Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Hai 3 prodotti nel carrello Carrello
Home / Articoli / La inamovibile criminocrazia yankee

La inamovibile criminocrazia yankee

di Carmelo R. Viola - 11/11/2008

 


Un ministro italiano ha detto ironicamente – quanto a sproposito – di notare con piacere come gli antiamericani di ieri si siano improvvisamente scoperti filo-americani oggi a seguito della vittoria di Barack Obama!
Invero tale logica è molto semplicistica dato che la realtà degli Usa, purtroppo, non può essere cambiata per un presidente onesto – come sembra essere e senz’altro è – l’afroamericano Barack Obama.
La verità è che esistono due Americhe totalmente distinte: una fatta di uomini cosiddetti normali, di individui sognatori e sofferenti come noi, prigionieri di un’esistenza travagliata, da amare; una fatta di uomini malvagi perché potenti o stupidi.
Per l’antica legge della foresta, è stata sempre la seconda a vincere e a fare la storia di quel grande paese, a partire dal genocidio, volontario, sadico e sistematico degli indigeni, gli abitanti naturali di quella sconfinata terra, invasa da soggetti assatanati come pirati, che sanno d’impadronirsi di un tesoro incalcolabile solo perché in condizione di strapparlo a gente più debole.
Dalla febbre dell’oro, e non solo, è nata una nuova usura – la peggiore – e da quest’ultima, via via un nuovo istituto di ladrocinio o banca e da questa la necessità di difenderla, l’industria delle armi e delle guerre come uno dei più forti incentivi di un affarismo senza scrupoli, dove la morte e il dolore “degli altri” non valgono più dello stridore di una sega sul tronco di un albero.
Non che prima non ci fosse niente di tutto questo. Ma tutto questo ha acquistato un valore particolare e inconfondibile con quell’impresa che non era nelle migliori intenzioni di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci ma che sarà del cittadino tipico del nuovo Continente, prodotto ibrido di varie nazioni.
La situazione della nuova terra ha richiamato nei conquistatori, trovatisi dall’oggi al domani in una specie di eden inesplorato, i peggiori istinti di animali predatori. Il facile sfruttamento dei meno fortunati – sia pure connazionali – ha fatto loro ricorrere ad una delle più grandi e antiche vergogne della storia: la “schiavitù da importazione forzata”.
Stavolta frutto di spedizioni apposite nella primitiva Africa dell’Ottocento, un vero e proprio commercio di carne umana e il suo utilizzo alla stregua di strumenti agricoli o degli elettrodomestici di oggi. Vero è che poi nacque, per accostamento umano, perfino un sentimento affettivo – talora di tipo familiare - nei riguardi di schiavi domestici, ma lo spirito restò sempre quello: la superiorità della razza bianca. L’immane tragedia di centinaia di migliaia di esseri umani trattati alla stregua di bestie supera i limiti della fantasia e della famosa “Capanna dello zio Tom”.
La sanguinosa guerra fratricida degli Stati Federali, dichiarata da Lincoln contro gli Stati schiavisti del Sud secessionisti (1861-65) più che affrancare gli schiavi, di cui non si aveva più bisogno, voleva adeguare la nascente Unione al capitalismo industriale, dopo quello della coltura del cotone. La schiavitù venne abolita (1865) e contro tale abolizione sorse la setta del famigerato terribile barbarico Ku-Klux-Klan, autrice di inaudite atrocità contro i negri. Abolita nel 1871, è risorta nel 1915 aggredendo quanto non fosse bianco o protestante. Oggetto perfino di repressione marziale, il suo animus lo si riscopre alla prima occasione.
Sta di fatto che gli Usa sono rimasti il paese di fatto più razzista dopo il Sud Africa dell’Apartheid (da tempo abolita), e non solo.
Certamente il più carico di criminalità e di mafie. Il facile uso delle armi, dapprima per sedare ogni anelito di legittima resistenza dei Pellerossa o per difendere le mandrie o per catturare un criminale da punire, è entrato nella vita di tutti i giorni. Permangono povertà, abbandono sociale, insicurezza del futuro, rischio di restare sulla strada da un giorno all’altro, angoscia esistenziale con conseguenti turbe mentali, milioni di senza lavoro e/o di assistenza sanitaria, milioni di bambini che vanno a letto a digiuno, un vero e proprio “terzo mondo” dentro un complesso di stridenti grattacieli e di imperi industriali da far paura. Un inferno nel cuore di un paradiso terrestre.
Non si sa perché gli Usa siano stati definiti la “più grande democrazia del mondo” solo perché pochissimi candidati, necessariamente ricchi, o strumenti di lobbies di potenti, celebrano il giochetto elettorale con modalità che sanno di carnevale. Ebbene, è la parte peggiore che costituisce la casta usuraio-bancario-militare-imperialista, che da sempre si esporta nei vari Vietnam ed Iraq prendendo a pretesto il comunismo o un terrorismo che essa stessa produce a tale scopo: quella che invece di inginocchiarsi davanti agli eredi degli schiavi importati e chiedere loro perdono, li disprezza, li discrimina come esseri inferiori e pericolosi
E’ questo mondo che Barack Obama dice di voler cambiare: io gli credo, ma sono certo che i propositi di quest’uomo coraggioso – e fors’anche generoso – non vadano – non possano andare – al di là di una riduzione del “terzo mondo” statunitense all’interno di un liberismo, che non ha sconfessato – come non ha sconfessato (che io sappia) Guantanamo né l’occupazione del nostro Paese con oltre cento basi né la politica internazionale di ingerenza in Stati autonomi e magari rappresentati all’Onu, come l’Iran.
E, tuttavia, questo “poco” – nel mare magnum delle ingiustizie sociali – potrà realizzarlo sempreché non sia già nel mirino di yankee-tipo che, pur avendo bisogno molto più di quel “poco” – non possano tollerare, armi alla mano, che ad occuparsene sia un uomo di colore - come già lo furono i vari Lincoln, Kennedy e Martin Luther King.
Gli Usa sono anche il paese che forse conta più attentati mortali a personalità politiche o sociali ma anche di pene capitali ingiuste e di persecuzione inquisitoriale del socialismo.
Perciò, sperando di essere un falso profeta per il bene di un combattente simpatico, intelligente e certamente sostenuto dalle migliori intenzioni, non smetto di essere un antiamericano a dispetto di quanti, come quel tale ministro in carica, pensano che basti un Barack Obama per cambiare la struttura ossea di un branco umanicida al potere sorretto da una massa di segugi stupidi, razzisti e psicologicamente violenti come gli antichi pistoleri di mestiere e i cacciatori di taglie.