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Ma siamo o non siamo in uno stato di diritto?

di Carlo Gambescia - 14/11/2008

Dalla sentenza sul caso di Eluana Englaro a quella sulla “mattanza” di Genova.
Una premessa, probabilmente lunga, ma necessaria.
Essere dalla parte dello stato di diritto non è uno scherzo, perché richiede coerenza. Accettare lo stato di diritto significa optare per il rispetto della legalità sempre e comunque. In uno stato di diritto il giudice deve perciò limitarsi ad applicare le leggi esistenti, secondo procedure stabilite sempre per legge. Pertanto il rispetto dei diritti individuali, che rappresenta il cardine del sistema, è di tipo procedurale: viene garantito formalmente e non sostanzialmente. E, soprattutto, coloro che applicano la legge - e dunque anche in giudici - devono sempre accettare, senza discutere, il principio di legalità, come conformità procedurale al rispetto dei diritti individuali. Il limite principale dello stato di diritto è quello di incorrere nel summa lex, maxima iniuria. Nel senso che quella legge che pretenda di essere rigorosamente perfetta rischia sempre di diventare perfettamente ingiusta. E ciò perché nello stato di diritto, tutto il diritto, anche quello definito naturale o quello prodotto dai gruppo sociali, non può non essere tradotto in leggi, o se si preferisce in diritto positivo.
Ovviamente esiste anche la metafisica dei diritti individuali, che come abbiamo sottolineato, è storicamente posta alla base dello stato di diritto. Ma che in quanto metafisica, viene interpretata - anche dai giudici, che sono uomini e dunque esseri imperfetti - nei modi più diversi, dando vita a quel conflitto tra le differenti interpretazioni del senso e significato dei diritti individuali e dunque dello stato di diritto (che dovrebbe difenderli). Perciò esistono tanti diritti individuali quante sono le concezioni metafisiche dei medesimi. Di qui quella volontà sociale di identificazione dello stato di diritto - che in realtà, come detto, si riduce al rispetto, spesso cavilloso, delle procedure - con le più diverse concezioni politiche dei diritti individuali e dunque della società.
Ecco perché, e veniamo finalmente al punto, per alcuni la decisione - che attenzione è esito di un cavillo procedurale - di sospendere l’alimentazione ad Eluana è un trionfo dello stato di diritto, mentre per altri la mancata condanna degli altissimi dirigenti di polizia - che si basa su altri cavilli procedurali - ne è la negazione.
Ed ecco perché, tutti i sostenitori dello stato di diritto in sede politica, pur appartenendo a schieramenti differenti, chiedono nuove leggi, capaci di colmare il vuoto legislativo che impedirebbe o meno di procedere legalmente in casi simili a quello di Eluana e di Genova. Lo stato di diritto, proprio perché riduce il diritto alle legge positiva è un gigantesco produttore di nuove leggi: è una enorme macchina legislativa che vuole sempre, se ci si passa l’espressione, tappare tutti i buchi…
Ad esempio gli avvocati della famiglia Englaro hanno parlato di trionfo dello stato di diritto ma anche di necessità di nuove leggi. Così come i contrari hanno definito la sentenza una negazione dello stato diritto, chiedendo “paletti” legislativi. Stesso discorso, ma al contrario, per la sentenza di Genova: gli avvocati dei giovani pestati hanno parlato di negazione dello stato di diritto, mentre quelli di parte avversa del suo pieno rispetto. E tutti insieme hanno chiesto nuove norme legislative capaci però di rispondere ad esigenze chiaramente contrapposte...
Il succo del nostro discorso, se ancora non fosse chiaro, è questo: lo stato di diritto è una scatola vuota all’interno della quale si può mettere di tutto. E la metafisica dei diritti individuali invece di salvaguardarlo lo mette a rischio, perché la sfera dei diritti individuali, per ragioni extragiuridiche, è ormai divenuta così ampia fino al punto di mescolare insieme il diritto individuale alla buona morte con quello di macchiarsi dei crimini più abietti.
Occorrerebbe un nuovo diritto sostanziale, non fondato su alcuna metafisica dei diritti individuali. Ma a quali valori extragiuridici appellarsi: la legge naturale, la comunità, il mercato?
Difficile dire. Perché anche questi valori non essendo accettati da tutti potrebbero trasformarsi in “metafisica”, come per i diritti individuali.
Inoltre un diritto sostanziale, come hanno mostrato i regimi totalitari dove veniva rigidamente invocato e applicato in nome dell’ “idea”, sarebbe però ingestibile sotto il profilo formale o procedurale perché al giudice si chiederebbe, nei casi incerti, di far prevalere la sostanza (il diritto sostanziale) sulla legge (formale), per il bene della “rivoluzione” o per la “conservazione” della purezza, magari razziale, del popolo. Di qui però - paradossalmente - l’enorme sviluppo legislativo e procedurale che ha segnato l’esperienza degli stati totalitari, rivolti a controllare, per il "suo bene" anche il più minuto aspetto della vita individuale del cittadino.
Una ulteriore prova questa, di come il diritto - sia nella sua versione formale che sostanziale - sia essenzialmente uno strumento volto ad assecondare il controllo e la trasformazione sociale. E come il conflitto profondo non sia tra le metafisiche dei diritti individuali e, ad esempio, quella della comunità, naturale o meno, ma tra le forze profonde dell’essere e del divenire sociali, ai quali gli uomini, nei termini di controllo e trasformazione attraverso il diritto positivo, conferiscono valori “nominali” diversi e opposti, ricorrendo ad esempio ai “nomi” di “conservazione” e “progresso”. Etichette che servono solo a celare il fatto che, come per la vita degli organismi, l’unico vero progresso è verso la morte. E l’unica forma di conservazione è quella di forme fisiche destinate per natura a trasformarsi nel tempo.
Come si vede si tratta di questioni non facilmente risolvibili. Accontentiamoci perciò, almeno per oggi, soltanto di averle poste all’intelligenza di quei lettori che desiderino andare oltre le spesso inutili, se non sciocche, polemiche politiche.