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Cosa c'è dietro i colloqui tra Stati Uniti e talebani?

di Alex Lantier - 03/11/2008




Ieri il Wall Street Journal ha riferito dei piani degli Stati Uniti di aprire negoziati diretti con i leader talebani in Afghanistan. Il fatto che la notizia sia stata data dal Journal, un giornale finanziario conservatore, dimostra che non si è trattato di uno scoop giornalistico ma di una dichiarazione pubblica sul nuovo orientamento della politica estera statunitense.

Secondo il Journal, “Gli Stati Uniti stanno attivamente prendendo in considerazione un dialogo con elementi dei talebani, il gruppo islamico armato che un tempo governava l'Afghanistan e ha offerto rifugio ad al Qaeda, segnalando un cambiamento che sarebbe stato impensabile pochi mesi fa”. Il giornale ha riferito che questi colloqui erano inclusi nella “bozza di una raccomandazione contenuta in una valutazione riservata della strategia degli Stati Uniti in Afghanistan”.

Questi piani cercano di porre rimedio al grave peggioramento della posizione degli Stati Uniti in Afghanistan. La violenza si è estesa nel paese e nelle vicine aree tribali del Pakistan, il cui governo appoggiato dagli Stati Uniti è stato screditato dall'acquiescenza con cui ha affrontato i bombardamenti degli Stati Uniti e le incursioni nel suo territorio contro i militanti talebani. La guerra degli Stati Uniti contro i talebani ha anche contrapposto importanti alleati degli Stati Uniti, che hanno aiutato questi ultimi a organizzare le milizie talebane a vantaggio della politica americana degli oleodotti alla metà degli anni Novanta: il regime saudita e i potenti servizi segreti militari pakistani, l'Inter-Service Intelligence (ISI).

Nonostante la retorica americana della “guerra al terrore”, che ritrae i talebani come mostri, i colloqui USA-talebani non sono una novità. L'invasione dell'Afghanistan, nel 2001, vide uno spiegamento relativamente limitato di truppe e l'occupazione statunitense del paese dipendeva dalla capacità di manipolare la frammentata élite tribale afghana. Un rappresentante del Dipartimento di Stato ha dichiarato al Journal: “Noi e gli afghani negoziamo con le tribù tutti i giorni, a livello distrettuale. A volte sono talebani, o loro sostenitori. Spesso dicono: 'Se ci date quello che vogliamo deponiamo le armi'”.

Il Journal ha anche riferito che “nelle ultime settimane in Arabia Saudita” funzionari del regime afghano (controllato dagli Stati Uniti) hanno negoziato con rappresentanti talebani.

I tentativi delle autorità statunitensi di creare una politica afghana efficace, tuttavia, sono stati limitati dalle restrizioni ai negoziati con i talebani. Un funzionario dei servizi ha detto al Journal: “Alcuni rappresentanti degli Stati Uniti hanno condotto tranquillamente contatti informali con i leader talebani, ma i militari erano più interessati ad arrestarli”. La fuga di notizie sui colloqui USA-talebani è un segnale agli opinionisti e agli osservatori stranieri, soprattutto in Afghanistan e Pakistan, ai quali si vuole fare capire che Washington non accetterà più queste limitazioni.

Il cambio della guardia ai vertici dell'impero statunitense – con le imminenti elezioni presidenziali e la promozione del Generale David Petraeus a capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, che gli dà autorità sulle forze statunitensi in Afghanistan – fornisce ai decisori politici statunitensi l'opportunità di condurre una certa ricalibrazione della “guerra al terrore”.

La storia di Petraeus è particolarmente significativa a tale proposito. È stato mandato in Afghanistan per replicarvi il “surge” attuato come comandante delle forze statunitensi in Iraq.

In Iraq, Petraeus ha comprato gli intermediari locali: i membri delle tribù sunnite della provincia di Anbar, parte delle milizie del Mahdi e milizie sunnite nelle città più grandi. Poi, con un incremento delle truppe statunitensi in tutto l'Iraq – la provincia di Anbar, poi Baqubah, Baghdad, Basra, ecc. - le forze americane hanno massacrato chi si rifiutava di allearsi con loro. Dopo la morte di innumerevoli migliaia di iracheni e centinaia di soldati americani, la resistenza irachena all'occupazione statunitense è diminuita e i media e gli ambienti politici hanno osannato il “surge” come un grandissimo successo.

Adesso il “surge” sta per arrivare in Afghanistan. Almeno 12.000 altri soldati americani sono stati destinati laggiù. Il Journal osserva che Petraeus ha pubblicamente approvato la politica di dialogo con i talebani. In un discorso dell'8 ottobre sulla politica afghana alla Heritage Foundation, ha detto: “Con i nemici bisogna parlare. Bisogna cercare di riconciliarsi con il maggior numero possibile di essi per poi identificare quelli che sono davvero irreconciliabili”.

Petraeus dunque supervisionerà una politica basata su un'attenta selezione dei leader tribali afghani per poi fare a ciascuno di essi la proverbiale proposta che è impossibile rifiutare. Per i capi della milizia che si allineeranno con gli Stati Uniti ci saranno premi adeguati. Per gli irriducibili, gli “irreconciliabili” ci saranno bombardamenti, incursioni e operazioni speciali.

Questo cambiamento di strategia è particolarmente importante per il fatto che il candidato che è ora considerato il probabile vincitore, il democratico Barack Obama, ha accusato per molto tempo l'amministrazione Bush di essersi distratta dalla guerra in Afghanistan, e ha sollecitato attacchi contro obiettivi in Pakistan.

Il Journal osservava che entrambi i candidati presidenziali, Obama e il repubblicano John McCain, hanno appoggiato i colloqui USA-taliban, contribuendo ad “far sì che questa condotta venga attuata indipendentemente da chi vincerà le elezioni”.

Tutto questo sottolinea una realtà essenziale delle elezioni USA 2008: con la probabile vittoria di Obama andranno al potere rappresentanti della classe dirigente statunitense tatticamente più competenti, ma non meno implacabili.


Articolo originale pubblicato il 29 ottobre 2008.

Traduzione di Manuela Vittorelli