Marionette
di Roberto Pecchioli - 31/07/2025
Fonte: Ereticamente
Il vecchio doganiere che ancora sonnecchia in chi scrive ha la sua rivincita: nonostante il globalismo, in barba al liberoscambismo e alle panzane liberiste, mai come ora i dazi sono tornati al centro del dibattito politico ed economico. Il penoso spettacolo di Ursula Von der Leyen dinanzi a Trump che detta la linea della nuova politica doganale americana nei confronti della colonia europea ricorda un’opera teatrale del primo Novecento, Marionette che passione! di Pier Maria Rosso di San Secondo. Erano talmente sbiaditi i personaggi principali- tre sconosciuti che si incontrano all’Ufficio dei Telegrafi – che l’autore non dette loro neppure nomi propri: la Signora dalla Volpe Azzurra, Il Signore in Grigio e il Signore in Lutto. Facile paragonarli a Ursula Von der Leyen e al grigio Merz, mentre il lutto, ahimè, si addice all’Europa e ai suoi malcapitati cittadini.
All’inizio del millennio, mentre il globalismo dettava l’ agenda celebrando la sua vittoria, le conclusioni del WTC (Organizzazione Mondiale del Commercio), a cui era stata improvvidamente associata la Cina (ma non la Russia vassalla del dopo URSS), il principio era che i dazi dovevano essere aboliti. Via libera ai quattro pilastri liberisti : libera circolazione di merci, capitali, persone, servizi, mentre il nuovo dogma – invero risalente al primo Ottocento, a David Ricardo- era che ogni paese – o meglio area economica- dovesse produrre esclusivamente le merci e prestare i servizi i cui costi erano inferiori al resto del mondo.
Il Mercato
A tutto il resto avrebbe pensato- altro a priori indimostrato e datato ( Adam Smith) – il Mercato con la emme maiuscola. A che cosa abbia condotto quell’ideologia è sotto gli occhi di tutti: delocalizzazione, deindustralizzazione dell’Europa e degli stessi Usa, perdita di interi comparti economici e delle relative competenze, finanziarizzazione, immigrazione selvaggia, precarietà esistenziale, avanzata della Cina, impoverimento delle classi medie e basse, fine dello Stato sociale, privatizzazione generalizzata, trasferimento di ricchezza verso l’alto, fine della sovranità degli Stati.
La realtà ha presentato il conto, e, almeno in America , si torna ai fondamentali. I dazi tornano strumento centrale, come è sempre stato, della politica estera. Con una differenza enorme rispetto al passato: chi comanda lo fa senza remore, senza nascondersi dietro ipocrisie o moralismi. Qualcuno dispone, qualcun altro obbedisce. Si dà il caso che le marionette siamo noi e chi tira i fili il Big Fellow americano. Dunque, accettiamo dazi generalizzati al 15 per cento all’importazione di beni europei negli Usa, riconosciamo e perpetuiamo la nostra carenza tecnologica anche in campo militare. Il riarmo europeo verrà pagato dai contribuenti ( che non sono d’accordo) ma i profitti andranno in gran parte all’industria americana, ai fondi padroni del mondo e in piccola misura alla Germania.
Non potremo più approvvigionarci di energia a basso costo dalla Russia, poiché la scelta strategica è il gas di scisto americano, in spregio all’ambiente ( il green è una favola a uso dei gonzi, quando si il gioco si fa duro) e al portafogli. Per fortuna, i volumi previsti dall’accordo-capitolazione sono troppo grandi, impossibili da sostenere. Gli investimenti prenderanno la via dell’America; il colonizzato ingrassa il colonizzatore, specie se il potere reale – tecnologia, finanza, armi- è tutto da quella parte.
Marionette
La Signora dalla Volpe Azzurra dice che va bene così . D’altronde le marionette parlano con la voce di chi manovra i fili che le tengono in piedi; un vecchio detto ricorda il tizio che subì una solenne bastonatura dall’avversario e che, tornato a casa malconcio, disse: me ne ha date tante, ma quante gliene ho dette ! In questo caso, neppure questo, a parte il fastidio del galletto francese che parla di un giorno buio per la nazione, ma poi si allinea al servilismo delle oligarchie europee, mai di livello così scadente.
Neanche Merz sembra soddisfatto; l’industria automobilistica tedesca prevede perdite di dieci miliardi nel solo 2025 a seguito dei dazi americani. La trattativa ha avuto la forma del patto leonino, in cui una delle parti detta tutte le condizioni. E’ già iniziata la corsa vana alla minimizzazione , sia da parte di Ursula sia della Meloni. Parole aggravate, nel caso della contessa tedesca, dal fatto di non essere stata eletta da nessuno, dunque di non avere legittimità, a differenza di Trump, presidente eletto con il mandato di reindustrializzare gli Stati Uniti e ridimensionare la finanza.
Quanto a Giorgia, non è dato sapere dove troverà gli aiuti promessi alle imprese italiane. Aumento delle tasse più ulteriori sforbiciate a previdenza e assistenza? Imbarazzanti le reazioni di altri esponenti italiani, da Renzi che voleva affidare a Draghi la trattativa , a Schlein che dopo aver intimato alla Meloni di non trattare autonomamente con gli Usa, incolpa il governo italiano, sino al prode Calenda che chiede a gran voce i contro dazi. Manca Claudio Bisio e poi rifaranno Zelig.
Le illusioni di Calenda & c.
I contro dazi sono una pia illusione, come Calenda dovrebbe sapere. Infatti acquisteremo dagli Usa prodotti energetici ( molto cari!), non assoggettabili a dazi per ovvi motivi ( se li avessimo, non dovremmo importarli) ma colpiti pesantemente dalle accise, un’imposta dell’Unione Europea (oh!). Sarebbe autolesionistico porre dazi all’ import tecnologico, a farmaci, beni e servizi avanzati provenienti dagli Usa di cui siamo largamente sprovvisti. Di fatto questo sistema di scambi diseguali per qualità rappresenta la barriera extradoganale – i dazi surrettizi- da cui siamo gravati da un trentennio: brevetti, privative industriali, marchi, know how, licenze, royalties. Monopoli extraeuropei di fatto.
Per inciso, le dogane europee agiscono da tempo come braccio secolare a vantaggio di interessi privati in gran parte non europei. Tutto questo rimarrà, con l’aggiunta dei dazi, a cui potremo reagire solo in piccola misura. E’ il signore a comandare, non il servitore. L’ unico elemento positivo è che la Signora dalla Volpe Azzurra e l’intero baraccone di Bruxelles hanno mostrato senza maschere la loro inutilità. O meglio, non hanno potuto nascondere dietro fiumi di parole o falsi principi la loro natura di classe a sua volta dominata dai veri dominanti, di cui sono agenti monomandatari con il compito di schiacciare i popoli europei, le loro economie, la loro stessa esistenza minacciata dalla sostituzione etnica.
Serve un colpo di genio italico
All’Italia – forse leggermente meno colpita rispetto ad altri- non resta che scommettere, se esiste ancora, sulla geniale inventiva della sua gente, che è sempre riuscita a dare il meglio nei tempi peggiori, ma come fare, senza sovranità economica e monetaria, senza reti di telecomunicazioni proprie, con un sistema bancario in mano straniera, appesantiti dal vincolo “esterno “ europeo, con classi dirigenti asservite , bloccati da veti incrociati sull’energia e sull’industria, come dimostrano la fine ingloriosa della siderurgia e la fuga vergognosa dell’ex Fiat tra imbarazzanti saghe familiari e gigantesche evasioni fiscali.
Difficile essere ottimisti, a meno di non credere che mal comune sia mezzo gaudio. Durissima, ardua, piena di trappole difficili da evitare per una nazione abituata da sempre a schierarsi con il nemico esterno in odio all’avversario interno, ma l’unica soluzione resta la sovranità, la ripresa in mano del nostro destino. Sogni di mezza estate, tenuto conto che le forze politiche italiane ( il PUS, Partito Unico del Sistema) sono tutte schierate, nei fatti, contro il popolo che dicono di rappresentare. I dazi arricchiranno l’erario federale americano, non quello europeo ( i proventi sono “risorse proprie” dell’Unione) poiché pochi sono i prodotti Usa a cui si potranno applicare, con buona pace di Carletto Calenda.
La Voce del Padrone
Marionette liberiste, sovraniste, ambientaliste, socialiste, progressiste e conservatrici, tutte manovrate dagli stessi pupari. I più anziani ricorderanno La Voce del Padrone, industria discografica italiana emanazione della casa madre americana, His Master’s Voice. Il suo simbolo – oggi diremmo logo- era un cane felice davanti a un grammofono che diffondeva, appunto, la voce del padrone. Stavolta ha pronunciato la parola dazio, che in lingua coloniale si traduce duty. Per combinazione, significa anche dovere. Quello del servitore verso il padrone.