta che la si tratti in modo teologico. Che poi tra l'altro è ciò che io sto facendo.

MT: Quale sarebbe per lei il piano ideale per risolvere in modo equo questo interminabile conflitto israelo-palestinese?

GA: Solo una risposta è possibile, e cioé la Soluzione dello Stato Unico. Come forse sa, non credo in una soluzione pacifica, per esempio la pace tra Israele e i palestinesi. Una soluzione del genere infatti non permetterebbe di gestire correttamente la causa palestinese, cioé il "diritto di ritorno". Ma poi la questione è ancora più profonda, in realtà. La nozione stessa di pace è del tutto estranea alla psiche ebraica. Sharon recentemente ha detto che Israele vuole la pace (shalom) ma poi insiste nel "determinarne i termini e le condizioni". È ovvio: per Sharon la pace è una decisione squisitamente pratica, un tentativo di emergere, non certo di accettare un concetto come la compassione e la riconciliazione. Quella dichiarazione di Sharon è rivelatrice di un conflitto giudeo-cristiano importante. Sostanzialmente, la differenza tra ebrei e cristiani potrebbe essere riassunta in un'unica frase: i cristiani sono degli ebrei che amano il loro prossimo. Che poi ciò sia vero o no è un quesito non da poco. Ma una cosa è chiara: il pensiero occidentale dà valore alla compassione e all'amore per l'Altro, e questo è il motivo per cui gli ebrei non si sono mai potuti integrare nell'ambiente culturale occidentale. L'ebraicità è la celebrazione della negazione. Gli ebrei (e specialmente quelli ashkenaziti) si sono sempre rinchiusi nei ghetti. Non sorprende quindi che applichino ora le stesse tattiche del muro in Israele. Questo tipo di identità isolazionista non potrà mai sposarsi con un concetto di pace reale. Anche all'interno dei circoli politici della classe operaia gli ebrei hanno adottato delle cellule separatiste (come il Bund all'interno dei Soviet e di altre organizzazioni ebraiche esclusivamente di sinistra). Quindi una soluzione pacifica non è concepibile. E per poter ottenere una qualche forma di riconciliazione tra i due popoli, la prima cosa è che l'identità ebraica sia sconfitta. E si sconfiggerà soprattutto da sola. Dobbiamo aiutare gli israeliani a desionizzarsi. Quando alla fine questo succederà, non dovremo dimenticare di desionizzare pure noi stessi... mi riferisco soprattutto alla Gran Bretagna di Blair e all'America. Direi che la desionizzazione della Palestina rappresenta un elemento chiave nel processo della nostra liberazione globale.

MT: L'identità isolazionista che mi ha appena descritto mi ha fatto venire in mente il muro che hanno costruito in Israele, che giustificano con la scusa ufficiale che gli permette di proteggersi dal terrorismo.

GA: Chiamare terrorismo un atto di "lotta per la libertà" è di per sé sintomatico del nuovo discorso occidentale condotto dal sionismo. Questo vale chiaramente per Israele ma anche per gli americani e per gli inglesi. Mi sembra il minimo che gli iracheni si sentano autorizzati a combattere le forze di un'invasione straniera, tanto quanto lo sono, moralmente, i palestinesi nel combattere per liberare la loro terra.

MT: Ora che mi sta parlando della lotta per la liberazione.. qual'è la sua opinione sugli aspetti etici legati alla creazione dello stato di Israele nel 1948 dalle Nazioni Unite su di un pezzo di terra in cui già dimoravano i palestinesi? E del fatto che ne sono pure stati espulsi 750.000 ?

GA: La creazione dello stato di Israele e l'espulsione dei palestinesi dalla loro terra solleva un'ulteriore questione. Com'è stato possibile che gli ebrei abbiano potuto commettere una simile atrocità e su una tale scala, giusto solo tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale? Questa è una questione davvero rilevante, e ho il timore che nessuno sia ancora stato in grado di offrire una risposta chiara. Potrei suggerirne qualcuna: 1) Gli uomini e le donne sioniste sono ben lungi dal provare empatia per gli altri esseri umani. Per loro il dolore altrui è insignificante. Questo potrebbe benissimo essere il risultato del codice suprematista giudaico. E anche spiegare il fatto che, dopo 60 anni di storia di oppressione israeliana, non una singola voce sionista ha mai alzato la mano esprimendo del rammarico per questo peccato originale. 2) Gli uomini e le donne sioniste del 1948 erano ben lungi dall'essere degli ebrei traumatizzati. In altri termini, per loro l'Olocausto non rappresentava ancora una forma di elemento di rilevanza. Come apprendiamo da Segev e Finkelstein, ci vollero molti anni prima che gli ebrei interiorizzassero e dessero una forma collettiva alla narrativa olocaustica, per non parlare del trauma. A quanto sembra, il "Sabra" del 1948 (un israeliano nativo) guardava con grande disprezzo gli ebrei della diaspora. I palestinesi sono serviti a rendere il "Sabra" in un certo senso affrancato dall'umiliazione imposta dall'immagine debole e disperata dell'indifeso ebreo della diaspora. Questo schema psicologico è fondamentale per comprendere la politica di Israele. Uccidere gli arabi, insomma, unisce sempre gli israeliani dietro i loro leader.

MT: Negli ultimi anni, i media ufficiali spagnoli hanno fatto un grande vociare sull'esperienza di Barenboim-Said nel creare quello che viene chiamato uno strumento musicale di pace, "The West Eastern Divan Orchestra", formata da giovani musicisti israeliani e palestinesi e con sede a Siviglia. Chiaramente, non sono per nulla contro tutti quegli strumenti che permettono di portare un po' di armonia in qualunque posto, ma mi colpisce un po' il fatto che, mentre Barenboim guida i suoi allievi negli auditorium europei davanti a platee sbalordite, le bombe a Gaza e a Tel Aviv continuano ad esplodere. In qualche modo mi fa venire in mente l'insistenza della chiesa cattolica quando manda i suoi missionari a compiere opere di carità (il che va bene, visto che oggigiorno compiono un'opera importante che diversamente nessun altro farebbe), e tuttavia non affrontano veramente il cuore del problema: l'ingiustizia mondiale politica ed economica, né tanto meno i responsabili di tale ingiustizia. Lei non pensa che questi atteggiamenti dévino l'attenzione in un modo un po' naif verso questioni meramente aneddotiche senza offrire nulla di fatto se non che mantenere lo status quo? Qual'è la sua opinione sul lavoro di Barenboim come "missionario" di pace dall'interno del sionismo?

GA: Credo di essere piuttosto d'accordo con lei, e se questo non bastasse, critico sovente Barenboim per essere un sionista e per diffondere un messaggio sionista. Questo senza togliere nulla al fatto che Barenboim sta facendo un grande lavoro. Prima di tutto, supera la divisione. Secondo, offre ai giovani musicisti della regione un'opportunità per lavorare con uno tra i più grandi geni musicali (lui, appunto). In più, e questa è la cosa più importante, Barenboim riesce ad infastidire gli israeliani e mettere a nudo la loro attitudine reazionaria. Pensi per esempio a Barenboim che diventa una persona non gradita semplicemente per il fatto che esegue Wagner a Geraselemme, è meraviglioso o no? Penso davvero che Barenboim riesca a gettare un po' di luce sugli angoli più patetici della psiche ebraica. Fatte tutte le somme, credo di poter ammettere che, tenendo da conto tutti gli aspetti di tutte le sue attività, quest'uomo rappresenti un contributo più che positivo al movimento di solidarietà palestinese. Venendo più alla sua domanda, sì, è sicuro: Barenboim non riuscirà certo ad impedire agli israeliani di lanciare le bombe. Essere israeliani significa essere impegnati in una sorta di negazione omicida. Per gli israeliani, e in una certa misura per gli ebrei post-talmudici, Essere è Odiare. Quando gli israeliani smetteranno di lanciare le bombe e odiare il mondo che li circonda, allora non saranno più israeliani, diventeranno dei "palestinesi che parlano ebraico". E glielo assicuro, questo succederà da sé, sarà una trasformazione demografica inevitabile. Noi, i sostenitori della Palestina, abbiamo un solo dovere. Aiutare i palestinesi a sopravvivere per i prossimi 20 anni. Dobbiamo fermare la pulizia etnica che già sta ampiamente operando. Dobbiamo portare speranza nelle strade della Palestina. Il nostro dovere è quello di smascherare gli israeliani e i loro programmi sionisti. Possiamo mettere sotto pressione la loro società e i loro politici. Questo è quanto Barenboim sta facendo. Egli offre speranza attraverso la bellezza, proprio perché la bellezza è la sua arma, e penso che lui ne faccia un uso alquanto efficace. Sa, non è così facile essere un ebreo e aiutare i palestinesi, perché una volta che si parte si casca immediatamente nella trappola sionista, si diventa un ebreo giusto. Quando si è ebrei ci si ritrova sempre in una specie di strada senza uscita: puoi solo vincere. Vede, essere ebrei è una cosa non poco complessa: se si è in favore dei diritti palestinesi allora sembri quasi dimostrare che gli ebrei siano dei "grandi umanisti". Se sei contro i palestinesi, allora non è che tu sia proprio cattivo ma semplicemente, ti sei ritrovato ad essere una "vittima disperata di due millenni di incessanti persecuzioni e semplicemente vuoi vivere in "(fottuta) pace nella tua (fottuta) patria storica". Come vede.. una volta che si sceglie di agire sotto una bandiera ebraica, si permette ai sionisti di vincere. Qualunque cosa uno decida, approva comunque la chiamata sionista, o si è vittime o si è angeli. Come sa, mi ritrovo a schivare tanti di quei colpi ogni volta che smaschero questa realtà così complicata. Questo è il motivo per cui ho deciso di abiurare totalmente la mia identità ebraica. Io sono un ex-ebreo. Il mio essere buono o cattivo non ha più niente a che fare con qualunque tipo di gruppo tranne che me stesso (me stesso e solo me stesso). Però non mi sento in una posizione tale da invitare qualcuno ad entrare a far parte di questa categoria. Posso solo dire a Barenboim e ad altri che questo potrebbe essere un percorso da seguire molto interessante.

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RUGGERO