Gli indiani d’America, figli di una civiltà guerriera
di Manlio Triggiani - 29/07/2025
Fonte: Barbadillo
La corsa alla frontiera dell’Ovest, in quelli che oggi sono gli Stati Uniti d’America, avvenne fra il 1750 e il 1870. Fu una guerra di colonizzazione vera e propria, senza risparmio di colpi, fra coloni bianchi, provenienti dall’Europa, e le varie tribù di amerindi. La lotta era fra chi intendeva procacciarsi terre da sfruttare per arricchirsi e chi difendeva le terre da generazioni di proprietà della propria tribù. “Guerre indiane” furono definite queste campagne di sterminio di intere tribù che il nascente capitalismo Usa portava avanti e che erano di fatto finanziate da società, proprietari terrieri, mercanti, avventurieri. I dati statistici sono eloquenti: se non è possibile fare un calcolo attendibile su quanti bianchi furono uccisi dagli indiani, è possibile farlo per questi ultimi. Gli indiani che vivevano a nord del Messico fino ai lembi estremi del Canada erano all’incirca 900mila: al termine delle guerre di conquista dei territori a Ovest ne rimasero solo 300mila. Uno sterminio di vaste proporzioni che mirò anche alla cancellazione della cultura delle tribù amerinde e al confinamento dei superstiti in riserve che somigliavano ai futuri lager. Solo una piccola minoranza venne inglobata.
Frederick Drimmer (1916-2000), scrittore Usa, attento alle vicende meno indagate dalla storiografia ufficiale pubblicò, nel 1961, Scalpi e tomahawk, ora edito da Oaks di Milano. Il richiamo agli scalpi e alle asce indiane dipende dal fatto che era consuetudine, da parte dei pellirosse, tagliare il cuoio capelluto del nemico. Per gli indiani era la possibilità di appropriarsi della sua virilità. L’operazione veniva svolta sia su cadaveri sia su prigionieri che, in genere, erano destinati a morire. Ma non mancava chi sopravviveva a questa pratica crudele. Drimmer ascoltò testimonianze dalla viva voce di bianchi fatti prigionieri da indiani e poi liberati o riscattati. In questo libro, quindi, sono riportate cinque storie con tanto di nome e cognome delle vittime. Storie vere dalle quali emergono vicende apparentemente inedite. Cinque storie che dimostrano come i massacri erano all’ordine del giorno fra bianchi e indiani. Non solo: ma anche che questi praticavano meno di quanto si immagini il cannibalismo, torturavano i prigionieri crudelmente ma adottavano i piccoli bianchi fatti prigionieri durante le razzie e le battaglie. Le testimonianze dei prigionieri bianchi non descrivono gli indiani come selvaggi ma come figli di una civiltà guerriera e tradizionale con un sistema di vita e valori tutt’altro che barbari. Addirittura ci sono testimonianze, in questi cinque racconti, di bianchi rapiti da bambini, adottati dagli indiani e trattati esattamente come figli biologici. Una volta adulti, in occasione dello scambio di prigionieri non accettarono di tornare nella propria città e nella famiglia originaria preferendo restare con quella indiana. C’è addirittura il caso di John Tanner, l’”indiano bianco”, che, pur restituito alla famiglia bianca, quella biologica, non solo non si adattò mai a vivere nel mondo occidentale ma non ricordava neppure una parola della lingua d’origine e si riconosceva nel sistema dei valori indiani. I prigionieri erano torturati, picchiati e uccisi, ma non più di quanto facevano i bianchi quando catturavano gli indiani. Le donne bianche fatte prigioniere erano molto rispettate e non ci furono casi di violenza sessuale tranne qualche episodio sporadico alla fine delle campagne di guerra contro gli indiani delle parti occidentali degli attuali Stati Uniti. Il motivo è di carattere esoterico: gli indiani si preparavano con alcune precise pratiche alle guerre: preghiere, abluzioni nei fiumi, pratiche di purificazione, di continenza e propiziatorie. Usare violenza a una donna poteva annullare tutta questa laboriosa preparazione.
Le testimonianze dei cinque prigionieri, quattro uomini e una donna, è anche una testimonianza di particolare interesse sugli usi e costumi dei pellirosse ma anche sulla struttura religiosa e sociale delle tribù indiane. La narrazione spiega bene anche come le popolazioni indiane, nonostante accordi raggiunti e sottoscritti con le autorità britanniche, erano raggirati per sottrarre loro terre coltivabili e pregiate. Non solo: erano ridotti alla fame perché i bianchi provvedevano a cacciare grandi quantità di bisonti che solitamente erano il principale sostentamento dei pellirosse.