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Neo-socialismo in aiuto dei ricchi Il duro mercato per tutti gli altri

di Ulrick Beck - 05/11/2008

 

Molti capitalisti anglosassoni stanno diventando fautori di un dirigismo di Stato di stampo cinese

Nel mio libro Conditio Humana. Il rischio nell'Età Globale (Laterza) metto a confronto tre situazioni di rischio globale: il cambio climatico, il terrorismo e il sistema finanziario, in vista del loro storico potere di cambiamento. Devo tuttavia dire che molte delle cose che ora accadono nel teatrino reale dell' economia e della politica mondiale vanno ben al di là di quel che ero riuscito ad immaginare chiuso nel mio studio. Tutte e tre le crisi non possono essere risolte dallo Stato nazionale. Tuttavia, nel caso della crisi della finanza emerge in tutta la sua chiarezza il potere rivoluzionario della situazione. Dalla sera al mattino non vale più il principio di fondo dell'Occidente, ovvero il libero mercato.
Fino a qualche giorno fa volevamo salvare il mondo intero lasciandolo ad un indisturbato sviluppo, ciò è stato dannoso. Proprio coloro che finora avevano rifiutato con veemenza ogni intervento statale, dalla sera al mattino si sono convertiti. Nei partiti i politici si stanno trasformando da neoliberali in socialisti statalisti, almeno per quanto riguarda singoli punti. Mettono a disposizione dalla finanza pubblica delle somme finora inimmaginabili. Molti rappresentanti del capitalismo anglosassone del laissez-faire sono sulla strada giusta per diventare fautori di un dirigismo capitalistico di Stato di stampo cinese.
In realtà l'economia di mercato sociale è soltanto una minuscola variante nel sistema capitalistico. Proprio negli ultimi anni in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, ciò che è sociale è stato piuttosto espulso dall'economia di mercato. Si tratta inoltre di un modello legato del tutto allo Stato nazionale. Non è affatto preparato alla situazione globale. Quel che ora sta arrivando è uno Stato sociale in aiuto del capitale finanziario. Ciò avrà sicuramente un ruolo importante nei prossimi anni. Da un lato si mette in piedi un socialismo spendaccione per i ricchi, per l'economia e per la finanza. Dall'altro per i lavoratori dipendenti è pronta l'ideologia di un nudo neoliberalismo. La liberalizzazione dei mercati continuerà tuttavia ad essere eseguita contro coloro che hanno un impiego precario. Le contraddizioni lampanti, in cui si ingarbugliano i politici di tutti i Paesi, non ci sono ancora tutte chiare. Se è fallita l'ideologia del mercato che tutto aggiusta, allora molte riforme degli ultimi anni sono fallite. Anche ad esempio la riforma dell'università. La privatizzazione di ampi settori di quelli che una volta erano i compiti dello Stato metterà a rischio la nostra infrastruttura, il fondamento della nostra ricchezza.
Vorrei sottolineare l'ironia strutturale della situazione. Vi è una certa comicità nel fatto che sia stato proprio l'illimitato successo del capitalismo finanziario a metterlo in crisi. Dal momento che la maggior parte degli approcci sociologici partono dal presupposto di una stabilità ed espansione della modernità occidentale e del suo sistema economico, per lo più scevre da crisi, come si spiega il potenziale di rovesciamento proprio di questa situazione? Gli uomini del fare, ad esempio il capo della Deutsche Bank Ackermann, parlano di un rischio sistemico. Questo attira l'attenzione del sociologo. Ai suoi occhi non è tanto questione di fattori che riguardano la psicologia individuale e sociale, tanto discussi in queste settimane e senza'altro presenti, come ad esempio l'avidità che ha suscitato molto scandalo, ma quel che conta è piuttosto il fatto che l'economia di mercato, sprigionata, privata dei confini, globalmente liberata dalle prescrizioni dello Stato nazionale, spinge il proprio sistema in una crisi esistenziale. Da un punto di vista della sociologia del rischio si tratta sempre di anticipazioni. Con il rischio non si intende la catastrofe. Il rischio è l'anticipazione della catastrofe nel presente, affinché venga evitato il peggio, che in nessun caso deve verificarsi. Quindi occorre inscenarlo. Esageriamo nel descrivere la situazione, la paragoniamo al crash del 1929 e alla successiva depressione degli anni Trenta. Ci proiettiamo l'immagine del fantasma, affinché si mobilitino le forze per impedirne l'ingresso nel mondo reale del XXI secolo. Così avviene involontariamente un salto quantico della politica dal paradigma nazionale a quello transnazionale. La distinzione tra nazionale ed internazionale che sorregge la visione del mondo finora in auge viene dissolta e almeno a tratti sostituita da una politica interna mondiale, in cui i sistemi globali di regole del potere, tra economia e Stato, sono messi in movimento e devono essere ridiscussi. Da noi ciò si concretizza nel fatto che all'improvviso si fanno cose che poco prima erano ancora del tutto inimmaginabili. Nel giro di pochi giorni la Repubblica Federale di Germania si fa improvvisamente garante per la somma di 500 miliardi di euro. In un nonnulla il tutto attraversa le istanze parlamentari.
Si agisce in una condizione di panico, del non-sapere, anzi, del non-poter-sapere. Si tratta infatti di una situazione nuova. Non sappiamo quasi nulla al riguardo. Nel 1929 — che viene portato sempre come esempio — vi erano globalmente condizioni di tutt'altra natura. In verità non abbiamo nulla di veramente paragonabile; e l'esperienza della catastrofe dell'umanità, su cui potrebbe fondarsi il giudizio razionale, va in ogni caso impedita. È interessante che in questa situazione del non-sapere— che riguarda anche la scienza economica — e della massima catastrofe che viene evocata, si indichi all'improvviso lo Stato, fino a poco fa scritto con la lettera minuscola, come l'attore centrale che tutto deve aggiustare. È lo Stato che deve decidere sullo stato d'eccezione. Spenderà miliardi senza che nessuno potrà dire con certezza se ciò sarà d'aiuto. Nessuno ha poi la minima idea di quali saranno gli effetti collaterali.
Da dove verranno i soldi? Certo non dalle banche americane. Cinesi, arabi, russi concederanno crediti all'Occidente. Non posso immaginare che questo non comporti uno spostamento nei rapporti di forza economici e politici globali. Ma di questo a malapena si parla da noi. Negli Usa invece sì. Le banche sono nella condizione di coloro che ricevono assistenza sociale e come loro non vogliono doverla mendicare, ma avervi diritto. Preferirebbero che i miliardi venissero loro imposti. Rischi globali mettono in questione il bisogno fondamentale dei cittadini di avere sicurezza e ordine. Si tratta della anticipazione di uno stato d'eccezione che non giunge dal di fuori, dal nemico, ma che proviene dal centro e riguarda tutti, che ha quindi dimensioni cosmopolitiche. Esso mette in questione l'immagine del mondo finora in auge riguardo alla politica, l'economia, la società e la loro cooperazione. Ne va dell'intero. Dell'intero globale. Non si risolve nulla con i mezzi dello Stato nazionale. Mi affascina in questo il momento cosmopolitico. Costi quel che costi si deve agire al di là dei confini. Il consenso deve coinvolgere l'altro, il nemico. Non possiamo comprendere la nostra stessa situazione, se non impariamo a vedere il mondo con gli occhi degli altri. E la Cina potrebbe approfittare di quello che sta accadendo. C'è sempre chi ne approfitta. Obama ad esempio ha sicuramente conquistato punti presso gli elettori attraverso la crisi della finanza. Sicuramente in America ora si percepisce più chiaramente la perdita di potere degli Usa nei confronti della Cina, di quanto non avvenisse qualche mese fa.
Tempo fa scrivevo: «Ora vale l'inversione del principio di Marx: non è l'essere che determina la coscienza, la coscienza della nuova situazione determina le possibilità di potere degli attori statali». Questo per certi versi si è verificato, per altri no. Anche la situazione del pensiero è cambiata. La premessa, che il neoliberalismo condivide paradossalmente con il neomarxismo e per cui l'economia dà quel muro del suono che non può essere violato dalla politica, perché essa è e rimane l'ancella dell'economia, è sbagliata. Tutti quelli che hanno responsabilità politica parlano improvvisamente della «regolazione» o addirittura della «costituzione» dei mercati finanziari mondiali, usano quindi in modo disinvolto parole finora lebbrose. Si ricerca con urgenza un nuovo Keynes. La teoria economica del vecchio Keynes, che ovunque vive ora la sua ripresa, era indirizzata alle economie del dopoguerra organizzate a livello nazionale. Nell'epoca dei mercati globali ciò è antiquato. Quel che allora prese piede in Europa aveva piuttosto il carattere di un coordinamento di misure nazionali, non portava avanti l'Europa, né aumentava il suo peso.
A gennaio sono stato ospite del presidente francese Nicolas Sarkozy e del ministro degli Esteri Bernard Kouchner. Il governo francese, in vista della presidenza francese della Unione Europea, voleva ascoltare valutazioni di cui la loro burocrazia nazionale forse non disponeva. Tutti i referenti mettevano in evidenza che l'Europa dovesse avere un ruolo maggiore, anzi che l'Europa fosse la chance decisiva della politica mondiale. La politica degli Stati Uniti basata sull'unilateralismo è drammaticamente fallita. Il modello europeo della conciliazione reciproca è il modello globale del futuro. Io ho sottolineato in questa occasione che, se l'Europa smetterà di guardarsi l'ombelico e sarà disposta a pensare e ad agire in modo globale, le piccole differenze all'interno dell'Europa si sposteranno in secondo piano.
E Sarkozy intende utilizzare i rovesciamenti nel sistema finanziario internazionale per scuotere addirittura due principi europei di fondo: i limiti del deficit e il principio di sussidiarietà nella politica economica. Il suo argomento è convincente: una valuta comune necessita di una comune politica economica e finanziaria, in tempi di crisi più che mai. La crisi della finanza così come la crisi del clima potrebbero essere o diventare l'ora di un'Europa politicamente ampliata e desta dal punto di vista della politica mondiale. Helmut Kohl oggi sfrutterebbe questa occasione, data dall'incombente catastrofe, per un rafforzamento dell'Unione europea. Londra e Parigi si chiedono perché proprio la sedicente europeista Angela Merkel e il suo aiutante Peer Steinbeck se la lascino scappare.
traduzione di Steffen Wagner